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Alla fine
di Simone Fregonese
Pubblicato su PB4


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Alcuni reparti d'ospedale sono un'anomalia che la fisica moderna si ostina ad ignorare: lo spazio si riduce ad una stanza troppo o poco illuminata, il tempo è quello che ti resta.
Catastrofi, sciagure guerre, nascite, sorrisi, risate, campionati: sono oramai solo uno sgradevole brusio, un rumore poco interessante, appena più percettibile dell'odore acre e pungente che impregna l'aria. Anche il sedere che la giovane ed avvenente infermiera esibisce senza malizia fa soffrire: perché non provi nemmeno il desiderio di allungare una mano? E' carne morta, per carne moribonda? Eppure fino a qualche tempo fa era un culo, ora a malapena natiche, e ne soffri, perché il dolore non è solo fisico, no. C'è quel peso nel petto che non t'abbandona mai, quel buco nello stomaco, quell'irrequietezza che t'impedisce di dormire, quell'impotenza non rassegnata.
"Voglio restare!" urla in silenzio ogni cellula del corpo, e pensi a questa o quella testa di cazzo che si meriterebbe di stare al tuo posto ed invece…
"Voglio restare!", e ad ogni invocazione i petto si fa più pesante.
"Sai, è spuntato il primo dentino a…"
Chissenefrega.
"Hanno bombardato…"
Ben gli sta.
"Il cugino Luigi…"
Crepi.
"Vedrai che…"
Io sto morendo!
No. Forse in questa piccola anomalia spazio-temporale: in realtà, anche tu, stai morendo.

Questo accade in alcuni reparti d'ospedale, eppure questi due anziani signori semisdraiati nel loro lettino sembrano aver accettato serenamente il naturale succedersi degli eventi.
Una giornata serena regala all'asettica stanza un po' di luce naturale ed i due hanno voglia di chiacchierare. Uno è un uomo corpulento, con due baffoni importanti, l'altro, magro magro, gli occhi infossati, è fiero possessore di due ciuffetti di capelli che spuntano da dietro le orecchie.
-E' morto quello della ventisette.- comunica il baffone al vicino.
-Ah, era questione di giorni. Poveretto.
-Ha finito di soffrire.
-Già.
-Chi sarà il prossimo?- s'interroga il baffone, e l'inquietante domanda non sembra turbare eccessivamente nessuno dei due.
-Spero proprio d'essero io, tanto da qui non esco più con le mie gambe.
-Ma no, ma no. Che dici? Io piuttosto…
-Per carità! Un altro sembri, un altro, rispetto a qundo sei entrato.
-Sembro un altro ma sono sempre io. In fondo neppure mi dispiace, la mia vita l'ho vissuta, che rimango a fare? Una liberazione, credimi.
-Vedrai, ci seppellirai tutti, tu. Io, piuttosto, sono lì lì. Questo povero cuore…
-Uh! E il mio fegato allora?
-Macché fegato e fegato! E nemmeno a me, sai, importa più molto. E' la natura che segue il suo corso: ringrazio il Signore, invece, di essere arrivato fin qui. Me ne andrò prima io, permettimi d'insistere.
-No, no, no. Se qualcuno deve raggiungere i pascoli celesti, quello sono io; sono pure più vecchio di te.
-E che importa l'età? Non è una questione di anni. Insisto: prima io.
-Non te lo posso permettere, caro mio. Io per primo. Ho avuto una vita anche troppo…
-Mi offendo!- si agita il baffone -Mi offendo! Non azzardarti a morire prima di me!
-M'importa assai.- ribatte il calvo.
-Come?- s'incupisce il baffone.
-Perepepè- lo canzona l'altro, le cinque dita davanti al naso a simulare una trombetta -Perepepè, muoio prima me!
-Guarda che io…- s'infuria il baffone, tentando d'afferrare un vaso per fiori.
-Sì, dai!- lo incita il calvo -Spaccamelo in testa, così ci vado più velocemente, all'altro mondo.
-Maledetto!- ansima il baffone -Vedi, mi fai venire un collasso.
-Collasso?- si preoccupa il calvo -Che collasso? Non ti permettere di…
-Ah, ci rimani come un coglione, adesso.
-Brutto… Guarda che io… Io…- ringhia.
-Che fai, mi ammazzi?- ridacchia l'altro ma il sorriso si spegne subito e le palpebre gli si spalancano tanto da far temere che gli occhi schizzino fuori dalle orbite da un momento all'altro.
-Che ti prende?- chiede il calvo.
