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S.O.S.
di Vittorio Baccelli
Pubblicato su PB19


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Tempo, spazio,
né la vita, né la morte
è la risposta:
(Ezra Pound)


Il pilota della navetta stava compiendo distrattamente il solito volo di routine dalla stazione orbitante terrestre all’avamposto lunare. Era partito un’ora prima ed era immerso nella lettura del suo settimanale preferito. La sua presenza sulla navetta era del tutto inutile, l’intero viaggio veniva gestito dal computer di bordo che era collegato in rete sia con gli elaboratori della stazione che con quelli dell’avamposto. Ma le severe leggi dello spazio, e le corporazioni sindacali, prevedevano una presenza umana, anche se questa si era sempre dimostrata del tutto priva d’utilità. Dunque il solito viaggio di routine per un pilota che n’aveva già compiuti centinaia e mai, dico mai, era dovuto intervenire manualmente sui comandi. Mentre dalla lettura stava passando al sonno, una leggera luminescenza viola vibrò all’interno dell’abitacolo seguita da una vibrazione che lo destò all’improvviso. Sorpreso dette un’occhiata alla console e vide che un led del computer di bordo stava nervosamente lampeggiando. Il pilota subito cercò freneticamente le istruzioni per capire cosa diavolo significasse quel led, ma non riuscì a trovare il cubetto di memoria delle istruzioni. Intanto dal verde il colore del led passò al rosso, poi iniziarono ad accendersi molti altri led sulla console e allora il pilota nella totale confusione disinserì le funzioni di guida del computer e lasciò la navetta a volo libero. Dopo l’iniziale sorpresa seguita da un momento di panico, il pilota cominciò ad esser contento: finalmente poteva pilotare manualmente, in anni di lavoro era successo una volta sola, la prima volta che aveva condotto il modulo sulla Luna per conseguire l’abilitazione al volo spaziale di linea. Tutti i mesi doveva fare un viaggio simulato in preparazione proprio di quell’improbabile evenienza che oggi si era verificata. La navetta era carica d’apparecchiature scientifiche e di generi personali che i venti abitanti dell’avamposto avevano richiesto, l’hotel lunare era ancora in costruzione e pertanto per ora i moduli viaggiavano a carichi leggeri, tra qualche anno sarebbe stato tutto diverso, con i passeggeri, i loro bagagli e le necessità dell’albergo. Mentre era immerso in questi pensieri, e anche in quello “finalmente questa volta si pilota sul serio”, accese il comunicatore, ma non riuscì a captare alcun contatto, solo scariche e crepitii. Posizionò il monitor sulla ricerca dei radiofari, ma nessuna traccia apparve sullo schermo, incuriosito allora aprì la schermatura dell’oblò centrale, ma le costellazioni che vide non riuscirono a fargli comprendere l'orientamento. A quel punto fece scarrellare sullo schermo la visione del cielo che si scorgeva da tutta la nave. La Terra e la Luna non erano visibili da nessuna angolazione. Immise le figurazioni delle costellazioni nella memoria del computer, che era stato disattivato solo nelle funzioni di guida, e attese di conoscere ove si trovava nello spazio. Il computer dopo qualche minuto trasmise: “Configurazioni stellari non in file”. “Posizione spaziale non definibile” aggiunse poi dopo alcuni altri minuti, come se avesse riflettuto sulla mancanza delle configurazioni in memoria. A quel punto il pilota riprovò a trasmettere su tutti i canali, ma non riuscì ad ottenere risposte. Un pulsante rosso serviva per trasmettere l’S.O.S. e il pilota si decise ad attivarlo, in venti anni di funzionamento settimanale delle navette, questa fu la prima volta che il pulsante venne premuto. “E adesso vediamo cosa succede”, pensò il pilota, mentre il modulo per inerzia stava sfrecciando chissà dove nello spazio. Lentamente passarono le ore e i giorni… Il pilota aveva ormai perso la nozione