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L'Urlo di Sabbia
di Salvatore Mulliri
Pubblicato su PBSI2008


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Ci dicono da qualche tempo che questo è il mondo migliore e che mai come in questo momento, tanta gente è soddisfatta della propria vita su questo bellissimo pianeta. Pare che molto presto anche quelli che al momento non possono permetterselo saranno felici.
Sembra che tutti vogliano crederci. Fa aumentare i consumi e la produttività.
In realtà è stato una specie di gioco di prestigio che nel giro di cinque anni ha fatto sparire quasi mezzo miliardo di persone. Oltre alle faccende nelle quali l'umanità s'impegna di più, come guerre di sterminio, pulizie etniche, pestilenze scientificamente somministrate e alle vecchie storie, ma sempre in voga, come fame, sete, malattie e terremoti, ci si è messo il pianeta che, con una vigorosa scrollata come quelle che si danno i cani bagnati, si è tolto di dosso la parte più disgraziata dell'umanità, quella che peggio si teneva aggrappata alla propria vita di stenti. I metereologi lo hanno chiamato rivolgimento climatico, i geologi dichiarano che si tratta della fine di un'era glaciale, mentre i glaciologhi sanno che presto cambieranno mestiere avendo assodato che tra un po' l’unico ghiaccio ghiaccio che ci sarà da studiare sarà quello dei freezer.
Non so di preciso cosa l'umanità abbia combinato con l'atmosfera, tra effetti serra, buchi nell'ozono, aumento dell'anidride carbonica e amenità del genere, però sta di fatto che ci siamo giocati le calotte polari per una buona metà. Non sarebbe tanto male, ad esempio per gli Inuit che finalmente si sono potuti dare alle regate invernali e al giardinaggio in Groenlandia, se non fosse per il mare si è ripigliato le coste grandi bocconi. Noi nel Mediterraneo non ci possiamo certo lamentare, non abbiamo gli uragani che sterminano città indiane o spazzano via interi arcipelaghi tropicali. Certo Venezia è praticabile solo in minisub, ma i ristoranti agli ultimi piani dei palazzi, (gli unici praticabili) fanno affari d'oro e l'Olanda è la più vasta insenatura dell'Europa settentrionale. In ogni caso gli esperti del clima, quello nuovo di zecca che stiamo subendo, ci hanno assicurato che la situazione ormai si è stabilizzata e non dobbiamo più temere quelle coste che cambiano il profilo da un giorno all'altro facendo incazzare i cartografi più pedanti. Qualche cinico ecologista ha persino affermato che almeno si è risolto il problema degli abusi edilizi sulle coste.
Di tutto questo non me ne fregherebbe un accidente, d'altronde ho almeno sessant'anni di vita comoda davanti a me e la situazione, a detta dei più pessimisti, non peggiorerà per almeno altri centocinquanta. Quello che mi disturba è quel metro e mezzo d'acqua in più, democraticamente distribuito su tutto il globo.
Un metro e mezzo di innalzamento globale dei mari, per la Sardegna ha significato soprattutto perdere le sue spiagge migliori. Per Cagliari, in particolare, ha significato la scomparsa di quel dono incompreso che era stato il Poetto.
Da bambino, ricordo quell'immensa distesa metafisica di spiaggia bianca che ti faceva stancare di correre solo a guardarla, un'infinità di sabbia finissima e abbacinante solo a tratti interrotta da piccole macchie di colore che erano gli ombrelloni. Già qualche anno dopo non era più così, l'avevano ribattezzata la spiaggia dei centomila, alludendo così alla popolosa colonia di vertebrati superiori che durante la stagione estiva la devastava secernendo abbronzanti e consumando quantità raccapriccianti di gelati e angurie. Solo il terrore di perdere la rosea prospettiva di una Rimini sarda davanti ad una veloce erosione, aveva costretto una giunta comunale ad avventurarsi in un ripascimento con sabbie provenienti dall'antistante Golfo degli Angeli. La classica vittoria di Pirro: qualche hanno dopo il mare dimostrò che fino allora aveva solo scherzato. Dopo un lungo assedio durato cinque anni, il mediterraneo si insediò stabilmente dove prima c'erano i fenicotteri rosa e i chioschi dei gelati, arrivando a lambire la periferia della città, lasciandosi dietro i resti delle perdute battaglie contro l'innalzarsi delle acque.
Argini e piloni di sopraelevate mai terminate, gridano vendetta e ostacolano il piccolo cabotaggio, l'Ospedale Marino ha raggiunto un ammirevole coerenza con il proprio nome biancheggiando tra i flutti delle mareggiate e Marina Piccola l'ex-porto turistico è diventato il nome una secca piuttosto pescosa sotto la Sella del Diavolo. Il fronte della battaglia, venutosi a trovare in quello che prima era il confine meridionale del Quartiere del Sole è stato rinominato Nuovo Poetto, senza nessuna precauzione scaramantica. Così un'altra amministrazione ha avuto la bella pensata di ripetere il ripascimento, ma in posizione meglio difendibile. Risultato: una striminzita striscia di sabbia grigiastra che a stento permette a cinquemila esseri umani di media statura di prendere il sole davanti al deprimente spettacolo di quella Atlantide postmoderna che è diventato il vecchio arenile. Altro che centomila.
In ogni caso è sempre un posto decente dove passeggiare, specialmente durante la stagione invernale. Non ho un cane che mi traini in salutari corse in spiaggia, però ho la sensazione che alle celle solari del mio sub-notebook faccia piacere prendersi una bella botta di luce, mi sembra sempre che funzioni meglio, dopo.