Il baffone, tremante, a malapena riesce ad indicare una bizzarra figura che, silenziosamente, s'è intrufolata nella stanza.
Descriverla mi è piuttosto difficile, tanto più che ognuno dei due aspiranti cadaveri la vede in modo diverso: il calvo la identifica come la cognata mentre il baffone, più classicamente, vede uno scheletro vestito d'un saio nero di lana grezza; a tracolla una poco rassicurante falce.
La morte. Ognuno la percepisce come gli pare, cambia la forma ma non la sostanza ed il calvo, pur continuando a vedere la cognata, sa benissimo d'avere davanti la grande parificatrice.
Qualcosa però non va. Una nota stonata, ed è quel foglietto che la morte rigira nervosamente tra le mani, osservandolo alla ricerca di qualcosa che non c'è scritto. Sembra non curarsi dei due: una situazione imbarazzante ma anche fastidiosa; ci piace immaginare la nostra morte come un momento solenne, un piccolo istante di personale gloria mistica. Rimarremmo delusi se non offesi se si presentasse conversando al telefono cellulare con le sfere celesti, come se la faccenda non la riguardasse minimamente. E' proprio questo che ora sta facendo la sorella con la falce. Parla al telefonino, si arrabbia, grida qualcosa sul fatto che una volta allo smistamento non si prendevano raccomandati, che è una vergogna e che san Benedetto può andare in un orribile posto che per pudore non citerò. Chiude la conversazione bruscamente e, non senza una punta d'imbarazzo, sorride agli anziani esterrefatti, quasi a scusarsi.
Per parte loro i due sarebbero disposti magnanimamente a perdonarla anche se, pur villanamente, ella li ignorasse e se ne andasse per i fattacci suoi. Così è l'uomo saggio: non porta rancore.
-Lei è il signor Gustavo?- chiede la morte al baffone.
-Be'… ecco… Dipende. Chi mi vuole?- risponde lui impallidendo, se possibile, ancor di più.
Il calvo, che ha tirato un sospiro di sollievo, ora ha una gran voglia di scherzare e, come ogni degno rappresentante del genere umano, lo fa con chi in quel momento non ne sente minimamente il bisogno.
-Gustavo…- dice -…dove ho già sentito questo nome?- e schioccando le dita -Ah, tu ti chiami Gustavo, no?
-Lei è il signor Gustavo?- insiste la morte.
-Che sarà mai un nome? Poco più di una parola e poco meno di un concetto…- temporeggia baffone-Gustavo.
-Gustavo Sannuzzi?- lo incoraggia la morte.
-Sì.- ammette Gustavo chinando il capo, mentre la vista gli si annebbia ed i pensieri si fanno confusi.
Il calvo, con un larghissimo sorriso, sente l'umano, anzi, umanissimo bisogno di tendere la mano al compagno e porgergli i migliori auguri di buon riposo eterno, quando la voce della cognata-morte lo gela.
-E lei è il signor Anastasio Perreti, immagino.
Il sorriso scompare a velocità supersonica, si sente il botto quando viene superato il muro del suono. Il povero Anastasio si rannicchia sotto la coperta.
-Anastasio?- chiede conferma la morte.
-E che ne so? Non sento. Sono sordo.- piagnucola.
Intanto Gustavo ha riacquistato il suo normale colorito e s'intromette.
-Intende forse quell'Anastasio Perreti che abita in via dei martiri 33?
-Sì.
-Allora è lui.- e sorridente indica il calvo, ancora nascosto sotto le coperte.
Così è l'uomo: se può essere d'aiuto, non esita.
-Bene- riprende la morte -mi fa piacere che ci siate tutti e due.
I poveretti si sentono mancare.
-Vi confesso il mio imbarazzo nell'informarvi che c'è stato un piccolo disguido. Un deprecabile intoppo provocato da un incompetente che si occupa dello smistamento, che se non fosse perché è raccomandato da chi so io… Ecco, in breve, nel programma di oggi mi hanno scritto, e leggo: "Ospedale civile di x, reparto y, stanza ventitré: occupanti Gustavo Sannuzzi e Anastasio Perreti. Prendere solo…
-Solo chi?- urlano all'unisono i due, in preda allo spasimo.
-Solo e basta. Quel cretino non ha indicato altro ed ora mi viene a dire che ha perso la commessa. Non so chi dei due portare via e per me è un bel problema anche perché non posso andarmene a mani vuote. E' la regola.
