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Il signore degli inganni
di Fabio Monteduro
Pubblicato su SITO


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L’uomo alzò lo sguardo, come se volesse penetrare lo spesso strato di roccia lunare che li separava dalla superficie e dallo spazio, come se volesse tendere lo sguardo fino a vedere galassie remote che si spostavano lentamente attraverso distese inimmaginabili. Disse: “In tutta la storia umana nessun’altra intelligenza ci ha disturbato, basta che le cose non cambino ancora per poco e saremo al sicuro”. Poi distolse lo sguardo, per non incontrare gli occhi meditabondi dell’essere davanti a lui: un’ermafrodita, creatura trasduttiva e diversa… che lo fissava imperscrutabile. FINE”.

Samuele Gilardi chiuse il libro e rimase a fissarne la copertina, con un senso di delizia che gli attraversava mente e corpo. Isaac Asimov era stato, a suo modesto giudizio di lettore trentennale d’opere di fantascienza, uno dei più grandi scrittori che avesse calcato il suolo terrestre.

Dio doveva esistere, dopotutto, se c’erano persone con una tale creatività.

Posò il libro, con la dovuta riverenza, sul comodino vicino al letto, e si lasciò andare alle sue meditazioni sul futuro.

Era un vero e proprio fanatico del futuro… anzi, per dirla tutta, ne era ossessionato.

Futuro come ossessione? Molti vivono ciò come una patologia, derivante magari da una condizione mentale instabile o da situazioni economiche e/o sentimentali precarie.

Questo non era certamente il caso di Samuele Gilardi.

Egli era un uomo con un lavoro che gli calzava come un guanto, un conto in banca del tutto rassicurante e una ragazza con cui filava, in maniera pressoché perfetta, da quasi 3 anni.

E allora? Da dove proveniva questa sua ossessione?

Samuele Gilardi non era preoccupato per il suo futuro, era tormentato dal pensiero di non poterlo vedere.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere come sarebbe stato il mondo fra tre o quattrocento anni… anzi, di più, lui voleva vedere il mondo tra mille, duemila, cinquemila anni. Sarebbe stato come lo descriveva Asimov? Astronavi che percorrevano l’universo in lungo ed in largo, con motori a Ioni, o magari al Plasma, come recitavano i telefilm di Star Trek.

Come sarebbe stato l’uomo, le città o semplicemente la vita di tutti i giorni nel Dodicimila?

Gli avessero detto: “Ok, ti mandiamo nel futuro, ma potrai restarci solo un giorno, poi morirai”, lui avrebbe accettato.

Il problema era: chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere per lui? Chi mai avrebbe potuto portarlo davanti ad una porta chiusa e dirgli: “Ecco, aprila e vedrai il futuro”?

Nessuno scienziato, poco ma sicuro.

Questa domanda, che gli ronzava dentro da anni come una mosca rinchiusa tra la finestra e la zanzariera, gli fece venire in mente un uomo che aveva conosciuto alcuni anni prima.

 

Barnabia Zumati, era un ex sacerdote cristiano, che per molti anni era stato missionario a Haiti, quel paese così ricco di superstizioni da rappresentare il fulcro di tutto ciò che era paranormale e mistico.

Una volta Barnabia gli aveva parlato del diavolo... e lui, pragmatico com’era, non aveva potuto trattenere un sorriso.

Chi – aveva detto – quello con le corna, gli zoccoli da capra e la coda a punta di freccia?”

Rappresentazione popolare di ciò che invece è reale - aveva risposto Barnabia – Hai idea di quale sia la sua forza?”.

La sua forza? – aveva chiesto Samuele – Da come parli non sembri un missionario cristiano”.

Barnabia Zumati lo aveva guardato di traverso, poi un breve ghigno gli aveva illuminato il viso scarno.

E’ proprio perché sono un ex missionario che so quanto il diavolo sia potente”. Aveva concluso.

Fammi capire – aveva detto quel giorno Samuele – Ne stai parlando come un’entità astratta, giusto?”.

Ne sto parlando come un’entità fisica”. Aveva risposto Barnabia.

 

Questo è matto. Aveva pensato Samuele quel giorno, ma ora quelle parole gli tornarono alla mente e gli parvero molto meno strampalate di allora. E’ se fosse il diavolo la risposta ai suoi quesiti? E se il diavolo, così potente, come lo aveva descritto Barnabia, potesse davvero portarlo nel futuro? Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere il mondo tra diecimila anni, perché non la sua anima?

Si vestì rapidamente ed uscì. Sperava che Barnabia Zumati vivesse ancora dove lui sapeva.

 

La vecchia casa era esattamente come la ricordava, quasi che il tempo, per Barnabia, non avesse avuto nessun senso. E forse era proprio così, perché quando andò ad aprirgli, la faccia che si trovò davanti non sembrava invecchiata di un giorno.

- Samuele – disse l’uomo non appena lo vide.

- Ciao, Barnabia. Ti ricordi di me, dunque?

