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Doveva essere inverno
di Gianluigi Scelsa
Pubblicato su PBSE4


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“Chicchirichì” canta il gallo al mattino.

Non ho mai capito perché quel nevrotico, iniziava ad intonare il suo canto prima degli altri.
Forse rispecchiava la mia indole frenetica, o forse anche i gallinacei hanno le nostre stesse nevrosi.
Il fatto è, che nonostante la mia sveglia “animale” suonasse con largo anticipo, il mio orologio biologico mi faceva levare dal letto ancora prima.
Il gallo, dopo anni di forzata convivenza, probabilmente aveva somatizzato la mia frenesia, diventando più isterico del sottoscritto.
Per questa ragione mi ritrovo ad abitare in un cascinale, lontano dalla città.
Il mio psicologo mi aveva “ordinato” di cambiare, quelle che io definivo “sane abitudini cittadine”, andando a vivere in campagna.
Da allora, sono passati tre anni.
All’inizio è stato difficile abituarsi; dico, è stato faticoso smaltire l’angoscia di fare tutto in fretta.
I ritmi della vita all’aria aperta sono scanditi dalle condizioni meteorologiche.
Piove? Nevica? Le attività subiscono notevoli variazioni.
E’ incredibile come il termine tempo assuma qui, un significato diverso.
Nella City ogni minuto è importante e ciascuna faccenda deve essere sbrigata velocemente.
Certe volte hai la sensazione che il giorno, sia più lungo di ventiquattr’ore.
In campagna la giornata inizia poco prima del sorgere del sole e termina all’imbrunire.
Per intenderci, ho chiesto ad un contadino da queste parti, quando è nato e lui mi ha risposto:
- D’estate!
La prerogativa dell’essere umano è quella di abituarsi ai cambiamenti: una nuova casa, un altro posto di lavoro, un’altra donna; insomma, l’uomo è destinato per natura ad assoggettarsi alle metamorfosi.
Avevo lasciato l’appartamento in città, modificando completamente il mio stile di vita. Facevo parte dello staff di una delle più importanti aziende informatiche ed il mio lavoro di programmatore, mi consentiva di lavorare sul PC di casa, senza recarmi in ufficio.
Abitavo in un casolare, come ho già detto. La gente da “queste parti” lo aveva soprannominato il poggio, perché era situato sulla cima di una collina. Il poggio era una vecchia casa colonica, l’acquistai ad un prezzo di favore poiché era disabitata da parecchi anni.
Il cascinale era costruito su due piani. A livello della strada c’erano: il fienile, la taverna, e una rimessa per i mezzi agricoli. Una scala di pietra piuttosto ripida, conduceva al piano superiore, dove si trovava l’abitazione vera e propria.
Questa sorta di “rampa”, spesso mi faceva arrancare, ma conferiva al poggio l’aspetto di un tempio antico. Durante la seconda guerra mondiale, mio padre e mia nonna (per sfuggire alle truppe tedesche), si rifugiarono proprio qui.

I contadini da “queste parti” li accolsero come membri della famiglia.
C’erano persone che pur di dare da mangiare a loro, sacrificavano la propria razione di cibo.
Durante la mia infanzia, quando mio padre mi raccontava questa storia, mi lasciava senza parole. Non avrei mai pensato che un giorno sarei finito ad abitare qui.
Come non avrei mai pensato che un giorno, avrei dovuto abbandonare la città, per colpa
di una forte nevrosi.
A dire il vero la malattia non è stata causata solo dalla vita frenetica della metropoli. Una volta avevo anche una ragazza, adesso però non ho voglia di parlarne. In ogni modo con la storia del mio esaurimento, ero riuscito a scappare dalla City e da lei. Un bel colpo, eh!
Un po’ traumatizzato dalla precedente esperienza amorosa, avevo deciso di vivere per un periodo da solo, abbandonando contemporaneamente quella mondanità cittadina, che non sopportavo più.
Il risultato di ciò, è che sono diventato una specie di orso; uno che si è fatto piacere la solitudine. Uno che mette da parte la propria misantropia, solo in occasione di una speciale ricorrenza.
Il giorno in cui mi sono trasferito in campagna, è uno dei pochi momenti dell’anno in cui invito una ristretta cerchia d’amici, per trascorrere il weekend in compagnia. In realtà è un semplice pretesto per mostrare a loro che sono vivo, che sono lo stesso di sempre e che nessun extraterrestre si è in qualche modo impossessato delle mie sembianze.
I miei quattro amici (gente di città ovviamente), sono Bert, Fred, Lee, ed Eric.
Con Bert ho condiviso l’iter scolastico.
Abbiamo frequentato la stessa Scuola Elementare. Abbiamo condiviso lo stesso banco quando eravamo alle “Medie”. Abbiamo occupato lo stesso Liceo Scientifico e per finire, abbiamo riempito le stesse aule degli stessi atenei universitari.
Fred è un mio collega. Ci conosciamo bene perché abbiamo lavorato per diversi mesi alla stesura di un programma.
Lee è stata la mia prima ragazza, ma sarebbe meglio dire che è stata il mio primo grande amore, adesso comunque sta con Bert.
Infine c’era Eric, il fratello di Lee. Che posso dire di lui, non avevamo molto in comune, per qualche strano motivo però, riuscivo a capire perfettamente ogni suo stato d’animo.
La mia comprensione nasceva dal fatto che avevamo vissuto esperienze amorose molto simili. Ecco qual era l’unica cosa che accomunava me ed Eric: lo stesso gusto in fatto di donne.
La nostra prerogativa era di sceglierle indipendenti, talmente indipendenti, che non le vedevamo mai.

Non vi ho ancora detto qual è il mio nome: i miei amici mi chiamano Al.