del tempo, mangiava dalle razioni che erano abbondanti, beveva le bevande che avrebbe dovuto portare all’avamposto, respirava l’aria che veniva nella nave riciclata quasi all’infinito. Problemi di sopravvivenza immediati, non ve ne erano, ma man mano che il tempo passava il pilota si sentiva sempre più rassegnato a finire i suoi giorni nello spazio. Nelle memorie del computer c’erano un’infinità di olofilm e di programmi di svago, aveva a disposizione enormi raccolte musicali ma la solitudine col tempo cominciò a lasciar spazio alla disperazione. Disperazione e rassegnazione, un senso d’impotenza per non sapere dove si trovasse, in quale spazio, in quale tempo, in quale dimensione, forse aveva incrociato quello che i vecchi scrittori di fantascienza chiamavano un nodo di Bose, un passaggio, un portale, d'altronde le particelle subatomiche spariscono da un punto per ricomparire istantaneamente in un altro, ma la navetta non è una particella subatomica, o forse sì… dipende dalle grandezze in gioco. O forse qualcosa aveva mutato la frequenza della realtà e lui s’era trovato in un altro universo: ci dovevano essere delle informazioni su queste teorie, risalivano ai tempi dei primi avvistamenti Ufo e ai grigi. Anche la piastra neurale era inutilizzabile, essendo tagliato fuori dalla rete sia lui sia il computer; poteva però usare le memorie di bordo, quelle che non aveva escluso. Stava facendo alcuni esercizi di meditazione guidato da un maestro virtuale, quando un trillo del computer lo riportò alla realtà. S’avvicinò alla console e vide sui monitor che una sottile linea era stata tracciata nello spazio tra il suo modulo e un punto che lampeggiava con sequenza settenaria, situato ad una distanza imprecisata nello spazio. Riattivò allora i comandi computerizzati e mise in collegamento l’elaboratore con la fonte del segnale ritmico. Sentì che la navetta mutava leggermente il proprio assetto e iniziava a dirigersi verso la fonte del segnale. Tutto sembrava funzionare di nuovo ma in un set sconosciuto. Tentò allora di comunicare col nuovo contatto, ma nessuna delle frequenze risultò idonea. Il pilota aveva perso la nozione del tempo e non riuscì pertanto a stabilire quanto ne occorse all’avvicinamento, ma quando questo avvenne il modulo accese i razzi di compensazione per diminuire la velocità e prepararsi all’atterraggio. Vicino al punto di contatto il pilota tentò una visualizzazione sugli schermi, e dopo vari tentativi apparve una sfera rilucente grande circa cento volte il modulo stesso. L’avvicinamento ora proseguiva come al rallentatore e nel momento in cui i due corpi stavano per toccarsi, il pilota si preparò all’impatto cercando di rivolgere una preghiera ad una qualsiasi delle divinità terrestri, ma non vi riuscì, tanto era confuso. Un attimo prima dell’impatto, una sezione della sfera sembrò dissolversi e la nave penetrò al suo interno adagiandosi dolcemente su una piattaforma. Il pilota appena riavutosi, andò nel vano merci della navetta e da una cassa estrasse una bottiglia di cognac, l’aprì con un attrezzo e ne assaporò svariate sorsate. Poi iniziò a lavorare con l’ausilio dei sensori del computer, prima analizzò l’atmosfera all’interno della sfera, essa era completamente diversa da quella della Terra, ma il computer digitò che era respirabile e sterile, poi la gravità, anch’essa leggermente più forte, ma accettabile, la temperatura era di circa 30°, la pressione un po’ più debole che sulla Terra, ma anch’essa ben sostenibile dal fisico umano. Il pilota s’infuse coraggio e aprì il portello, aspirò quella strana atmosfera, saltò sul pavimento che sembrava di materia plastica e si diresse verso l’unica apertura che si vedeva in fondo a questo che sembrava, ed era, un hangar vuoto, a parte la sua nave appena giunta. La porta si stagliava rettangolare delle dimensioni di una porta umana, non aveva ante, ma non si