Sono il proprietario di un portale Internet dedicato alle nuove avanguardie artistiche (che si chiama appunto Avant.Art), e grazie al mio lavoro, mi trovo spesso a contatto con gli artisti, ma questo non significa che riesca a sopportarli per più di cinque minuti dal vivo (tempo necessario alla LORO firma del MIO contratto capestro), preferisco avere a che fare con le loro opere che vendo proficuamente on-line e del quale tesso lodi sperticate in rutilanti esposizioni digitali. Il fatto di essere il venditore della loro creatività ha finito per sminuire ai miei occhi la loro opera e non provo più emozioni a riguardo, nessun fremito davanti ai rettangoli polimaterici cosparsi di cellule olografiche, nessun brivido di fronte ai meteoriti finemente cesellati da un laser a impulso, o davanti a una stubettatura magistrale su un'antica tela recuperata dai fondali di Amsterdam.
Niente.
Il vuoto assoluto.
Ed è stato così per gli ultimi anni. Mi eccitavo più davanti al numero di accessi a una performance on-line o all'incrementarsi del mio conto in banca, che poi sono quasi la stessa cosa, che di fronte alla creazione di uno dei miei operatori artistici. Tutto era convertibile in Euro, Dollari o Asian e vendibile tramite Transazione Sicura. Ho venduto di tutto on-line, persino un muro di Barcellona e la carcassa di una megattera (vetrificata con un costosissimo processo nanotecnologico), ovviamente, a prezzi che avrebbero incenerito la coscienza di un bancario svizzero.
Forse per questo mi piace la sand-art, perché è effimera, è realizzata, senza troppi virtuosismi e con la sabbia, il materiale più povero che si riesca ad immaginare. Senza contare la sensazione di irripetibilità proveniente da un'opera dell'intelletto umano che non si può trasferire in un'asettica galleria, magari lontana centinaia di chilometri dal mare.
In una parola: la sand-art è I-N-V-E-N-D-I-B-I-L-E.
O quasi.
Avevo seguito la nascita della sand-art (si scrive minuscolo) con curiosità, quando era una specie di manifestazione, spesso spontanea, di gloriosa impotenza contro l'oceano che si riprendeva le spiagge del nord. Mi piaceva quella lotta, persa in partenza, mi piacevano quegli anonimi creatori armati di poco più inventiva e le proprie mani. Mi piaceva quella battaglia contro un mare famelico e insensibile. O forse mi affascinava morbosamente il fatto che quelle opere andassero perdute per sempre nell'arco di una notte o magari proprio mentre erano realizzate. Mi sembrava una bellissima metafora dell'umanità, o della cosiddetta immortalità dell'arte, o del niente che combatte contro il niente o del fatto che noi riusciamo a vedere significati importanti in cose che non lo sono o della vita e della morte, insomma: finalmente un brivido su per questa schiena indurita da costose poltrone svedesi.
In quegli anni mi piaceva un tedesco che costruiva complicate muraglie di sabbia con su scritto un'unica parola: ZEIT che significa "tempo" e non ho mai capito se chiedesse al possente oceano ancora tempo, o che era tempo di finirla di prendersi le spiagge o che il tempo avrebbe curato le ferite causate dal mare, o che il tempo dell'umanità stava finendo ed ora erano cazzi nostri. Forse l'ultima di queste.
Poi c'era una banda di neozelandesi che lavorava con una rapidità prodigiosa e costruiva complesse architetture alla Giger, di un gotico oppressivo e allucinato.
Mi era simpatica anche quella furbacchiona dei media che si trovava sempre al posto giusto quando una spiaggia scompariva per sempre, facendosi immortalare dalle telecamere mentre realizzava dei labirinti di canali dal disegno vagamente maya. "Il mio sogno -diceva sempre- è che l'oceano si perda in questi labirinti e si stanchi di assediare la terra". Il servizio si concludeva invariabilmente con una malinconica ripresa delle onde che ingoiavano il labirinto e con lei che piangeva disperata. Con quelle performance si è costruita una piccola fortuna, ha persino girato un film che ha vinto a Cannes per la miglior sceneggiatura, ovviamente qualche giorno prima che anche questa città fosse evacuata, e nessuno ha pensato che fosse proprio lei a portare sfiga.
Ma quelle che mi piacciono di più sono le opere assolutamente anonime quelle che scopri la mattina dopo, un po' sfatte, ma che hanno resistito tutta la notte davanti al nemico invincibile. Quelle che a volte sono disperazione pura, come l'Urlo di Munch e ti fanno pensare che una razza-specie-cultura tira fuori il suo meglio quando rischia l'estinzione, come i dinosauri ai quali spuntano le penne e si trasformano in uccelli o le linee pure dei caccia giapponesi degli ultimi anni della seconda guerra mondiale.
E' anche vero che la maggior parte sono cose un po' patetiche e risibili, e qui, per fortuna, entra il ballo il mare che cancella tutto, anche dalla memoria dei critici più esigenti.
Per questo durante le mie peregrinazioni nel mondo, quando mi capita di passare vicino ad una delle poche spiagge rimaste, porto sempre con me la mia fotocamera digitale. Sono ormai più di diecimila le immagini che ho raccolto in questi anni, tutte adeguatamente etichettate, catalogate e, nei casi più spettacolari, persino commentate. Ho messo su uno dei più grandi database Internet di immagini dedicate alla sand-art, ArtVsOcean, al quale mi posso collegare in tempo reale grazie alla fotocamera, posso dettare al microfono la catalogazione ed il commento, ed il gioco è fatto: l'immagine compare on-line con la posizione geografica ricavata automaticamente dal GPS ed è inserita nelle new entry del sito internet.
Si chiama web-publishing da fotocamera, ho comprato software e hardware a Los Angeles, in un'asta dei beni appartenuti ad un editore di pornoweb che fu ucciso a tradimento durante uno snuff-movie prima che potesse estinguere i propri debiti.
Ho messo su persino un software di intelligenza artificiale a predizione stocastica che prevede dove scompariranno le prossime spiagge e quindi dove avverrà la prossima apparizione di sand-art. Così ora è il mio stesso software che permette ai sand-artisti di riunirsi al posto giusto e al momento giusto. (vedi: legge di Indeterminazione di Heisemberg).
A quanto pare l'iniziativa del sito è piaciuta al popolo del web, infatti, misuro una marea di contatti giornalieri e tutti gli appaltatori di pubblicità interstiziale (ossia quel cavolo di pubblicità che ti compare su internet tra la pagina dove sei e quella dove vorresti andare), si stupiscono perché non ho ancora messo all'asta gli interstizi. Da qui il quasi di I-N-V-E-N-D-I-B-I-L-E.