L’uomo non rispose, si limitò ad un sorriso e a farsi da parte per farlo entrare.

Si sedettero e si guardarono.

La casa era molto disordinata, dava un senso di cose perdute.

Fu Barnabia a rompere il silenzio.

- Come mai sei venuto qua?

Samuele pensò che erano davvero passati degli anni, dall’ultima volta che si erano visti. Lui era stato impegnato a fare carriera, a metter via denaro e a trovare la donna della sua vita; Barnabia, invece, cosa aveva fatto tutto quel tempo?

- Allora? – lo esortò l’uomo.

- Lo sai – affermò Samuele.

- So cosa?

- Tu sai come evocare il diavolo – disse Samuele sempre con quell’espressione risoluta sul viso.

- Il diavolo… - Barnabia annuì lentamente, poi si alzò e andò a riempire un bicchiere di un liquido leggermente torbido. Lo bevve lì sul posto, prima di tornare a sedere.

- Devo chiedergli… - cominciò Samuele, ma Barnabia lo precedette.

- Devi chiedergli del futuro?

- Devo chiedergli di portarmi lì.

- L’ossessione è appena un passo dietro la pazzia, Samuele – disse Barnabia.

- No, c’è dell’altro prima: la passione – fece Samuele.

Ancora una volta Barnabia annuì lentamente.

- Forse il diavolo può… - iniziò Samuele, ma ancora una volta, Barnabia lo interruppe.

- Non sai quello che dici.

- Sì, che lo so… se mi aiuti, sono disposto a darti molti soldi.

- Soldi?

- Diecimila euro… che ne dici?

- Dio o mammona? – fece Barnabia e sorrise.

Samuele lo guardò senza capire.

- E’ la Bibbia, no? – continuò l’ex religioso.

- La Bibbia? Non vedo cosa c’entri la Bibbia con ciò che ti ho…

- Vorresti incontrare il diavolo e credi che la Bibbia non c’entri? – lo interruppe di nuovo quell’uomo strano.

- Stai facendoli furbo con me? – disse Samuele.

Barnabia si fece serio.

- Stai attento a ciò che chiedi, perché potresti ottenerlo.

- Voglio vedere il futuro – disse ancora Samuele, petulante.

Barnabia annuì nuovamente.

- Domani sera… prima di mezzanotte… e porta il denaro - disse.

Samuele si alzò in piedi e fece per andarsene.

- Non dimenticare – lo fermò Barnabia – non dimenticare mai – si guardò intorno teatralmente - egli è il Principe degli Inganni. Lui potrebbe chiedere…

- Può chiedermi ciò che preferisce.

- E se ti chiedesse l’anima?

Samuele alzò le spalle.

- O la vita?

Ancora quel movimento.

- E se chiedesse quella della tua ragazza?

- Tu pensa a farmelo incontrare… il resto non sono fatti tuoi.

Detto questo, Samuele uscì dalla casa.

 

Erano da poco passate le undici, quando Samuele fermò la sua auto davanti alla casa di Barnabia Zumati. La luna si nascondeva tra le nubi, appena rosata, come se avesse paura e si vergognasse per ciò che stava per accadere.

Lo trovò seduto a gambe incrociate sul pavimento.

Samuele mostrò la busta con i contanti.

Barnabia annuì.

- Lasciala su quel tavolo e prendi ciò che c’è sopra.

Samuele si avvicinò e vide una grande ostia rotonda, di quelle che usano i preti per la Messa e una boccettina d’acqua.

- Che roba è? – dissi.

Dentro di Samuele paura ed esaltazione si combattevano ferocemente.

- Devi andare alla chiesa sconsacrata, quella dove quelle suore ammazzarono il parroco... ricordi quella storia, vero?

- Il Sacro Cuore di Gesù… quella con il convento e la scuola elementare.

Barnabia assentì soddisfatto.

- A mezzanotte devi essere lì… non hai molto tempo.

Samuele guardò il suo orologio, segnava le ventitré e venti.

- Cosa devo fare?

- Una volta entrato, ti metterai davanti all’altare, ti masturberai e metterai il tuo sperma sull’ostia consacrata, poi…

- Cosa?

- Non t’azzardare – fece Barnabia.

Samuele ebbe l’impressione di vedere i suoi occhi accendersi per un attimo.

- Poi devi mangiarla. Urinerai nell’acqua santa e la berrai – continuò Barnabia con meno impeto.

Mangiare il mio sperma su un’ostia consacrata e bere la mia urina mescolata a dell’acqua santa… di tutte le cose che aveva immaginato, certamente non c’era nulla del genere. Ma si poteva negare che fossero cose molto attinenti?

- Ti sdraierai nudo tra la polvere e invocherai il suo nome, tre volte – disse Barnabia, poi lo guardò dritto negli occhi e concluse - Ora puoi andartene. Ho finito con te.

- Tutto qui?

Barnabia non rispose. Abbassò la testa e alzò una mano ad indicargli la porta.