Quella sera di Settembre (il 10 per l’esattezza), tutta la combriccola si presentò allo stesso orario.
Notai subito che c’era un’ospite inaspettata. Si trattava di una certa Amy, selezionata da Bert,
per partecipare al concorso “la ragazza ideale per me”.
Già, perché se te ne stai un po’ per i fatti tuoi, c’è sempre qualcuno che tenta di sistemarti.
Questo deve essere un riflesso incondizionato, il gesto involontario di chi pensa che se hai di fianco una persona, non sparirai da un giorno all’altro in una nuvola di fumo, come accade sul palcoscenico di un illusionista.
Ultimando i preparativi della tavola, chiesi a Bert delle informazioni su Amy.
Prima di darmi una notizia qualsiasi, Bert mi confidò che Amy era stata una vecchia fiamma.
Certe volte penso che nella vita di Bert ci sia tutto il suo destino.
A cinque anni sapeva già leggere, ma soprattutto scrivere e da quando aveva imparato, non aveva più smesso.
Bert scriveva, appena aveva un attimo di tempo, Bert scriveva.
Ogni cosa che vedeva, ogni cosa che gli capitava, costituiva una fonte d’ispirazione.
Bert annotava tutto sopra un taccuino e certe volte, quando si trovava a prendere appunti
in mezzo alla strada, sembrava stesse notificando delle contravvenzioni.
Iniziò dal basso, dal “giornalino della scuola”, passando attraverso una moltitudine di redazioni.
Bert sosteneva che cambiare spesso il posto di lavoro, era l’unico modo per farsi un buon bagaglio di esperienza.
Un bel giorno Bert approdò alla redazione di un famoso quotidiano; ma quello non fu ancora il culmine della sua carriera. La vera fama Bert la raggiunse, quando riuscì a pubblicare i suoi romanzi.
Bert è il genere di persona alla quale la fortuna suona alla porta ed entra, chiedendo se può disturbare. Nella vita ha avuto una lunga fila di semafori verdi, che gli hanno permesso di percorrere d’un fiato, la strada per raggiungere il successo.
Durante un viaggio di lavoro, Bert si recò nell’albergo dove avrebbe dovuto pernottare.
Alla reception gli spiegarono che si era verificato uno spiacevole inconveniente:
avevano assegnato la camera prenotata da Bert, ad un altro cliente.
Il tizio del malinteso è diventato il suo editore.
Non male, eh!
Tornando ad Amy, Bert mi prese da parte per raccontarmi come l’aveva conosciuta.
All’epoca Bert scriveva per una rivista musicale, si occupava della rubrica: “Hit Parade”. La sua redazione lo inviava una volta la settimana, presso un’emittente radiofonica. Bert aveva il compito di aggiornare la classifica dei brani musicali più trasmessi. La persona che si occupava dei rapporti con la stampa, era Amy. Bert, appena la vide, rimase folgorato dalla sua bellezza, anche se il carattere algido emerso durante le presentazioni, non rispecchiava certo la grazia del suo aspetto angelico.
Bert immaginava di sciogliere questa sorta di iceberg, appellandosi al suo savoir-faire.
Accampando ogni genere di scuse, Bert andava in quella emittente radiofonica quattro volte la settimana, solo ed esclusivamente per corteggiare Amy.
In ogni modo tutto il suo impegno non bastò, per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato.
Bert, prima di sederci a tavola, mi mise in guardia:
Amy è una ragazza da prendere con le molle - disse.
C’era da crederci! Uno come lui aveva un certo ascendente sulle donne.

Per tutta la cena non riuscii a vedere gli occhi di Amy.
Il suo sguardo era rivolto nel piatto.
Amy non lo faceva per timidezza, semplicemente non provava alcun interesse per i nostri discorsi.
Fred rivolgendosi a Bert, disse:
Nella vita ci sono tre cose importanti.
Le sue parole furono seguite da una breve pausa; era come se Fred avesse voluto sottolineare quello che avrebbe detto dopo.
- Le tre cose che contano veramente, sono: la salute, l’amore, e i soldi.
Puoi ottenere contemporaneamente, se sei fortunato, molto fortunato, due di queste cose. Fred proseguì, illuminato dal discernimento…
- La maggior parte delle persone, fatica ad ottenerne una.
Bert allora replicò: - Fred, devi spiegami una cosa - disse accennando un sorriso.
- Come faccio ad avere salute, amore, e soldi?
- E’ la legge della compensazione - disse Fred.
- Cioè? - domandò Bert.
- Eric non ne ha neanche una!
Scoppiammo a ridere, ma fu una risata di circostanza.
Eric mandò a quel paese Fred e colse l’occasione per alzarsi dalla tavola.
- E l’arte - dissi io, - Non la consideri fondamentale per la vita?
La mia irruzione nel discorso mirava ad incuriosire una sola persona.
Volevo catturare l’attenzione di Amy per distoglierla dal suo mondo.
Desideravo che per un attimo, Amy si accorgesse di me.
Tutte le argomentazioni da me sostenute, erano dedicate a lei; avrei voluto fermare quell’istante, far sparire le persone che avevo intorno, per ammutolire quel frastuono di voci che reprimeva il nostro desiderio di ascoltarci.
Improvvisamente la testa di Amy si sollevò, ma è come se per compiere quel semplice gesto, si fosse mobilitato tutto il corpo.
I piedi, puntati sul pavimento, irrigidirono le sue gambe. La schiena s’inarcò leggermente. Le spalle si contrassero e il suo sguardo, riflesso nel piatto, salì alla ricerca dei miei occhi.
Guardando Amy provai un fremito. Le pulsazioni del mio cuore accelerarono improvvisamente.
Nello stesso tempo avvertii la sensazione che si prova poco prima di un temporale, quando l’odore dell’aria, anticipa il sopraggiungere della tempesta.
Amy, con un filo di voce, mi disse:
- Non c’ è niente su questa terra che vale più del mio piccolo mondo!
Poi reclinando il capo, tornò a guardare il suo piatto.
Roba da lasciarti secco!
Quella frase aveva raggelato l’atmosfera. In quel momento ci trovammo stampata sul viso una bella espressione stupita. Poi Bert, che ha l’estro di risollevare qualsiasi situazione critica, se ne uscì con un discorso incredibilmente persuasivo.
- Sapete come valutiamo gli altri?
Tutto dipende dal nostro stato d’animo.
Più siamo vicini alla serenità, più sarà lontana la sensazione di esser minacciati da personalità diverse dalla nostra.
Ogni soggetto che si allontana dai nostri schemi mentali, diventa un potenziale nemico, se abbiamo l’animo in subbuglio.
Direi che noi umani siamo equilibristi. Acrobati da circo che un passo dopo l’altro, avanzano sopra una fune, sospesa nel vuoto. E questa fune può avere una sezione più o meno grande, questo ovviamente dipende dalla coscienza che abbiamo di noi stessi.
Investiamo tutta la nostra esistenza sopra un filo di seta, se dimentichiamo consapevolmente chi siamo.
Il discorso di Bert aveva lasciato tutti ammutoliti; era una via di mezzo tra il sermone di un predicatore e l’opera di convincimento di un venditore porta a porta. Comunque, alla fine della predica pensai:
“OK Amy, uno pari palla al centro!”
Per tutta la sera avevo evitato qualsiasi approccio nei confronti della “ragazza che guardava nel piatto”. Terminata la cena fu Amy che si avvicinò a me, scusandosi per il suo atteggiamento brusco. Mentre contemplavo la mia libreria, Amy iniziò a parlare delle sue letture preferite. Grazie a quest’argomento, venne fuori un lato del suo carattere, che se da una parte mostrava una buona dose di risolutezza, dall’altra, lasciava trasparire un miscuglio di calore e dolcezza.
- Non li presto mai i miei libri - disse Amy con tono deciso.
Quando finisco di leggerli, li chiudo - Amy, mentre parlava, mimava il gesto con le mani.
Poi - proseguì mantenendo le mani giunte - li metto nella libreria. Nell’esatto momento in cui la mia mano abbandona la copertina, avverto una specie di brivido, una sorta di dolore… lo stesso che provo quando un amore finisce!
Difficilmente capiterà nella mia vita, d’incontrare una donna come Amy. Parlandomi due sole volte era riuscita ad imprimere le sue parole, nella mia mente.