Questa storia risale a quando l'acqua continuava a salire, e nonostante il timore che prima o poi anche Cagliari sarebbe diventata una città di palafitte, mi piaceva andare al Nuovo Poetto anche d'inverno, quando una nebbia innaturale e spessa scaturiva dal Golfo degli Angeli avvolgendo la città sin dalla mattina presto.
Un mio amico che programma giochi in realtà virtuale mi ha detto che un tempo nei giochi elettronici si usava il trucco della nebbia, quando non si voleva affaticare il processore del computer con calcoli eccessivi, così non si doveva tenere in memoria tutti gli elementi visibili di un mondo virtuale facendoli sparire nella nebbia. Questa è la mia sensazione quando mi immergo in questa nebbia: mi sembra che il mondo non sia semplicemente celato alla mia vista, sento che sparisce completamente e così la mia mente non si affatica più a doverlo considerare.
Era così anche quella mattina, quando all'improvviso, nella mia bolla di esistenza, ai miei piedi, sulla sabbia della battigia comparve qualcosa di inaspettato. Ecco i miei appunti vocali di quel giorno:

Martedì 12.01.2010 ore 9:30 - R.W.P. (ready for web-publishing)

"..Il disegno è racchiuso in un rigido quadrato di due metri per due metri suddiviso in due parti uguali:
quella più vicina all'acqua è percorsa da una successione di solchi paralleli che seguono un percorso ondulato e intervallati da forme ovali nel centro delle quali sono magistralmente posati dei sassolini bianchi (piccoli malefici occhi?).
Tra un "occhio" e l'altro sono disegnate file di piccoli triangoli.
Il significato mi sembra chiaro: questo è il mare dai cento occhi e dai mille denti che ci spia dalle oscurità abissali.
Dove i solchi ondulati finiscono inizia la terra, ma non è una terra accogliente, è una distesa straziata che proietta tutto il suo odio contro l'invasione del mare tramite file ordinate e inclinate verso il mare di bastoncini appuntiti.
La composizione nell'insieme è molto equilibrata, ma allo stesso tempo dinamica, come una stasi che può interrompersi da un momento all'altro tra due forze potenti tenute a freno a malapena. Fa pensare a un lungo progetto preparatorio per ottenere il massimo dell'espressività dalla contrapposizione di questi due opposti inconciliabili.
Qualcosa di simile allo Ying e allo Yang, con lo Ying che vuole azzannare alla gola lo Yang e viceversa.
Ogni particolare indica cura e raffinatezza di esecuzione. C'è dietro una fortissima volontà creatrice per ottenere l'istantanea della lotta di due forze elementari dalla quale solo una può uscire vincitrice. C'è vero odio in questi quattro metri quadrati di spiaggia…"



Chiamai l'autore di quest'opera "Anonimo Mediterraneo" e pubblicai un servizio che riscosse molto successo tra gli appassionati in rete di sand-art. Scrissi a ruota libera della nuova forza creatrice dell'odio, di come, sull'onda della rinascita del fenomeno New-Age la sand-art si fosse perlopiù cristallizzata in un desiderio di armonia utopistica, di come invece l'opera dell'Anonimo Mediterraneo fosse realmente rivoluzionaria con la sua ricerca di un conflitto. Parlai di fine di una lunga tregua, del superamento della pace apparente con una vera lacerazione, foriera di nuovi segni e di nuove strade. Questo è il genere di linguaggio che uso quando voglio far credere che qualcosa mi entusiasma, e non differisce per niente da quello che uso quando sono sinceramente impressionato. Posso continuare per ore, è questione di esperienza e di mestiere. Questa volta però i brividi lungo la schiena c'erano davvero.
Mi aspettavo che dopo quel clamore l'autore si sarebbe fatto vivo, d'altronde ArtVsOcean era ed è tuttora un punto di riferimento su Internet degli appassionati di sand-art perciò mi aspettavo narcisisticamente che il mio articolo avrebbe portato ad una rivendicazione dell'opera. Mi sbagliavo scrissero solo millantatori alla ricerca di facile notorietà, gente già conosciuta capace di fare solo cose già viste. Del mio "Anonimo Mediterraneo" invece non c'era traccia. Era sparito nella nebbia e sembrava non avesse nessuna intenzione di uscirne. Frequentai più assiduamente la spiaggia, ma per diverse settimane non ci fu niente di nuovo, sino a che, ai primi di febbraio l'opera inimitabile dell'Anonimo ricomparve lasciandomi nuovamente di stucco:

Appunti del 01.02.2010 ore 8.35 R.W.P.