Samuele si avviò verso l’uscita.

- Ricorda Samuele. Lui è il Principe degli Inganni. Attento a ciò che chiedi e a ciò che chiederà lui a te.

Samuele lo guardò un’ultima volta ed uscì.

Ci volle quasi mezz’ora per arrivare alla chiesa e almeno altri dieci minuti per scavalcare la recinzione di quel luogo abbandonato.

Samuele si guardò intorno, poi attraversò l’ingresso ed entrò.

L’oscurità lo sorprese come un pugno tirato alla cieca e per un momento considerò l’eventualità di andarsene e di lasciar perdere quella follia, ma mentre lo pensava già si era inoltrato in quelle tenebre.

Ansimando pesantemente, Samuele cominciò a spogliarsi, poi mise l’ostia consacrata davanti a se e si masturbò. Se non altro era da ammirare la sua determinazione, perché di sicuro stava morendo di paura.

Guardò il suo sperma colare sull’ostia, poi se la infilò in bocca, ingoiandola con una smorfia… beh, almeno era roba sua, si fece coraggio.

Presa la bottiglietta di acqua santa e vi orinò dentro, bevendo il tutto senza pensarci.

Valeva sempre la considerazione sul fatto che era roba sua.

Poi si sdraiò in terra, tra la polvere.

Come doveva chiamarlo?

Ricorda – disse nella sua mente la voce di Barnabia Zumati – Egli è il Principe degli Inganni”.

- Principe degli Inganni – disse e trasalì al tono aspro della sua stessa voce.

- Principe degli Inganni, il tuo servo è qui – aggiunse, anche se gli sembrava tremendamente melodrammatico.

- Principe degli Inganni, vieni ad esaudire il mio desiderio.

Ci fu un tonfo davanti all’ingresso della chiesa e qualcosa cadde davanti a lui. Samuele chiuse gli occhi e sperò che fosse già finita.

Passarono alcuni minuti, poi altri ancora. Quasi un’ora, ormai.

- Bastardo, figlio di puttana – disse.

Si alzò e sputò due volte per terra, poi ricominciò a vestirsi.

- Ora vengo a tirarti il collo, Barnabia – annunciò all’oscurità.

Attraversò la chiesa buia ed uscì all’aperto, scavalcando la recinzione cadente. Arrivò alla sua macchina e prima di salirvi, sputò di nuovo in terra.

- Bastardo, hai rubato i miei soldi… mi hai fatto ingoiare il mio sperma e bere la mia urina. Me la pagherai cara.

Accese il motore e partì imprecando e bestemmiando. Lo avrebbe ucciso. Nessuno poteva prendersi gioco di lui. Nessuno!

Fermò l’auto davanti alla casa di Barnabia Zumati. Scese come una furia ed andò a martellare la porta d’ingresso con i pugni chiusi.

- Bastardo – urlò – Pensi di poterti nascondere per sempre?

Nessuna risposta dall’interno.

- Apri, maledetto – disse e con un pugno, che non gli sembrava così potente, strappò la porta dai suoi cardini, facendola cadere, con un tonfo, all’interno.

Samuele gettò un’occhiata e non vide altro che poca, sporadica luce, filtrare dalle assi di legno inchiodate alle finestre; a dire il vero, non gli sembrava nemmeno lo stesso posto. Era indubbio che quella fosse una casa abbandonata da tempo. Dita gelide, come quelle di un morto, andarono ad accarezzargli la colonna vertebrale.

- Hihihihihihi – udì nel buio davanti a lui e quella risatina metallica, fredda, come una lapide in un vecchio cimitero abbandonato, andò a graffiargli i nervi.

- Ti sento ridere – disse, ma con meno ardore. Per niente convinto che fosse stato Barnabia a fare quel verso.

Tornò indietro e si andò a chiudere in auto. Bloccò le portiere e si appoggiò allo schienale.

- Finalmente – disse una voce alle sue spalle e Samuele saltò in aria, come colpito da una fucilata.

Dietro di lui, placidamente seduto sul sedile posteriore, c’era Barnabia Zumati. Portava un grosso paio d’occhiali dalle lenti nere e sorrideva, come se al posto della bocca avesse avuto una tagliola.

- Figlio di puttana – fece Samuele e tentò di colpirlo. Barnabia si difese facilmente e lo mandò a sbattere contro il volante dell’auto.

- Non credo di avere una madre – disse – di certo ho molti figli.

- Hai rubato i miei soldi – fece Samuele, come se quella fosse la cosa più importante, in quel momento. Barnabia sorrise, sempre tagliente.

- Guarda là – disse, indicando un mucchietto di fogli sparpagliati.

Nel medesimo istante in cui Samuele si rendeva conto che erano i suoi euro, ci fu uno sbuffo di fumo e quelli s’incendiarono all’istante.

- Come hai fatto a…? – disse Samuele.

Barnabia abbassò gli occhiali e Samuele si trovò davanti ai suoi occhi… erano quelli di un serpente.