Ci accomodammo in veranda. Il blu della notte stava nascondendo l’azzurro del cielo.
L’aria di campagna sul finire dell’estate è così tersa, che sembra accarezzarti.
Eric ed io iniziammo a chiacchierare. Eric avrebbe parlato delle ore con me; si sentiva davvero a suo agio. Poteva raccontarmi tutte le sue emozioni, senza aver paura di essere giudicato. A volte, quando Eric era avvilito, era sufficiente un mio sguardo ammiccante per farlo esplodere in una fragorosa risata.
- Ho 18 anni - disse Eric, - finalmente ho raggiunto l’età della ragione…
Non pensi che sia diventato matto, vero? - Quando Eric iniziava a parlare, era un fiume in piena.
I miei 30 anni li porto bene, ma 18 no, quelli proprio non li dimostro.
Eric era una bomba innescata.
Allora immaginerai che questo discorso, riguarda la percezione della mia immaturità…
Eric era la goccia…
Ah! Peccato, risposta sbagliata!
Che fa traboccare il vaso.
A sei anni ho perso mia madre e quel bambino è rimasto sempre lì, dentro di me, mentre il mio corpo cresceva.
Eric aveva bisogno di sfogarsi.
- Quando la mia età anagrafica segnava quota 17, la mia età biologica era ancora ferma a 6.
Poi, ho conosciuto una persona speciale. Una persona che è riuscita ad amarmi, senza riserve.
Questa ragazza mi ha regalato quell’amore totale, che somiglia terribilmente a quello che una madre, potrebbe dare ad un figlio.
In 10 anni con questa donna meravigliosa, il bambino è diventato un adolescente.
Quando ci siamo lasciati, avevo 16 anni.
Al, mi segui?
Devo ammettere che del discorso di Eric, non capivo granché, ma in certi casi non serve capire, é sufficiente stare ad ascoltare.
- Ho avuto una storia subito dopo. Qualcosa d’importante quando ero poco più di un ragazzino.
Ovviamente in quel periodo della vita sei pervaso dal desiderio di ribellione.
L’immaturità non ti aiuta a comprendere il segreto della tua esistenza, e ti ribelli.
Sei così passionale che bruci ogni istante della tua vita, finendo inevitabilmente col mandare tutto a puttane!
Adesso che ho raggiunto la maggior età, dove cazzo sono finite tutte le donne del mondo?
Mentre Eric vaneggiava, probabilmente sotto l’influsso dell’alcol, mi resi conto che anche la mia testa mi stava giocando brutti scherzi. In quel momento, nei miei occhi finì un’immagine spaventosamente dettagliata.
Le due figure della mia visione si trovavano al mare, in una splendida giornata di Primavera, ed erano comodamente sdraiati sulla spiaggia. Lui leggeva un libro e lei, leggermente assopita, poggiava il capo sopra l’addome di lui. Quei due non sembravano lo stereotipo della coppia annoiata; quei due erano l’incarnazione della serenità assoluta. Le due persone nel mio sogno ad occhi aperti, erano Eric ed Amy.
“Assolutamente complementari”, pensai.
Anzi, il tripudio della complementarietà.
Una standing ovation per la coppia perfetta.
Mentre il mio sguardo continuava a perdersi nel vuoto, la mia mente produsse un’altra allucinazione. I miei occhi furono offuscati da un’altra immagine. Adesso Amy ed Eric,
erano l’uno nell’altro, protagonisti di un amplesso che sembrava un’opera sinfonica. Gli archi, i fiati, gli strumenti a corda e le percussioni, suonavano per loro, con loro e dentro di loro.
Va bene che le ossessioni sono una panacea per l’essere umano.
Va bene che questa sorta di filtro posto tra noi e la nostra vita, rende la realtà oggettiva meno spaventosa. Va bene che questa lente che deforma la nostra visione del mondo, aiuta a sfocare ciò che abbiamo paura di vedere.
Però la prossima volta che acquisterò delle bottiglie di vino, prometto di stare alla larga da quelle offerte a metà prezzo.
Una domanda a bruciapelo di Fred, mi riportò bruscamente alla realtà.
- Com’è andato poi il corso, su quel nuovo linguaggio di programmazione?
Fred era incredibile, in punto di morte sarebbe stato capace di chiederti lo stato d’avanzamento lavori, di quel tal progetto. Certe volte lo odiavo per l’attaccamento che mostrava alla nostra professione; spesso mi domandavo se la nostra amicizia fosse nata, solo perché avevamo lavorato gomito a gomito per diversi mesi.
In ogni modo, tornando alla domanda di Fred, quella rottura di corso si svolgeva in città, durava una settimana e mi obbligava a soggiornare in un albergo, nelle vicinanze della mia Società.
Una vera sofferenza per un abitudinario come me.
- Come vuoi che sia andata! - dissi a Fred.
- Un’aula grigia confondeva la fisionomia di anonime sagome, vestite dello stesso colore.
Quello era uno di quei posti in cui non apprendi delle nozioni, per aumentare il tuo bagaglio culturale. Lì ti insegnavano ad essere competitivo, solo ed esclusivamente per produrre di più.
Devono temerci quelli che ci governano, se ci costringono a spaccarci la schiena per vivere degnamente! - dissi.
Fred mi guardava attonito, ma continuai imperterrito…
Eppure, frugando nei pensieri dei miei compagni di prigionia, non vedevo la poltrona
da dirigente e la pianta di ficus.
Vedevo uno splendido tramonto in riva al mare. Vedevo una barca a vela, ormeggiata al largo, con dentro tutti i loro sogni.
Il desiderio c’è, d’accordo, ma come la mettiamo con quella bestia nera del lavoro?
Cristo Santo! Assorbe tutta l’energia!
Realizzare i sogni richiede uno sforzo notevole, ma ci trasforma in generatori di felicità e la felicità, si sa, allontana il senso di frustrazione.
Così va a finire che non compro più niente!
Pensandoci bene, quando ero una rotella di questo ingranaggio, ho rischiato una fine ingloriosa: preso all’amo da un televisore più grande o da un’auto full-optional.
Adesso mi godo la libertà; dopo le mie otto ore di lavoro leggo un libro, o vado a vedere qualche mostra di pittura. Sono profondamente convinto che se non leggi le poesie di Bukowski, o se non hai mai visto un quadro di Monet, la letteratura e l’arte, non saranno le uniche cose della vita che non riuscirai a comprendere.
Folgorato. Fred era rimasto folgorato.
Ho dedicato buona parte della mia vita ai computer. Ho lavorato - per anni - 60 ore alla settimana; l’unica cosa che potevo permettermi di leggere, erano manuali di sistemi operativi e libri sulla programmazione.
Da quando mi ero ritirato in campagna, la letteratura era diventata la mia passione. Lo psicoterapeuta che avevo frequentato (nel periodo in cui ero soverchiato dalla mia nevrosi), affermò che leggere mi avrebbe aiutato a capire.
In quel momento non capii cosa volesse dire, allora gli domandai:
- Cosa esattamente devo capire?
Tre anni, questo è il tempo che ho impiegato per cogliere il significato di quella frase, e sapete cosa mi fa veramente diveritire?
L’aver scoperto che per il mio interrogativo, ci sono migliaia di risposte, che in realtà sono delle domande.
Una volta lo psicoterapeuta mi disse: “Penso che l’uomo sia un bambino, e la vita, un libro con delle illustrazioni. Finchè non impari a leggere, puoi andare avanti guardando solo le figure”. Non so se questa frase fosse roba sua, o se l’ha letta da qualche parte, ma per qualche strano motivo, queste parole sono rimaste scolpite nella mia mente.