"...Il tema è sempre lo stesso: Lotta tra i due elementi
Anche l'aggressività è la stessa, ritornano certi motivi, come le linee ondulate e i sassolini bianchi, ma esiste una sostanziale differenza:
All'interno del solito quadrato la mano creatrice ha preferito incentrare la composizione sulla modellazione di una forma che sovrasta i deboli segni tracciati sulla battigia. Ho osservato a lungo questa strana forma e finalmente sono giunto a vedere la Grande Onda.
Immaginate un'onda, immobile e minacciosa sospinta da forme umane schematiche, sormontata da mani artigliate e trattenuta dalla terra, come una rabbia malcelata.
Un profondo canale porta l'acqua del mare dalla riva fin sotto la scultura, in una piccola pozza circolare.
Se la precedente opera era stata una dichiarazione di guerra, questa è un'imboscata in piena regola. E' la terra che diventa uno tsunami per combattere il mare…"



Cercai di immaginare cosa avesse potuto scatenare tanto odio in un essere umano, per quanto mi riguarda la mia natura non è portata a simili intensità di sentimenti e spesso invidio coloro che sono capaci di esprimere questa potenza nell'odio nell'amore.
Osservando attentamente l'opera mi resi conto che l'ineffabile creatore aveva aggiunto l'elemento temporale trasformando la sua realizzazione in una specie di "performance" artistica sfruttando il lavoro di erosione dell'acqua.


Appunti del 01.02.2010 ore 9.30 (continua) R.W.P.

"...E' quasi un'ora che guardo la Grande Onda aspettando che compia la sua funzione ultima.
La sua base è stata erosa dall'acqua e la sommità sta per crollare sull'acqua. Ma stranamente non c'è niente di eroico in questo atto finale.
Come se tutta la rabbia di questa forma si stia per trasformare in un languido abbandono. Sembra ormai una resa davanti all'inevitabile distruzione. Così deve essere la fine dopo una lunga e sofferta vecchiaia…"



Era così suggestiva la distruzione della Grande Onda che decisi di immortalare la sua fine in un filmato, misi la fotocamera in modalità "movie" regolai l'obiettivo sulle riprese "macro" e catturai la sequenza che poi sarebbe diventata così famosa per quella che fu chiamata la New Wave della sand-art. Ovviamente sul momento non avevo idea dell'importanza di quell'istante.
Per mesi il video della Grande Onda fu uno dei file più scaricati dai visitatori di ArtVsOcean e ben presto le ultime spiagge divennero teatro di rappresentazioni imperniate sulla creazione di Grandi Onde, realizzate da gente comune e da artisti affermati. Sembrava che un nuovo spirito fosse nato. Nuovi movimenti fecero propria questa idea rilanciandola in inedite performances, come se si fosse trasmesso un segnale potente e trasversale lungo il mainstream della sand-art.
Sicuramente fu una coincidenza, ma anche il mare smise di crescere e gli uragani diventarono meno potenti e meno frequenti. Gli strani acquazzoni di tipo tropicale che si abbattevano su Cagliari scemarono di potenza. Si cominciò a pensare seriamente che forse ci si sarebbe potuto riprendere qualche spiaggia.
Danzica, Vilnius, Amsterdam, Venezia quelle non le avremo più riavute dal mare, ma magari qualcun'altra si, magari Macao o New Orleans.
Nacquero cosi i progetti di beach-building finanziati persino dalla grande industria e dalle banche, come se si iniziasse a capire che la lunga stagnazione dell'economia fosse strettamente collegata alla rassegnazione di fronte all'avanzare del mare.