- Perché mi hai disturbato? Cosa vuoi da me?

- Tu… tu sei… sei il…

Barnabia o ciò che una volta ne aveva avuto le sembianze, lo afferrò per il collo e lo mandò a sbattere contro il vetro alla sua sinistra. Quello s’incrinò.

Samuele si tocco la testa, appena dietro l’orecchio sinistro e vide che le sue dita erano sporche di sangue.

- Oh, poverino – fece il diavolo con un ghigno.

Samuele si voltò a guardarlo.

- Io voglio… voglio andare nel futuro – disse con voce piagnucolante.

- Nel futuro? – disse il diavolo pensieroso.

- Farò tutto quello che vuoi, ma portami nel futuro, tra diecimila anni.

Il diavolo sorrise… di certo non era un bel sorriso.

- Almeno sei una persona originale – fece tra se - In tanti secoli nessuno mi ha mai chiesto una cosa del genere.

- Dunque mi porterai? – fece Samuele speranzoso.

- Sei disposto ad adorarmi? – disse il diavolo.

- Sì.

- Sei disposto a dire che io sono il tuo unico dio?

- Sì.

Il diavolo alzò una gamba e poggiò una scarpa davanti alla faccia di Samuele.

- Sei disposto a baciarmi i piedi? – disse con un ghigno spaventoso.

Samuele si allungò e baciò le scarpe che erano state di Barnabia.

- E’ morto molti anni fa, lo sai? – disse il diavolo.

- Chi? – chiese Samuele.

- Il tuo amico Barnabia.

- Non era mio amico… e non m’importa. Voglio andare nel futuro.

- Sei sicuro?

- Sì.

L’auto cominciò a girare o forse fu la sua testa a farlo. Samuele vide il vetro incrinato, il cristallo davanti, il vetro alla sua destra e il viso di Barnabia Zumati, scorrere sempre più velocemente, finché non si trovò davanti il viso terrificante del demonio, con i suoi denti ricurvi, le sue lunghe corna e i suoi occhi da serpente. Urlò e si coprì gli occhi, come un bambino spaventato.

 

Dopo un po’ tornò a riaprirli, lentamente, e si trovò in una stanza quasi buia, solo una debole luminescenza sembrava emanare dai muri.

- Che succede? – disse con un fil di voce.

Il diavolo gli fu accanto in un baleno, lo afferrò per la testa e lo costrinse a guardare davanti a se. C’era una porta di metallo.

- Oltre quella porta è l’anno 12000 – disse in un sussurro e Samuele, ebro di aspettative, fece per lanciarsi.

- Al tempo – disse il diavolo – c’è ancora il mio compenso da discutere.

Samuele si divincolò e si allontanò da lui, ricordando che egli era il principe degli inganni.

- Non è che ora apro la porta e non c’è più nulla? Se nei secoli hai fatto bene il tuo lavoro, magari l’umanità si è persino estinta.

Il diavolo rise, sguaiato.

- Mi hai chiesto di portarti nel 12000… ed io l’ho fatto. Ora scopri da te, cosa ti aspetta e cosa voglio in cambio.

- Non hai già la mia anima? – chiese Samuele.

- Quella l’hai dannata nella chiesa sulla collina… o credi che spalmare sperma sull’ostia consacrata o urinare nell’acqua santa sia una cosa che faccia piacere al signore del piano di sopra?

- Che altro vuoi, allora?

Il diavolo alzò una mano ed indicò la porta.

- Vai. Il tuo tempo è breve.

Samuele si voltò a guardarlo una sola volta, mentre raggiungeva la porta di metallo e ne abbassava la maniglia.

Il diavolo si produsse in un inchino cerimonioso, quanto fuori luogo.

Samuele aprì la porta e un riquadro di tenebre lo sommerse. Si voltò verso la stanza da cui era arrivato e non vide altro che buio. Ma c’erano dei rumori strani, lì fuori.

Poi una forte luce bianca gli si fece incontro, seguita da un suono basso e un po’ ipnotico.

- Che succede? – disse.

La risatina che poco prima lo aveva raggelato, davanti alla casa di Zumati, lo raggiunse di nuovo, in un punto imprecisato alle sue spalle.

- Hihihihihih.

Immediatamente dopo la luce che aveva di fronte, illuminò una strada, un ponte altissimo… poi fu raggiunto.

Ci fu uno schianto assordante e Samuele fu scaraventato contro un muro, batté la testa con violenza e sentì sangue sgorgare immediato, inondandogli la faccia e la camicia.

Ebbe la forza di aprire gli occhi, ma non vide nulla davanti a se.

- Dio… - disse in un sussurro.

- E’ troppo tardi, ragazzo – disse il diavolo. Sembrava essere direttamente davanti a lui, ma Samuele non riusciva a vederlo… Samuele non vedeva assolutamente nulla.

- Mi hai mentito… - fece Samuele.

- Mentito? No, tu sei nel futuro… questo è esattamente l’anno Dodicimila.