Quella sera, tra i miei amici c’era ancora qualcuno che non aveva ancora aperto bocca, ma non detti molto peso alla cosa.
In una compagnia che si rispetti, c’è sempre qualcuno che se ne rimane in disparte.
Lee (da quando era arrivata), non aveva ancora detto una parola. La presenza di Amy, sembrava turbare il suo animo. Di fronte all’avvenenza della vecchia fiamma di Bert, Lee si sentiva a disagio.
Basta che una donna affascinante faccia il suo ingresso in un gruppo di primati maschi, per assistere ad un documentario stile National Geographic, sulle tecniche di corteggiamento dell’animale UOMO.
Lee non è mai stata una persona loquace. Lee preferisce ascoltare, ma quando parla, arriva in un secondo dritta al tuo cuore.
Lee stava insieme a Bert, ma sapeva perfettamente che lui non l’avrebbe mai sposata.
Viveva questo amore con l’illusione che le cose, un giorno o l’altro sarebbero cambiate.
Una donna che vuole sposarsi al giorno d’oggi, è diventata una vera e propria trasgressione. Un legame che dura per tutta la vita, in un mondo in cui ogni rapporto si consuma come un prodotto da supermercato. Se guardi bene la confezione, c’è in bella evidenza la data della scadenza.

Lee si è sempre sentita a suo agio con me; è stata il mio primo grande amore, ma questo l’ho già detto; siamo rimasti buoni amici perché ci siamo lasciati senza rancori.
Perdonate la divagazione, ma se volete arrivare in fondo a questa storia, dovrete farci l’abitudine.
Comunque, tra una chiacchiera e l’altra si fece tardi, molto tardi, così decidemmo di andare tutti a dormire.
Diedi un ultimo sguardo ad Amy ed Eric, per verificare che tra i due non fosse scattata la scintilla…
Ma i loro occhi non tradirono alcuna emozione.
Che notte tranquilla fu, quella!