Con questo non voglio dire tutto ciò sia stato conseguenza della Grande Onda, anzi penso che sia vero il contrario. Talvolta capita che qualcuno si innalzi dal resto dell'umanità e intuisca ciò che sta per succedere e inizi a rappresentarlo in qualche modo. E' gia successo e succederà ancora. Il mio Anonimo Mediterraneo forse ha avuto questo merito.
Però c'è anche la storia della farfalla che sbatte le ali in Cina e causa un tifone dall'altra parte del mondo…
Questi sono tutti ragionamenti a posteriori, in quei giorni la mia unica ossessione era di dare una faccia e un nome all'Anonimo Mediterraneo. Feci domande a tutti, consultai schedari di ogni tipo, persino quelli cartacei delle scuole d'arte della Sardegna, senza trovare il minimo indizio sull'identità di quello che ormai consideravo uno dei massimi esponenti della sand-art mondiale. Preso dalla disperazione analizzai tutto il materiale che avevo a riguardo, affittai ad una cifra esorbitante un minuto di calcoli sul Cray da centoventi gigamass dell'università di Ginevra per compiere una ricerca estesa sulla rete comparando le restituzioni tridimensionali delle opere che avevo fotografato con tutti i database artistici collegati a internet.
Niente da fare.
Finalmente un mio amico poliziotto mi diede un idea. Forse mi ero concentrato troppo nella parte artistica della faccenda trascurando magari altri elementi importanti per una normale indagine, per esempio: che tipo di impronte c'erano intorno alle opere? Analizzai con rinnovato interesse tutto il materiale fotografico e filmato che avevo realizzato ed ebbi finalmente qualche nuovo elemento sul quale lavorare. Il mio Anonimo aveva dei piedi piccoli, così risultava dalle uniche tracce che si allontanavano dalla seconda opera. Agiva preferibilmente la mattina presto, lo si poteva dedurre dalla consistenza della sabbia modellata e dal basso degrado. Si spostava con una bicicletta in fibra di carbonio di non troppo recente costruzione e abbastanza diffusa, che aveva lasciato l'impronta di un pedale rimasta impressa sulla sabbia circostante entrambe le opere. Un altro elemento era il cartoccio di plastica ad alta degradabilità di uno snack piuttosto famoso presente nelle immediate vicinanze. Trovavo quasi incredibile che il mio sand-artista preferito dopo aver realizzato le sue sconvolgenti creazioni se le contemplasse tranquillamente sgranocchiando uno snack. Ma si sa gli artisti sono strani. O forse dovrei dire "la mia sand-artista preferita"? Quelle impronte così piccole non lasciavano spazio a troppi dubbi, molto probabilmente si trattava di una donna.
Come prima cosa incaricai una società di sorveglianza di tenere d'occhio la spiaggia nelle ore più probabili, preferibilmente la prima mattinata. A dire il vero con scarsi risultati, con quella nebbia fittissima, una famiglia di Yeti poteva mettersi a ballare il minuetto davanti al naso dei miei osservatori senza essere vista. Mi proposero una sorveglianza con telecamere a infrarossi, ma decisi di rinunciare anche perché cominciavo ad avere dei sospetti. E se fosse stata tutta una montatura per attirare la mia intenzione?
Se l'innaturale nebbia sulla spiaggia continuava a essere impenetrabile i miei sospetti invece si dissolsero ben presto. L'Anonimo Mediterraneo colpì ancora.

