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La ballata di Fred Ullmann
di Alina Laruccia
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L’aria di certi giorni ha un odore che non scordi. E’ l’odore di un momento.
Il momento in cui svolti l’angolo e ti ritrovi in una strada che non ricordi, ma che sai che non dimenticherai: una donna,la tua,che sale su un autobus.
Può darti dolore, farti rivivere la prima volta che vedesti l’amore,ma quel dolore ora è come una riconciliazione.
Anche allora, mentre partiva,le guardai le natiche. Le guardavo sempre le natiche,quando si muoveva. Lei diceva che ho la fissa per il culo,io.
Aveva natiche sode e molto belle, pastose, succose, un delitto non guardarle.
Mi chiamo Fred Ullmann, faccio l’arrotino. Riparo ombrelli che si butterebbero via, coltelli sfilati, lame senza più convinzioni. Mestiere che paga da schifo, ma sono un uomo libero, non ho padroni che mi contano le ore.
Mettiti comodo, sto per raccontarti una storia.
Giro su un furgoncino verde,la mia provvisoria casa nel mondo. Qualche indumento, una brandina, il fornellino: il resto è nello spazio del giorno che vivo, in un paese come in un altro e poi in un altro ancora.
Sono ostile alle lunghe fermate. Un luogo mi prende per qualche giorno, poi comincio a dirmi che ci sono altri posti a cui potrei affezionarmi.
Per lei non era così. Certe volte pareva che mi odiasse, per il modo in cui l’amavo. Perché l’amavo,anche quando tornavo da lei solo perché mi vedesse ancora andar via, ripetendo la stessa promessa bugiarda. Tornare sul Bosforo, nella casa che ci aveva fatti incontrare, vetrate grandi a spalancarsi sul mare e noi abbracciati, ignari di quel che un giorno ci sarebbe accaduto.
Una promessa non è un oggetto da niente, che trovi a buon mercato ogni giorno, su qualsiasi piazza e lei ha capito. Ha preso le sue piccole cose ed è andata via, abito a fiori gialli lungo la via, a seminare un addio.
Non conoscevo gesti scaramantici che si usano fare in una storia d’amore,quei riti li avevo superati vivendole accanto, ma quel giorno, mentre andava via, vidi la nebbia calare di colpo e nascondere tutto intorno, anche il suo culo. Come un segnale, un portafortuna per i giorni a venire.
Risalii sul furgone e partii, senza voltarmi indietro. Mi fermai solo quando capii che ero abbastanza lontano anche da me stesso.
Capitai in un posto di poche anime, raccattai giusto qualche lira, così decisi di fermarmi a bere prima di rimettermi in viaggio.
Nella vetrina dell’unico bar c’era ancora un alberello di Natale, tutto luci lampeggianti, proprietario sentimentale o scemo, sotto quel sole d’agosto.
Quelle luci e la musica del juke-box si versavano dappertutto senza pudore e la birra era calda e cattiva.
Mi ritrovai sul marciapiede, stordito, come preso da un vortice. Stavo andando via quando ecco comparirmi davanti uno, con un berrettaccio da marinaio in testa, aria simil-dura che mi fa: "Ti pago una cassa di birra se mi sistemi una serratura".
Che ne so di serrature, io, ma la birra mi tirava un sacco, così lo seguii a casa. Uno scantinato lurido dietro il supermercato, che gli serviva la serratura in un posto così, schifato pure dai topi! Sistemai la porta,un colpo di fortuna e lui: "Ti porto la birra al furgone,tra un’ora".
Un’ora e quel tizio non si vedeva. Due ore e stavo per incazzarmi quando mi chiamarono dal bar.
Aveva sistemato alla meno peggio lo scantinato, chiuso bene la porta con la mia nuova serratura e s’era fatto un gran buco in testa.
Niente birra, ma in una cassa una vecchia chitarra e un biglietto: "Per Fred,prenditi cura di lei".
Cazzo significa? Io volevo la birra, amico, mi hai imbrogliato!
Capii comunque che era meglio filarsela, così presi la chitarra e tornai al furgone.
Da bambino volevo imparare a suonare la tromba, avrei pagato non so che per suonare la tromba, ma di una chitarra proprio non sapevo che farne! La scaraventai sul sedile accanto e lei, SLING, cacciò un suono. Un suono vero, credimi. L'afferrai, allora, e sfiorai le corde, e ancora quel suono…
La musica non comincia con una canzone, non credere ai romantici, a quelli che appiccicano belle parole anche quando pestano una merda. La musica può diventare una canzone, ma comincia con un pianto. Quel suono, SLING, era dovunque, riempiva il furgone. Anch’io piansi. E cominciai a pensare che forse non era stato un errore accettare quella chitarra. Bastava solo sfiorarla e lei seguiva una sua direzione,trasformandola in musica.

© Alina Laruccia





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