“Chicchirichì” canta il gallo al mattino.
Stavolta il “dannato pennuto” mi aveva battuto sul tempo. Il gallo intonava il suo canto, mentre io mi rigiravo ancora nel letto. Dalla cucina arrivavano profumi e rumori, che si portavano l’umore di chi preparava la colazione. Ogni tazza, cucchiaino, pentolino, produceva un suono breve, fastidiosamente assordante. Il piacevole aroma di caffè, si diffondeva per la casa.
I miei amici erano piuttosto mattinieri.
Entrai in cucina, Lee si accertò che non fossi Bert, poi abbandonò la sua espressione cupa.
- Buon giorno - mi disse.
Ed io replicai: - Buon giorno a te, Lee.
Sul tavolo (apparecchiato per la colazione), c’erano biscotti, cereali e una torta.
Ma la leccornìa che preferisco concedermi al mattino, sono i panini con la marmellata…
Panini con la marmellata… devo ammettere che ci vuole un gran talento per prepararli.
Qualcuno nasce per suonare la chitarra, qualcun altro per fare lo scrittore, qualcuno per preparare panini con la marmellata. Ho sempre pensato di essere un eletto, nato per grandi imprese e nel corso della mia esistenza ho perso di vista le cose più semplici; quelle che mi riescono meglio.
L’ho scritto nei miei cromosomi: sono il più gran preparatore di panini con la marmellata della Terra!
Qualcuno penserà che sono matto, ma provate anche voi ad immaginare la cosa più semplice che amate fare. Magari vi riscoprirete fenomeni, oppure verrete rinchiusi con tanto di “camicia di forza”. In questo caso, ci faremo compagnia.
Certo, avrei preferito essere un grande atleta, forse una stella del rock’n’roll, mai avrei pensato di diventare un preparatore di panini con la marmellata.
Pochi possiedono la mia predisposizione, quindi appartengo ad una casta privilegiata. Sono convinto di una cosa, non avrò né fama, né gloria, ma per chi dividerà con me quei cinque minuti al mattino, avrò fatto qualcosa di spettacolare se riuscirò con un gesto così semplice, a far nascere un sorriso.
- Non hai spiccicato una parola ieri sera - dissi a Lee, mentre scaldavo il pane.
- Per quanto pensi di andare avanti così? - proseguii indomito.
- Bert non ti sposerà mai e tu non puoi essere gelosa d’ogni donna che ha conosciuto,
o che conoscerà - Al mattino non riesco mai ad essere molto diplomatico.
Alla fine, se non hai il coraggio di lasciarlo, sarà lui a prendere la decisione - continuai imperterrito.
- Non se ne andrà da solo; andrà via solo nel momento in cui, troverà un’altra donna.
Provavo dispiacere nel rivolgermi a Lee in modo così schietto ma, d’altro canto, non volevo illuderla.
Le donne vincono sempre - ribadì Lee, - anche se sono loro ad essere lasciate.
Touchè!
Ecco cosa intendevo; quando Lee apre bocca, arriva dritta al tuo cuore.
- Il tuo sermone mi ha amareggiato, adesso ho bisogno di dolcezza,
mi prepareresti uno dei tuoi panini con la marmellata? - Dritta al cuore!
Dopo la colazione, visto che non si vedeva in giro nessuno dei nostri amici, proposi a Lee
di fare due passi intorno al “poggio”.
I lunghi filari del vigneto si estendevano fino ai piedi della collina.
Camminavo a piedi nudi nel prato; la rugiada rendeva l’erba fresca e morbida.
Respirando quel profumo di campagna, avevo la sensazione che il mio spirito e la mia mente si purificassero.
- Non me ne andrei mai da questo posto - dissi a Lee.
- Non sei stanco di tutta questa tranquillità? - mi domandò lei.
- Vedi, qui in campagna conduco una vita apparentemente monotona - dissi.
- Ed è proprio questo aspetto che mi garantisce un po’ di serenità; ho detto un po’ di serenità, come vedi non mi sono sbilanciato. La tranquillità è pura utopia; un’azione qualsiasi potrebbe innescare una serie di avvenimenti a catena, incontrollabili.
Il sole appena caldo, illuminava i campi e le colline circostanti. Quella luce faceva risaltare il colore del tessuto in fibra vegetale, che rivestiva il paesaggio circostante.
Al, ti devo rivelare un segreto…
Con Lee dovevi essere pronto ad essere messo al tappeto, in qualsiasi momento.
- Sono incinta! - Lee mi lasciò secco.
Mentre contemplavo il paesaggio, prendevo del tempo per cercare nella mia testa una frase che fosse adatta a celebrare quell’istante, ma ero diventato una statua di sale, quindi non riuscii a spiccicare una parola.
Lee mi sorprese con una carezza, poi mi disse:
Sai perché mi piace frequentarti?
Rimasi sbigottito da quella domanda.
- Perché sei la persona più intelligente che conosco - continuò.
Avresti potuto tempestarmi di domande, chiedendomi per esempio se Bert ne è al corrente, se ho intenzione di abortire, se sono sicura di quello che sto facendo. Invece te ne sei stato lì, in silenzio e hai rispettato il momento più importante della mia vita.
Dritta al cuore. Lee riusciva ad arrivare sempre dritta al cuore.
Dopo quelle parole, l’unica cosa che riuscii a dire fu: - Ti va di rientrare in casa?
Lee non mi rispose nemmeno.
Quando feci il mio ingresso in cucina, vidi che Fred ed Amy stavano facendo colazione.
Fred, appena sveglio, è un tipo terribilmente pimpante.
Stava già tempestando Amy con una serie di considerazioni noiose.
- L’informatica è diventata importante, in qualsiasi ambito lavorativo - disse con tono imperante.
“Il primo pensiero banale del weekend” , pensai.
- Conoscere il Personal Computer diventerà un requisito fondamentale - continuò Fred.
In quel momento Amy sbadigliò.
- Altrimenti si corre il rischio di essere tagliati fuori dal mercato - Altro sbadiglio di Amy.
Odio le persone che durante una conversazione, spalancano la loro bocca davanti ai miei occhi, tanto vale dire: - Guarda, mi hai rotto le balle!
Perché aspettare che un riflesso involontario, sortisca lo stesso effetto di una semplice frase?
- Fred, ti devo proprio dire una cosa - disse Amy.
Mi hai veramente rotto le balle!
Sapevo che Amy non mi avrebbe deluso.
Fred non è il genere di persona che se la prende, a lui non interessa molto se lo ascolti oppure no; Fred è uno che preferisce parlare.
Da una delle stanze da letto, sentimmo Bert gridare al suo telefono cellulare.
Ogni tanto qualche giovane scrittore gli sottoponeva dei manoscritti, per avere un suo parere.
Certe volte, se i lavori non erano di qualità, Bert s’infuriava, “andava proprio in bestia” e se eri uno che tentava di scrivere, ti veniva una gran voglia di mettere da parte la scrittura, per aprire un negozio di frutta e verdura.
- Smettetela di frignare, non ne posso più di sentire le vostre lamentele!
Vostra madre non verrà più a rimboccarvi le coperte.
Certe volte mi fate pena; scrivete delle cose che mi fanno letteralmente vomitare.
Se vi incontrassi per la strada, vi metterei le mani addosso.Voi e i vostri piangini! Almeno
c’è qualcuno che ha il buon senso di tenere in un cassetto i propri pensieri banali, messi
nero su bianco; e meno male, perché certe volte sembrano scritti bianco su bianco.
Oddio, qualcosa che sporca il foglio c’è, ma deve trattarsi di macchie, perché di concetti o riflessioni interessanti, non c’è alcuna traccia.
Adesso basta!
Smettetela di raccontarmi le vostre frustrazioni, se vivo abbastanza a lungo le risentirò tante di quelle volte, che finirò col impararle a memoria. Della vostra vita siete capaci di raccontare solo le delusioni; vivete, per Dio! E non rompete i coglioni!
Con buona probabilità quello scrittore in erba, andrà oggi stesso a richiedere la licenza
per il negozio di frutta e verdura.