scorgeva cosa vi fosse oltre. Il pilota con cautela infilò un dito attraverso il portale e sentì come una leggera resistenza, poi il dito penetrò, allora spinse la mano e poi tutto il braccio. Li lasciò all’interno per qualche secondo, poi ritirò il braccio, se lo guardò, non era successo proprio niente. Infilò allora la testa nell’apertura, sentì una leggera resistenza e nient’altro: vide la stanza, era grande quasi quanto l’hangar e dava la sensazione di essere arredata, ma in modo molto bizzarro. Decise d’entrare e solo allora ebbe la certezza di trovarsi in un manufatto alieno. Nelle pareti vi era tutta una serie di fori con, nella parte bassa, dei rilievi che sporgevano in maniera complessa, poi c’erano come dei cassetti senza maniglie, in un angolo una sedia con un buco circolare aveva tutta l’aria di esser un gabinetto, ma era alta più di un metro, poi vi erano dei parallelepipedi di varia altezza e di colori diversi dei quali non s’intuiva la funzione. Sotto una semisfera si trovava un altro parallelepipedo, quest’ultimo orizzontale che pareva proprio aver le funzioni di letto, ma vi era impressa sopra una sagoma anatomica che aveva assai poco d’umano. Su una striscia di parete vi erano dei geroglifici, simili a quelli egiziani, ma diversi e poi dei disegni stilizzati che ricordavano anch’essi divinità egizie con teste canine. Il pilota si soffermò sui geroglifici e sulle figure e le trasmise al computer, ma il computer non segnalò alcun riferimento noto, la somiglianza era appunto solo una somiglianza. Una parte molto piccola di una parete era poi ricoperta da righe orizzontali multicolori, il pilota si accorse che le righe lentamente mutavano la loro colorazione. Rese visibili al computer le sequenze di righe collegate e lo lasciò ad elaborare un significato, se significato ci fosse stato. C’era poi uno sgabello cilindrico molto alto e il pilota vi salì sopra mettendosi seduto, mentre si sedeva si materializzò una console, più in alto, nella quale vi era l’incavo per due mani, più sottili di quelle umane, ma lunghe il doppio e con tre dita per mano. Si allungò per sfiorare l’incavo e si materializzò un desktop anch’esso solcato da sottili righe colorate in movimento. Lasciò perdere console e desktop, scese e decise di provare quello che sembrava un giaciglio, era morbido, ma con alloggiamento corporeo, per un umano, tutto sbagliato. Rimase sdraiato, e iniziò a riflettere su quello che gli stava succedendo, mentre sentiva che le sue membra stavano indolenzendosi, il sonno lo colse all’improvviso e nel momento in cui si addormentò le luci nella stanza si affievolirono. Al risveglio fu colto dalla fame, e tentò di recarsi sul modulo per rifocillarsi, ma la porta che dava nell’hangar era sparita, il pilota fu colto dalla disperazione e non sapendo cosa fare si avvicinò ai fori che sporgevano da una parete, v’infilò una mano dentro e la ritrasse bagnata. Il liquido appiccicato alla sua mano aveva un buon odore, ci avvicinò la lingua e anche il sapore fu gradevole, quasi fruttato. Ripeté l’esperienza con gli altri fori e da ognuno di essi usciva un liquido più o meno viscoso che aveva l’apparenza d’essere commestibile. Un assaggio qui, un assaggio là, la fame parve svanire e anche la sete. Cominciò a curiosare attorno ai cassetti, ma non trovò la maniera d’aprirli, alle fine stanco si arrese e tornò ad arrampicarsi sullo sgabello della console, mise la sua mano nell’incavo, ma questa volta non successe niente. Dopo molti tentativi infruttuosi per aprirsi un passaggio ove ricordava fosse era la porta per l’hangar, provò se quella strana tazza fosse davvero un gabinetto, e lo era, ed era pure autopulente. ”Qui c’è proprio di tutto per la sopravvivenza” pensò, e si mise a cercare sia la doccia sia l’acqua, ma per il momento non ci fu niente da fare, così si risdraiò su quella specie di scomodo letto e pensò che se le luci