- Non è vero, io…

- Oh, si che è vero… non mi credi forse? – e di nuovo quella risata diabolica.

- Come faccio a crederti? Io non vedo nulla…

- La tua vista Samuele.

- Cosa? – fece l’uomo e nonostante sentisse la vita abbandonarlo velocemente, avvertì il panico incrinare la sua voce.

- E’ questo che mi sono preso in cambio… oltre alla tua anima, ovviamente.

- La mia vista?

Un urlo cominciò a formarsi sulle labbra di Samuele Gilardi, ma non si trasformò che in un uggiolio sfiatato… poi non ebbe più nemmeno la forza di respirare… sentì qualcosa di torrido e disperato correre verso di lui.

 

La motovettore si fermò sui suoi cuscinetti d’aria, poi planò placidamente verso la strada. Il guidatore, un giovane vestito con una tuta di poliestere quasi trasparente, si avvicinò a Samuele.

- Da dove sbuca questo qui? – disse in un inglese appena comprensibile – Guarda, mi ha rovinato tutto il rolbar della moto.

Il passeggero dietro, una ragazza con un completo di lucida gomma cristallina, si strinse nelle spalle.

- Ma guarda com’è vestito – disse.

- Mai visto abiti del genere…

- Credi sia morto?

- Non lo so, ma non resterò certo qui ad aspettare che arrivi la Pola. Ho il bagagliaio della moto pieno di anfetametaina. E’ meglio che ce ne andiamo.

Il guidatore salì nuovamente a bordo della sua moto al plasma e si allontanò ronzando sommessamente… e quello fu l’ultimo suono che Samuele Gilardi sentì in vita sua.

L’uomo alzò lo sguardo, come se volesse penetrare lo spesso strato di roccia lunare che li separava dalla superficie e dallo spazio, come se volesse tendere lo sguardo fino a vedere galassie remote che si spostavano lentamente attraverso distese inimmaginabili. Disse: “In tutta la storia umana nessun’altra intelligenza ci ha disturbato, basta che le cose non cambino ancora per poco e saremo al sicuro”. Poi distolse lo sguardo, per non incontrare gli occhi meditabondi dell’essere davanti a lui: un’ermafrodita, creatura trasduttiva e diversa… che lo fissava imperscrutabile. FINE”.

 

Samuele Gilardi chiuse il libro e rimase a fissarne la copertina, con un senso di delizia che gli attraversava mente e corpo. Isaac Asimov era stato, a suo modesto giudizio di lettore trentennale d’opere di fantascienza, uno dei più grandi scrittori che avesse calcato il suolo terrestre.

Dio doveva esistere, dopotutto, se c’erano persone con una tale creatività.

Posò il libro, con la dovuta riverenza, sul comodino vicino al letto, e si lasciò andare alle sue meditazioni sul futuro.

Era un vero e proprio fanatico del futuro… anzi, per dirla tutta, ne era ossessionato.

Futuro come ossessione? Molti vivono ciò come una patologia, derivante magari da una condizione mentale instabile o da situazioni economiche e/o sentimentali precarie.

Questo non era certamente il caso di Samuele Gilardi.

Egli era un uomo con un lavoro che gli calzava come un guanto, un conto in banca del tutto rassicurante e una ragazza con cui filava, in maniera pressoché perfetta, da quasi 3 anni.

E allora? Da dove proveniva questa sua ossessione?

Samuele Gilardi non era preoccupato per il suo futuro, era tormentato dal pensiero di non poterlo vedere.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere come sarebbe stato il mondo fra tre o quattrocento anni… anzi, di più, lui voleva vedere il mondo tra mille, duemila, cinquemila anni. Sarebbe stato come lo descriveva Asimov? Astronavi che percorrevano l’universo in lungo ed in largo, con motori a Ioni, o magari al Plasma, come recitavano i telefilm di Star Trek.

Come sarebbe stato l’uomo, le città o semplicemente la vita di tutti i giorni nel Dodicimila?

Gli avessero detto: “Ok, ti mandiamo nel futuro, ma potrai restarci solo un giorno, poi morirai”, lui avrebbe accettato.

Il problema era: chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere per lui? Chi mai avrebbe potuto portarlo davanti ad una porta chiusa e dirgli: “Ecco, aprila e vedrai il futuro”?

Nessuno scienziato, poco ma sicuro.

Questa domanda, che gli ronzava dentro da anni come una mosca rinchiusa tra la finestra e la zanzariera, gli fece venire in mente un uomo che aveva conosciuto alcuni anni prima.

 

Barnabia Zumati, era un ex sacerdote cristiano, che per molti anni era stato missionario a Haiti, quel paese così ricco di superstizioni da rappresentare il fulcro di tutto ciò che era paranormale e mistico.

Una volta Barnabia gli aveva parlato del diavolo... e lui, pragmatico com’era, non aveva potuto trattenere un sorriso.

Chi – aveva detto – quello con le corna, gli zoccoli da capra e la coda a punta di freccia?”