Quella mattina, all’appello mancava solo Eric. Fred mi disse che l’aveva visto uscire in pantaloncini e scarpe da jogging. Correre, per Eric, equivaleva a meditare; in passato era stato un maratoneta formidabile.
Quale sport migliore per un uomo che continua ad inseguire i propri sogni.
Un infortunio l’aveva fregato, quando era già stato convocato in Nazionale. Un legamento del ginocchio lo aveva abbandonato, proprio nel bel mezzo di una competizione.
Eric lanciò un grido dolore; l’urlo che conoscono solo quegli atleti, che costruiscono consapevolmente la propria carriera, sopra filamenti più sottili della seta.
Dopo quattro interventi, il ginocchio l’aveva sistemato, ma la grande occasione per sfondare, ormai era sfumata. Adesso poteva sì correre, ma solo per se stesso.
Sai cosa non riesco ancora ad accettare?
Quando Eric tornava dalla sua corsa mattutina, aveva una gran voglia di parlare.
- Il rammarico… - I pensieri gli riempivano la testa.
- Non riesco a spiegarmi come sia finita la mia storia d’amore.
In quei momenti sapevo esattamente quale fosse il suo stato emotivo.
- Ho vissuto un anno di passione, eccitazione, entusiasmo e dolore…
Eric aveva bisogno di sfogarsi…
- Fatico a capire chi c’era al posto mio.
Aveva bisogno di buttar tutto fuori…
Perché io ero altrove; non ero in me.
Di sfogarsi e buttar tutto fuori…
- Quella donna porterà con sé un’immagine alterata…
Eric aveva bisogno di togliersi quel peso dallo stomaco…
- Raccontando la sua esperienza al mondo intero.
Per alleviare il dolore… e…
- L’umanità conoscerà così qualcuno…
Ricominciare a vivere.
- Che in realtà non esiste!
Ok, è finita finalmente.
Certe volte ho la sensazione che la testa di Eric, possa scoppiare da un momento all’altro.
Ho il timore che l’onda d’urto provocata dalla fuoriuscita dei suoi pensieri, possa
cancellare dalla faccia della terra, l’esistenza dell’uomo.
Distrazione, in quel momento era necessaria una DISTRAZIONE.

Alla fine dell’estate, il paese vicino al poggio, festeggiava l’inizio della vendemmia.
Era piacevole vedere come la civiltà rurale, cercava di mantenere viva la tradizione.
Mentre il resto del mondo cambiava, la campagna provava a rimanere sempre la stessa.
Io e il resto della combriccola, decidemmo di andare tutti alla festa. Solo Fred disse che ci avrebbe raggiunti dopo.
In una compagnia che si rispetti, c’è sempre qualcuno che ti raggiunge dopo.
Giunti in paese, fummo accolti da un paesaggio surreale.
C’erano i festoni, gli stendardi, le coccarde, i giochi per i bambini, i palloncini colorati, i banchetti ricolmi d’ogni prelibatezza, tavolini, sedie, c’erano persino gli strumenti della banda, ma nemmeno l’ombra di una persona.
Giravamo per la piazza principale, pensando che si trattasse di uno scherzo.
- Ci sarà una telecamera nascosta - disse ingenuamente Amy.
Quel sabato pomeriggio, tutto si era fermato. Tutti erano tornati nelle loro case, colpiti da un improvviso lutto.
Durante i festeggiamenti, il Sindaco era deceduto.
Nessuno capì come avvenne il fatto. E nessuno, avuta la tragica notizia, ebbe voglia di sbaraccare.
Lasciarono la festa così com’era. Io, Bert, Lee, Eric ed Amy, ci guardammo sbigottiti e senza dire una parola, tornammo verso il poggio.
Sulla strada trovammo Fred, che naturalmente chiese spiegazioni.
Io, Bert, Lee, Eric ed Amy - guardandoci negli occhi - incontrammo lo stesso sguardo sbigottito di prima e in quello stesso istante scoppiammo a ridere. Devo ammettere che fu una risata di gusto. Qualcosa di assolutamente irriverente, ma altrettanto terribilmente liberatorio.
Per qualcuno che muore, c’è sempre qualcuno che ride, così, per un paese in lutto, ce n’era un altro in festa. Dall’altra parte della collina o se preferite, dall’altra parte del poggio, nel corso della serata si cominciarono a sentire i tonfi roboanti dei fuochi d’artificio.
Dalla veranda del poggio, riuscivamo ad ammirare le strisce di luce che si perdevano nel cielo.
“BOOM”
Il fragoroso boato risuonava nell’aria.
Lo sentivi nel cuore, per questo guardavamo lo spettacolo in silenzio, ipnotizzati dal milione di luci che cadevano dal cielo.
Lo sentivo come un pugno nello stomaco, perché il mio abbraccio si perdeva nel vuoto.
Tutto quel rumore, spaventava come la solitudine.
Bert si avvicinò ad Amy, sfiorandole la mano. Eric e Fred (che si trovavano alle loro spalle), riuscirono a vedere quel gesto affettuoso. A dire il vero Fred non si accorse di niente.
In una compagnia che si rispetti, c’è sempre qualcuno che non si accorge di niente.
Dietro di loro c’eravamo io e Lee. Mentre guardavo estasiato lo spettacolo pirotecnico,
Lee mi diede un bacio sfuggente, rapidissimo; ci rimasi secco!