Appunti del 04.03.2010 ore 8.30 R.W.P.
"Questa volta è un Mandala, incentrato su una vasta composizione a spirale.Il centro della composizione è un viso maschile che emerge dalla sabbia, la bocca è aperta in un urlo silenzioso. A prima vista potrebbe essere l'immagine di qualcuno che urla una disperata richiesta d'aiuto prima di essere sommerso. La realtà è ben diversa. L'urlo si espande deformando lo spazio-tempo e ricacciando l'oceano indietro. E'un Maelstrom alla rovescia, di segni e di simboli, che si espande come un'onda d'urto altamente distruttiva. L'urlo primordiale della terra ferita rimodella l'universo purificandolo. Un urlo che potrebbe anche essere un atto d'accusa contro la civiltà tecnologia, particolare che si intuisce da una serie di composizioni geometriche rappresentanti macchine e circuiti il cui ordine è stravolto dal potente turbine antiorario di forza primitiva generata dall'urlo…"





Un altro colpo da maestro. A questo punto iniziai a pensare che forse era giusto che l'Anonimo Mediterraneo restasse tale. Perché diradare questa cortina di mistero che rendeva così affascinante questo artista? Era meglio lasciare le cose come stavano e fare in modo che costui (o costei? perché continuavo a ritenerlo un uomo?) potesse operare in tutta tranquillità senza le pressioni dell'art-business che cominciava ad infettare anche il mondo della sand-art. Qualcuno già si prestava a realizzazioni a pagamento e performance prezzolate on-line, in giro già si vedevano abili intrallazzatori che avevano fiutato futuri affari nel campo della sand-art, e c'era persino chi proponeva di cospargere le opere migliori con dei polimeri trasparenti dal nome esotico che avrebbe permesso la loro conservazione indefinitamente.
Preferivo immaginare il mio Anonimo Mediterraneo libero da tutto questo e che magari iniziava a girare il mondo con le sue opere lasciando il suo indelebile segno nella memoria di quei luoghi.
Qualche giorno dopo, le mie elucubrazioni al riguardo furono interrotte da una visita inaspettata. Con l'aria di chi è a parte di un segreto troppo grande per non guadagnarci qualcosa venne da me il titolare dell'ufficio di investigazioni al quale avevo appena tolto l'incarico delle indagini. Era un tipetto viscido ed adulatore che dopo una serie di panegirici sul valore delle cose che facevo on-line, sottopose al mio esame un modulo di memoria contenente un'unica fotografia ad alta risoluzione.
L'immagine mostrava un ragazzino dai capelli scuri, in bicicletta che pedalava vigorosamente circondato dalla nebbia fitta.
Domandai solo: " E' lui?"
Il tipetto viscido rispose: "Siamo sicuri al novantanove per cento"
Poi mi porse altri documenti. Avevano fatto le cose per benino, con poche ore di ricerche erano riusciti a risalire a tutti i dati che riguardavano il ragazzino.