--Macché regola e regola!- sbuffa Gustavo -Da qui non se ne va proprio nessuno finché la faccenda non verrà chiarita.
-Capisco il suo nervosismo ma le regole non le ho fatte io. Le ha decise uno che non stuzzicherei molto perché, sebbene paziente, se gli girano, uh!, diluvi, acqua che si trasforma in sangue, primogeniti che schiattano! Non è proprio il caso. Piuttosto, dato che, se posso parlare con franchezza, tutti e due mi sembrate lì lì, vi potreste mettere d'accordo; chiudiamo così la questione senza troppo rumore.
-Allora…- sospira Gustavo alzando gli occhi al cielo -Ma sì, al diavolo! Quel che è giusto è giusto. Prendi lui.- ed indica Anastasio.
-Eh? Lui, cioè io? Brutto cardiopatico figlio di puttana!
-Be', che c'è? Non facevi tante storie per essere il primo ad andartene?
-A me pareva che lo volessi tu.
-Apprezza il mio altruismo, quindi. Mi sacrifico, resto qui a soffrire. Sopporterò con stoica rassegnazione la mia croce, mentre tu te la vai a spassare nel regno dei cieli.
-Ah, il filantropo!
-Insomma, non vorrai negare che fino a pochi minuti fa asserivi che…
-Quello era prima, quando non ero ancora sicuro di morire.
-Va là, va là. Tanto bravo a parole anche tu. Buffone.
-Signori!- sbotta la morte -Per cortesia. Cerchiamo di raggiungere un accordo in tempi ragionevoli. Ho parecchia gente che aspetta di morire, oggi.
-Capirai, che ansiosi saranno.- replica seccato Gustavo.
-Signore, tenga per sé l'ironia. Ci sono misteri imperscrutabili nonché delicati equilibri da rispettare. Non sono mica qui per giocare! Sto lavorando.
-Nemmeno noi ci stiamo divertendo.- si risente Anastasio- E anche voi, porca miseria, nemmeno in grado di tenere un registro…
-Lo sapevo, tutti manager esperti. Possibile che i lavori che conosciamo meglio sono sempre quelli degli altri? Dico, ma avete la minima idea della mole di lavoro che ci tocca… Ah, ma chi me lo fa fare di stare qui a spiegarvi! Vi porto via tutti e due, e la facciamo finita.
-Guardi che non lo può mica fare. Abbiamo dei diritti anche noi. Bella questa! Lassù fate casino e poi ve la prendete con noi poveracci. Non si fa così, no!- la rimprovera Anastasio.
La morte arrossisce.
-Avete ragione, avete ragione, ma mettetevi nei miei panni. Io qui rischio il posto per colpa di un idiota raccomandato. Venitemi incontro, a voi che cambia, in fondo? Un giorno? Un anno? Due? Che saranno mai in confronto all'eternità? Bazzecole, inezie, attimi.
I due non prestano però attenzione alle sue parole: se ne stanno seduti, imbronciati, con le braccia conserte, a negare con la testa.
Siete dunque così testardi? Non si può quindi ragionare con voi? Devo prenderne uno a caso?
-Se solo ci prova- minaccia Anastasio -come arriviamo di là spifferiamo tutto ai piani alti.
La morte rimane immobile, titubante. Avrebbe dovuto prenderne uno senza spifferare tutto, maledetta la sua linguaccia. E adesso, guarda che pasticciaccio. In qualche modo bisogna venirne fuori, altrimenti sai che casino, quando torna su? Adocchia un vecchio che curvo cammina lungo il corridoio esterno.
E' indecisa, guarda il foglietto che ancora tiene in mano, torna con lo sguardo al nonnino. In un giorno muore un'infinità di persone. Ognuna ha la sua scheda. Gli schedari scoppiano, ed i dossier, con tutta probabilità, verranno tirati fuori solo il giorno del giudizio, cioè da qui a vattelapesca. Tutto il tempo necessario per sistemare la cose.
-Un'anima sono venuta a prendere ed un'anima avrò.- dice assumendo l'aria terribile che più le si addice. Posa quindi una mano sulla spalla del vecchio e scompare in una nuvola di fumo azzurrognolo. Il nonnino si accascia senza più vita.
-Poveraccio- sospira Gustavo, osservando il corpo immobile.
-Già, se n'è andato.- osserva grave Anastasio.
-Ha finito di soffrire.
-Beato lui.
-Potessi io!- Aggiunge Gustavo sospirando, ma lo fa a bassa, bassissima voce.

© Simone Fregonese





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