fossero più basse si sarebbe riposato meglio e questa volta le luci si affievolirono prima che lui si addormentasse. Al risveglio era meno indolenzito dell’esperienza precedente e si recò ad una bocca per bere un po’ di liquido nutriente, cercò di succhiarlo direttamente con le labbra, ma la forma del condotto non gli permise di farlo, allora infilò ancora una volta una mano e cominciò a leccare il liquido rimasto appiccicato sulla mano stessa. Fece poi attenzione alle barre colorate che si trovavano in un angolo della parete e gli venne in mente che forse erano una forma di scrittura, mentre i geroglifici che assomigliavano a quelli egiziani, forse erano solo dei disegni rituali. Si concentrò sui cassetti ermeticamente chiusi e solo disegnati sulle pareti e mentalmente visualizzò una comune caramella. Un cassetto lentamente si aprì ed era colmo di multicolori sfere traslucide grandi circa il doppio delle nostre caramelle. Ne prese una verde e se la mise in bocca, aveva un sapore vicino alla cannella ma non molto gradevole, allora la sputò in quello che aveva ormai scoperto essere il water e n’assaggiò una rosa, questa era veramente ottima e aveva un gusto floreale. Pensò intensamente di farsi una doccia e nel mezzo alla stanza si accese un faro dal quale scaturiva a cono una strana nebbia colorata. Il pilota si spogliò completamente, si mise sotto quella doccia di vapore e particelle e sentì il suo corpo piacevolmente accarezzato da quei raggi, a lungo restò sotto quell’alieno getto. Quando decise di uscire i suoi vestiti erano scomparsi e un altro cassetto era aperto, dentro c’erano degli accappatoi colorati da stringere in vita con una cinta dello stesso tessuto, ma di diverso colore. Indossò un accappatoio grigio con la cinta verde e questo si modellò al suo corpo, si mise delle strane scarpe grigie da ginnastica dalla suola altissima e queste calzarono come un guanto, poi salì sullo sgabello della console e questa volta l’atto di salire fu agevole. L’ologramma del desktop si materializzò istantaneamente, le sue dita iniziarono a vibrare negli appositi alloggiamenti mentre sullo schermo apparvero linee colorate che si trasformarono pian piano in un linguaggio, del quale lui non riusciva ancora a comprendere il significato, ma si accorse che iniziava ad intuirlo. Riprese l’ispezione della sala e da un piccolo cilindro cominciò ad uscire una nenia melodiosa, una nenia diversa da quelle che aveva finora ascoltate, ma sicuramente molto piacevole e rilassante. Il sonno lo colse di nuovo e il giaciglio fu accogliente, al risveglio le luci s’intensificarono, una dolce musica arrivò ai suoi orecchi e calmò la sete lappando direttamente da un tubo mentre la sua faccia adesso aderiva perfettamente alle sporgenze del tubo stesso. Cubetti caldi e croccanti uscirono da un piccolo cilindro, poi si recò al water e infine fu il momento della doccia. Prese un accappatoio pulito di colore diverso, con un gesto fece riapparire la porta dell’hangar e dette un’occhiata alla navetta sorridendo per la sua rozzezza. Ad un suo cenno una parte della parete si fece trasparente e poté ammirare le costellazioni aliene che brillavano. Poi salì alla console e questa volta con più perizia fece scorrere le righe colorate che divennero listate complesse e comprensibili. Dopo ore di lavoro e d’apprendimento stanco si stese sul letto e al risveglio materializzò uno specchio, ammirò il suo perfetto corpo, alto, fusiforme con una meravigliosa testa di tipo canino e fascinosa, poi con compiacimento si soffermò sulle sue due mani, affusolate, vibranti, perfette, dorate, che terminavano con tre lunghe, bellissime e armoniose dita. Ora sapeva chi era, in quale parte dello spazio si trovava, era pure in grado di guidare la sfera, sapeva dove andare e sapeva anche che era atteso.

© Vittorio Baccelli





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