Rappresentazione popolare di ciò che invece è reale - aveva risposto Barnabia – Hai idea di quale sia la sua forza?”.

La sua forza? – aveva chiesto Samuele – Da come parli non sembri un missionario cristiano”.

Barnabia Zumati lo aveva guardato di traverso, poi un breve ghigno gli aveva illuminato il viso scarno.

E’ proprio perché sono un ex missionario che so quanto il diavolo sia potente”. Aveva concluso.

Fammi capire – aveva detto quel giorno Samuele – Ne stai parlando come un’entità astratta, giusto?”.

Ne sto parlando come un’entità fisica”. Aveva risposto Barnabia.

 

Questo è matto. Aveva pensato Samuele quel giorno, ma ora quelle parole gli tornarono alla mente e gli parvero molto meno strampalate di allora. E’ se fosse il diavolo la risposta ai suoi quesiti? E se il diavolo, così potente, come lo aveva descritto Barnabia, potesse davvero portarlo nel futuro? Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere il mondo tra diecimila anni, perché non la sua anima?

Si vestì rapidamente ed uscì. Sperava che Barnabia Zumati vivesse ancora dove lui sapeva.

 

La vecchia casa era esattamente come la ricordava, quasi che il tempo, per Barnabia, non avesse avuto nessun senso. E forse era proprio così, perché quando andò ad aprirgli, la faccia che si trovò davanti non sembrava invecchiata di un giorno.

- Samuele – disse l’uomo non appena lo vide.

- Ciao, Barnabia. Ti ricordi di me, dunque?

L’uomo non rispose, si limitò ad un sorriso e a farsi da parte per farlo entrare.

Si sedettero e si guardarono.

La casa era molto disordinata, dava un senso di cose perdute.

Fu Barnabia a rompere il silenzio.

- Come mai sei venuto qua?

Samuele pensò che erano davvero passati degli anni, dall’ultima volta che si erano visti. Lui era stato impegnato a fare carriera, a metter via denaro e a trovare la donna della sua vita; Barnabia, invece, cosa aveva fatto tutto quel tempo?

- Allora? – lo esortò l’uomo.

- Lo sai – affermò Samuele.

- So cosa?

- Tu sai come evocare il diavolo – disse Samuele sempre con quell’espressione risoluta sul viso.

- Il diavolo… - Barnabia annuì lentamente, poi si alzò e andò a riempire un bicchiere di un liquido leggermente torbido. Lo bevve lì sul posto, prima di tornare a sedere.

- Devo chiedergli… - cominciò Samuele, ma Barnabia lo precedette.

- Devi chiedergli del futuro?

- Devo chiedergli di portarmi lì.

- L’ossessione è appena un passo dietro la pazzia, Samuele – disse Barnabia.

- No, c’è dell’altro prima: la passione – fece Samuele.

Ancora una volta Barnabia annuì lentamente.

- Forse il diavolo può… - iniziò Samuele, ma ancora una volta, Barnabia lo interruppe.

- Non sai quello che dici.

- Sì, che lo so… se mi aiuti, sono disposto a darti molti soldi.

- Soldi?

- Diecimila euro… che ne dici?

- Dio o mammona? – fece Barnabia e sorrise.

Samuele lo guardò senza capire.

- E’ la Bibbia, no? – continuò l’ex religioso.

- La Bibbia? Non vedo cosa c’entri la Bibbia con ciò che ti ho…

- Vorresti incontrare il diavolo e credi che la Bibbia non c’entri? – lo interruppe di nuovo quell’uomo strano.

- Stai facendoli furbo con me? – disse Samuele.

Barnabia si fece serio.

- Stai attento a ciò che chiedi, perché potresti ottenerlo.

- Voglio vedere il futuro – disse ancora Samuele, petulante.

Barnabia annuì nuovamente.

- Domani sera… prima di mezzanotte… e porta il denaro - disse.

Samuele si alzò in piedi e fece per andarsene.

- Non dimenticare – lo fermò Barnabia – non dimenticare mai – si guardò intorno teatralmente - egli è il Principe degli Inganni. Lui potrebbe chiedere…

- Può chiedermi ciò che preferisce.

- E se ti chiedesse l’anima?

Samuele alzò le spalle.

- O la vita?

Ancora quel movimento.

- E se chiedesse quella della tua ragazza?

- Tu pensa a farmelo incontrare… il resto non sono fatti tuoi.

Detto questo, Samuele uscì dalla casa.

 

Erano da poco passate le undici, quando Samuele fermò la sua auto davanti alla casa di Barnabia Zumati. La luna si nascondeva tra le nubi, appena rosata, come se avesse paura e si vergognasse per ciò che stava per accadere.

Lo trovò seduto a gambe incrociate sul pavimento.

Samuele mostrò la busta con i contanti.

Barnabia annuì.

- Lasciala su quel tavolo e prendi ciò che c’è sopra.

Samuele si avvicinò e vide una grande ostia rotonda, di quelle che usano i preti per la Messa e una boccettina d’acqua.