Quella notte non fu tranquilla come la precedente; turbato da quel gesto di Lee, feci fatica a prendere sonno.
Ad un certo punto, mentre ero in dormiveglia, sentii qualcuno armeggiare dietro la porta della mia camera, così mi alzai dal letto, per vedere chi fosse.
Purtroppo era solo Fred. Una telefonata l’aveva svegliato nel cuore della notte.
Era scattato l’allarme anti-incendio, nella sede della nostra società informatica.
La sua presenza non era richiesta, ma Fred decise comunque di recarsi immediatamente sul posto.
“Attaccato al lavoro, un uomo decisamente attaccato al lavoro!”, pensai.
In quel momento, non fui dispiaciuto della sua improvvisa partenza. In una compagnia che si rispetti, c’è sempre qualcuno che deve andarsene prima.

Accompagnai Fred alla macchina; fuori il cielo blu era pizzicato da un quarto di luna.
Fred mi salutò frettolosamente e partì.
Un giorno o l’altro devo rivedere il mio concetto amicizia!
Rientrai in casa. Passando dal soggiorno sentii un mormorio provenire dalla cucina.
Non era un bisbiglìo, era più un ansimare. Avvicinandomi alla stanza, la mia percezione su ciò che stava accadendo diventava via via più chiara, ma sospinto dalla curiosità, continuai ad avanzare.
Infilai la testa nella cucina e vidi Amy di spalle, completamente nuda, inginocchiata sul pavimento.
Sotto di lei, la figura di un uomo.
Non riuscivo ad identificare chi fosse, perché la mia visuale era coperta dalla schiena di Amy. Incredibile! Amy stava scopando sul pavimento della mia cucina… io, avrei optato per il tavolo. Allungai il collo, mentre il loro amplesso proseguiva.
Sotto di lei pensavo di scorgere il volto esausto di Eric; in fondo non aspettavo altro che la mia profetica visione si avverasse. Invece, riuscii a distinguere il viso di Bert.
In quell’istante feci immediatamente due considerazioni: la prima, è che io di donne non capisco proprio un cazzo, la seconda è che io, di donne, non capisco proprio un cazzo.
Dopo questo deja vu autolesionista, pensai che Bert era davvero fenomenale, alla fine riusciva ad ottenere tutto quello che desiderava.
Mentre rimuginavo sull’accaduto, decisi di tornare nella mia stanza.
Per evitare qualche altro colpo di scena, mi premurai di controllare che Lee stesse dormendo.
Mentre mi avvicinavo alla sua camera, riuscii a distinguere una serie di singulti.
Appena aprii la porta, vidi Lee seduta sul letto. I suoi occhi erano gonfi di lacrime.
- Adesso che ho conosciuto l’infelicità - disse singhiozzando,
- non potrò che essere felice.
Dritta al cuore. Lee era come una freccia.
Mi avvicinai al letto e dopo averle sfiorato la guancia con una carezza, la baciai.
Che notte fu, quella!


“Chicchirichì” canta il gallo al mattino.
Non mi alzerei dal letto neanche se la sveglia fosse suonata dalla sirena della contraerea.
Oggi inizierà la lenta processione, che vedrà la partenza dei miei amici.
Andranno via uno dopo l’altro, finchè la festa non sarà finita.

In cucina c’era Lee, intenta a preparare la colazione.
Aspettava Bert. Voleva vedere con quale coraggio avrebbe potuto guardarla ancora negli occhi. Lee era consapevole che Bert non aveva alcun ritegno, lui non lo faceva per cattiveria. Bert amava semplicemente tutte le donne. Avrebbe amato anche la mia, se per lui fosse stato necessario.
Amy e Bert s’incontrarono - per caso - in soggiorno. Dapprima scambiarono qualche convenevole, poi iniziarono a discutere, finchè una frase detta ad alta voce, arrivò alle nostre orecchie, decretando il fischio d’inizio di un match, al quale inevitabilmente avremmo assistito.
Amy disse davanti a tutti:
- Bert, tu mi piaci, ma non voglio accontentarmi.
“Eccola, l’aspettavo! La frase ad effetto” pensai.
“Non voglio accontentarmi”.
Queste tre parole, pronunciate da una donna, hanno il potere di gelarti il sangue, di mettere in discussione ogni aspetto della tua vita.
Questa frase dovrebbero vietarla per Legge.
Nelle abitazioni private, nei locali pubblici e negli esercizi commerciali, è vietato proferire i seguenti idiomi: “Non voglio accontentarmi”.
Andrei in Tibet, mi taglierei i capelli a zero, indosserei la veste arancione dei monaci buddisti, passerei tutta la giornata in preghiera, pur di riuscire a comprendere il significato di quella frase.
Bert, invece, se ne uscì con un discorso quanto mai ragionevole.
Le parole che pronunciò, furono quanto di più equilibrato potessi sentire in quel momento…
- Voi donne, per definizione…
Chiedete sempre qualcosa in più, non siete mai quiete.
Bert parlava ad Amy, come se Lee non fosse stata nella stanza.
- Se siete insieme al bravo-ragazzo-su-utilitaria - continuò,
- ambite al modello ragazzo-brillante-su-fuoriserie. Se quest’ultimo già lo frequentate,
desiderate il figo-bastardo-su-motocicletta.
Sapete quando noi uomini andiamo in crisi?
Quando mettiamo in gioco il nostro modo di essere.
All’inizio del rapporto pensiamo che il mondo femminile sia tutto nelle nostre mani.
Appena la nostra personalità viene messa in discussione, prima perdiamo il lume
della ragione e poi, la cognizione di noi stessi.
L’indecisione si manifesta, rendendoci difficili le scelte più facili.
Così, mentre siamo impegnati a scegliere tra cinema e teatro, tra pizzeria e ristorante, tra dolce e salato, la nostra storia d’amore finisce e noi, neanche ce ne accorgiamo.
Per questo non mi metto mai in gioco con le donne, non c’è che una possibilità…
quella di perdere.
Addio Amy, è stato bello… ma addio.
Amy senza fare una piega tornò in camera sua, prese la borsa e senza degnarsi nemmeno di guardarci in faccia, uscì di casa. Tutti sentimmo il rumore dell’auto, che lentamente si allontanava.
Con un cronometro, registrando il tempo che Amy impiegò, per compiere tutte queste azioni, non si sarebbe andati oltre i 10 secondi netti.
Io, Lee e Bert, in quell’istante rimanemmo in silenzio, senza che ci venisse in mente niente.
Mentre eravamo congelati dentro quell’attimo, Eric tornò dalla corsa mattutina.
Appena entrò in casa, Eric vide sua sorella Lee, con gli occhi pieni di lacrime.
Eric aveva incrociato Amy, mentre con l’auto si allontanava dal poggio.
Immediatamente capì che Bert, era riuscito a ferire per l’ennesima volta Lee.
Appena Eric ebbe a tiro Bert, lo colpì con un cazzotto.
Fu un pugno da pugile. Un diretto in pieno viso che mandò Bert dritto al tappeto.
Sei uno stronzo Bert - tuonò Eric.
- Tu e il tuo uccello, mi avete veramente rotto i coglioni!
- Non puoi scoparti tutte le donne che ci sono su questo pianeta!
Adesso basta!
E anche tu Lee - Eric proseguì, prendendosela con sua sorella.
- Non lo vedi con che razza di stronzo hai a che fare?
- Tu non puoi capire - disse singhiozzando Lee.
- No - ribattè Eric, - sei tu che non capisci un cazzo!
Ti fai trattare come una pezza da piedi e continui ad amare Bert incondizionatamente
- poi, proseguì - ma che razza di specie è la donna?
Più vi trattiamo male, più ci morite dietro.
Possibile che siate così masochiste?
- La differenza tra noi donne e voi uomini – Lee parlava con la voce rotta dal pianto.
- E’ che noi amiamo indipendentemente dal fatto che il sentimento sia corrisposto - Dritta al cuore.
Non amiamo solo per il sesso, solo per i soldi, solo per la simpatia o solo per
la bellezza. Amiamo l’uomo che possiede tutte queste doti, nel preciso istante in cui noi
ne abbiamo bisogno - Touchè!
- Già, ma i super eroi esistono solo nei fumetti! - disse Bert, riavutosi dal cazzotto.
- Se non la finisci, te ne arriva un altro - ribadì Eric.
- Vedi Eric, tu puoi picchiarmi fino a domani mattina, il problema non è mio, il problema è di tua sorella - continuò Bert.
- Voglio essere libero di fare quello voglio. Ho impiegato una vita per accettarmi per quello che sono e non cambierò proprio adesso.
- La mia indole è questa, mi dipiace, la mia indole è questa.
Un urlo, una rincorsa e Lee si scagliò contro Bert.
Un urlo, una rincorsa e la luminescente vita di Bert, si spense.
Lee colpì Bert al petto, con un coltello da cucina.
Arrivò dritta al suo cuore, e fu l’unica volta in cui riuscì a farlo veramente.