Nome:
Yan Mertens
Età:
10
Luogo di nascita:
Amsterdam
Condizione attuale:
Profugo olandese, orfano di entrambi i genitori deceduti durante la grande inondazione dei Paesi Bassi, attualmente ospite di uno zio materno residente a Quartu S.Elena. Frequenta la prima classe della Scuola Generica di secondo grado di Pirri con voti mediocri.

In poche righe ecco il profilo del mio Anonimo Mediterraneo e quasi non riuscivo a crederci: un ragazzino di 10 anni aveva beffato il meglio degli ambienti artistici mondiali, senza contare il sottoscritto, diventando il simbolo delle avanguardie della sand-art e, a rigor di logica, non poteva nemmeno essere definito mediterraneo.
Chiamai immediatamente i miei avvocati, gente che riuscirebbe ad azzannare un barracuda anche quando sono di buon umore, e feci preparare uno dei loro contratti da sottoporre all'investigatore.
Era un patto leonino grazie al quale il viscido individuo otteneva una notevole quantità di soldi e in cambio s’impegnava mantenere un assoluto silenzio, consegnando tutto il materiale in suo possesso, riguardo alla faccenda. Incluse le copie: mi premurai di mandare una squadra di hacker nel suo ufficio, che setacciarono i suoi hard-disk senza pietà.
Se avesse mantenuto il silenzio sarebbe vissuto felice e contento. Se avesse diffuso, contribuito a diffondere, pensato o anche solo sognato di diffondere la notizia sull'identità dell'Anonimo Mediterraneo si sarebbe trovato in un mare di rogne enormi e senza un soldo per risolverle.
Prima che se ne andasse gli feci conoscere in videoconferenza dal Giappone un mio cliente affezionato e al quale avevo fatto molti favori, tra i quali la vendita di un Matisse di attribuzione certa, ma di acquisizione discutibile, e che si diceva dirigesse il ramo vita-morte-infortuni della Yakuza.
Sino ad ora, e sono passati ormai cinque mesi, il segreto è rimasto tale. Credo che continuerà ad essere così finché io non lo vorrò. Yan, il ragazzino, ha prodotto cose di una bellezza toccante, come la Cascata Lenta, il Cielo Rovesciato e ArtV Ocean sta andando a gonfie vele. Per quanto mi riguarda ho ceduto alle lusinghe di un'agenzia pubblicitaria e vendo la pubblicità interstiziale del sito, ovviamente selezionando accuratamente gli sponsor. Tutto il ricavato è stato messo in un conto svizzero intestato a Yan Mertens, il giorno che vorrà rivendicare la paternità delle sue opere si beccherà un bel gruzzolo, che magari gli permetterà di fare gli studi più consoni al suo talento.
Mi piace sempre di più l'idea di questo ragazzino scappato da un cataclisma che combatte il suo dolore con queste opere di sabbia, ma mi piace soprattutto l'idea che stia vincendo la sua personale battaglia con il mare. Infatti, sembra che nelle ultime opere stia maturando un nuovo sentimento, non più solo odio e desiderio di vendetta, ma anche voglia di pace e armonia, di vita che può continuare, nonostante tutto.
Vado sempre in spiaggia, soprattutto la mattina presto quando c'è nebbia, magari un giorno incontro Yan e mi faccio insegnare da lui qualcuna delle sue magie per fermare il mare.

© Salvatore Mulliri





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