- Che roba è? – dissi.

Dentro di Samuele paura ed esaltazione si combattevano ferocemente.

- Devi andare alla chiesa sconsacrata, quella dove quelle suore ammazzarono il parroco... ricordi quella storia, vero?

- Il Sacro Cuore di Gesù… quella con il convento e la scuola elementare.

Barnabia assentì soddisfatto.

- A mezzanotte devi essere lì… non hai molto tempo.

Samuele guardò il suo orologio, segnava le ventitré e venti.

- Cosa devo fare?

- Una volta entrato, ti metterai davanti all’altare, ti masturberai e metterai il tuo sperma sull’ostia consacrata, poi…

- Cosa?

- Non t’azzardare – fece Barnabia.

Samuele ebbe l’impressione di vedere i suoi occhi accendersi per un attimo.

- Poi devi mangiarla. Urinerai nell’acqua santa e la berrai – continuò Barnabia con meno impeto.

Mangiare il mio sperma su un’ostia consacrata e bere la mia urina mescolata a dell’acqua santa… di tutte le cose che aveva immaginato, certamente non c’era nulla del genere. Ma si poteva negare che fossero cose molto attinenti?

- Ti sdraierai nudo tra la polvere e invocherai il suo nome, tre volte – disse Barnabia, poi lo guardò dritto negli occhi e concluse - Ora puoi andartene. Ho finito con te.

- Tutto qui?

Barnabia non rispose. Abbassò la testa e alzò una mano ad indicargli la porta.

Samuele si avviò verso l’uscita.

- Ricorda Samuele. Lui è il Principe degli Inganni. Attento a ciò che chiedi e a ciò che chiederà lui a te.

Samuele lo guardò un’ultima volta ed uscì.

Ci volle quasi mezz’ora per arrivare alla chiesa e almeno altri dieci minuti per scavalcare la recinzione di quel luogo abbandonato.

Samuele si guardò intorno, poi attraversò l’ingresso ed entrò.

L’oscurità lo sorprese come un pugno tirato alla cieca e per un momento considerò l’eventualità di andarsene e di lasciar perdere quella follia, ma mentre lo pensava già si era inoltrato in quelle tenebre.

Ansimando pesantemente, Samuele cominciò a spogliarsi, poi mise l’ostia consacrata davanti a se e si masturbò. Se non altro era da ammirare la sua determinazione, perché di sicuro stava morendo di paura.

Guardò il suo sperma colare sull’ostia, poi se la infilò in bocca, ingoiandola con una smorfia… beh, almeno era roba sua, si fece coraggio.

Presa la bottiglietta di acqua santa e vi orinò dentro, bevendo il tutto senza pensarci.

Valeva sempre la considerazione sul fatto che era roba sua.

Poi si sdraiò in terra, tra la polvere.

Come doveva chiamarlo?

Ricorda – disse nella sua mente la voce di Barnabia Zumati – Egli è il Principe degli Inganni”.

- Principe degli Inganni – disse e trasalì al tono aspro della sua stessa voce.

- Principe degli Inganni, il tuo servo è qui – aggiunse, anche se gli sembrava tremendamente melodrammatico.

- Principe degli Inganni, vieni ad esaudire il mio desiderio.

Ci fu un tonfo davanti all’ingresso della chiesa e qualcosa cadde davanti a lui. Samuele chiuse gli occhi e sperò che fosse già finita.

Passarono alcuni minuti, poi altri ancora. Quasi un’ora, ormai.

- Bastardo, figlio di puttana – disse.

Si alzò e sputò due volte per terra, poi ricominciò a vestirsi.

- Ora vengo a tirarti il collo, Barnabia – annunciò all’oscurità.

Attraversò la chiesa buia ed uscì all’aperto, scavalcando la recinzione cadente. Arrivò alla sua macchina e prima di salirvi, sputò di nuovo in terra.

- Bastardo, hai rubato i miei soldi… mi hai fatto ingoiare il mio sperma e bere la mia urina. Me la pagherai cara.

Accese il motore e partì imprecando e bestemmiando. Lo avrebbe ucciso. Nessuno poteva prendersi gioco di lui. Nessuno!

Fermò l’auto davanti alla casa di Barnabia Zumati. Scese come una furia ed andò a martellare la porta d’ingresso con i pugni chiusi.

- Bastardo – urlò – Pensi di poterti nascondere per sempre?

Nessuna risposta dall’interno.

- Apri, maledetto – disse e con un pugno, che non gli sembrava così potente, strappò la porta dai suoi cardini, facendola cadere, con un tonfo, all’interno.

Samuele gettò un’occhiata e non vide altro che poca, sporadica luce, filtrare dalle assi di legno inchiodate alle finestre; a dire il vero, non gli sembrava nemmeno lo stesso posto. Era indubbio che quella fosse una casa abbandonata da tempo. Dita gelide, come quelle di un morto, andarono ad accarezzargli la colonna vertebrale.