“Chicchirichì” canta il gallo al mattino.
Dalla cucina non arrivavano né profumi, né rumori.
Le tazze, i cucchiaini, i pentolini, i biscotti, la torta, i cereali, tutto era pronto per la colazione.
Mancavano solo i miei panini con la marmellata.
Appena sveglio, fui assalito da un attacco di panico. All’interno delle quattro mura della stanza, sentii mancarmi il fiato. Non sapevo esattamente perché mi capitava ciò. Doveva essere colpa del mio esaurimento.
Uscii di casa ed iniziai a camminare lungo i filari del vigneto, discendendo la collina.
Mentre inalavo a pieni polmoni il profumo della campagna, un pensiero attraversò la mia mente.
Fu un pensiero forte, un pensiero che mi fece esclamare ad alta voce:
- Ah! Non me ne andrei mai da questo posto.

***

Una macchina sportiva, carrozzeria lucida, finestrini scuri, si fermò ai piedi del poggio, destando la curiosità di un contadino.
Si udì un impercettibile ronzio e il finestrino dell’auto si abbassò.
Buongiorno, sono il rappresentante di una casa editrice, vorrei parlare con
Mr. Albert Amylee, non sa dove posso trovarlo? - chiese il signore sull’auto.
Vuole dire Mr. Albert Frederic Amylee - precisò il contadino.
Sì, quel tale che lavorava come programmatore, che poi ha deciso di ritirarsi in campagna per dedicarsi alla scrittura - disse il rappresentante.
Io l’ho conosciuto, pensi che ha fatto mille mestieri quell’uomo- ribadì il contadino.
Dove posso trovarlo? - chiese il rappresentante.
E’ morto! - disse il contadino.
Quando? - ribattè il rappresentante.
Doveva essere inverno - rispose il contadino.
E allora mi dica almeno se posso rintracciare qualcuno dei suoi amici - disse il rappresentante, mostrando una certa ostinazione.
Amici? Si vede che lei proprio non lo conosceva - ribattè il contadino,
in tre anni, non ho mai visto nessuno fargli visita.
Mr. Albert F. Amylee era scappato dalla città, per colpa di un forte esaurimento - disse il contadino.
Ho capito, e adesso come faccio a dirgli - abbozzò ingenuamente il rappresentante,
- che trovo sorprendente il suo racconto e che vorrei pubblicarlo?
Già, e io che zappo la terra da una vita, come faccio a darle le risposte che cerca?
Un impercettibile ronzio, e il finestrino dell’auto risalì.
L’auto sportiva sparì all’orizzonte.
Adoro prenderli in giro - sogghignò il contadino.
Vengono qui con la loro macchina lucida, cercando di dare un volto alle elucubrazioni della mia mente. Ve lo immaginate voi uno che si chiama Mr.
AL-BERT,
FRED-ERIC,
AMY-LEE ???
Mi raccontano quanto sono bravo a scrivere, poi, non trovando la faccia che vogliono, tornano con la loro auto lucida da dove sono venuti.
Che cosa volete che vi dica, sono un egocentrico.
Una volta qualcuno me l’ha anche detto:
- Gli scrittori hanno sempre un’alta opinione di sé.
Chissà quanti Al, Bert, Fred, Eric, Amy, e Lee ci sono dentro a chi ha avuto il coraggio di fare questa affermazione.
Chissà quanti Al, Bert, Fred, Eric, Amy, Lee, nascono e muoiono, ogni giorno, dentro di voi. Adesso non ho tempo per spiegarvi tutto, i miei filari di “vite” mi attendono.
Poi sapete una cosa?
Non me ne andrei mai, da questo posto!

>>LEGGI LA VERSIONE IN INGLESE DI QUESTO RACCONTO<<

 

© Gianluigi Scelsa





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