- Hihihihihihi – udì nel buio davanti a lui e quella risatina metallica, fredda, come una lapide in un vecchio cimitero abbandonato, andò a graffiargli i nervi.

- Ti sento ridere – disse, ma con meno ardore. Per niente convinto che fosse stato Barnabia a fare quel verso.

Tornò indietro e si andò a chiudere in auto. Bloccò le portiere e si appoggiò allo schienale.

- Finalmente – disse una voce alle sue spalle e Samuele saltò in aria, come colpito da una fucilata.

Dietro di lui, placidamente seduto sul sedile posteriore, c’era Barnabia Zumati. Portava un grosso paio d’occhiali dalle lenti nere e sorrideva, come se al posto della bocca avesse avuto una tagliola.

- Figlio di puttana – fece Samuele e tentò di colpirlo. Barnabia si difese facilmente e lo mandò a sbattere contro il volante dell’auto.

- Non credo di avere una madre – disse – di certo ho molti figli.

- Hai rubato i miei soldi – fece Samuele, come se quella fosse la cosa più importante, in quel momento. Barnabia sorrise, sempre tagliente.

- Guarda là – disse, indicando un mucchietto di fogli sparpagliati.

Nel medesimo istante in cui Samuele si rendeva conto che erano i suoi euro, ci fu uno sbuffo di fumo e quelli s’incendiarono all’istante.

- Come hai fatto a…? – disse Samuele.

Barnabia abbassò gli occhiali e Samuele si trovò davanti ai suoi occhi… erano quelli di un serpente.

- Perché mi hai disturbato? Cosa vuoi da me?

- Tu… tu sei… sei il…

Barnabia o ciò che una volta ne aveva avuto le sembianze, lo afferrò per il collo e lo mandò a sbattere contro il vetro alla sua sinistra. Quello s’incrinò.

Samuele si tocco la testa, appena dietro l’orecchio sinistro e vide che le sue dita erano sporche di sangue.

- Oh, poverino – fece il diavolo con un ghigno.

Samuele si voltò a guardarlo.

- Io voglio… voglio andare nel futuro – disse con voce piagnucolante.

- Nel futuro? – disse il diavolo pensieroso.

- Farò tutto quello che vuoi, ma portami nel futuro, tra diecimila anni.

Il diavolo sorrise… di certo non era un bel sorriso.

- Almeno sei una persona originale – fece tra se - In tanti secoli nessuno mi ha mai chiesto una cosa del genere.

- Dunque mi porterai? – fece Samuele speranzoso.

- Sei disposto ad adorarmi? – disse il diavolo.

- Sì.

- Sei disposto a dire che io sono il tuo unico dio?

- Sì.

Il diavolo alzò una gamba e poggiò una scarpa davanti alla faccia di Samuele.

- Sei disposto a baciarmi i piedi? – disse con un ghigno spaventoso.

Samuele si allungò e baciò le scarpe che erano state di Barnabia.

- E’ morto molti anni fa, lo sai? – disse il diavolo.

- Chi? – chiese Samuele.

- Il tuo amico Barnabia.

- Non era mio amico… e non m’importa. Voglio andare nel futuro.

- Sei sicuro?

- Sì.

L’auto cominciò a girare o forse fu la sua testa a farlo. Samuele vide il vetro incrinato, il cristallo davanti, il vetro alla sua destra e il viso di Barnabia Zumati, scorrere sempre più velocemente, finché non si trovò davanti il viso terrificante del demonio, con i suoi denti ricurvi, le sue lunghe corna e i suoi occhi da serpente. Urlò e si coprì gli occhi, come un bambino spaventato.

 

Dopo un po’ tornò a riaprirli, lentamente, e si trovò in una stanza quasi buia, solo una debole luminescenza sembrava emanare dai muri.

- Che succede? – disse con un fil di voce.

Il diavolo gli fu accanto in un baleno, lo afferrò per la testa e lo costrinse a guardare davanti a se. C’era una porta di metallo.

- Oltre quella porta è l’anno 12000 – disse in un sussurro e Samuele, ebro di aspettative, fece per lanciarsi.

- Al tempo – disse il diavolo – c’è ancora il mio compenso da discutere.

Samuele si divincolò e si allontanò da lui, ricordando che egli era il principe degli inganni.

- Non è che ora apro la porta e non c’è più nulla? Se nei secoli hai fatto bene il tuo lavoro, magari l’umanità si è persino estinta.

Il diavolo rise, sguaiato.

- Mi hai chiesto di portarti nel 12000… ed io l’ho fatto. Ora scopri da te, cosa ti aspetta e cosa voglio in cambio.

- Non hai già la mia anima? – chiese Samuele.

- Quella l’hai dannata nella chiesa sulla collina… o credi che spalmare sperma sull’ostia consacrata o urinare nell’acqua santa sia una cosa che faccia piacere al signore del piano di sopra?

- Che altro vuoi, allora?

Il diavolo alzò una mano ed indicò la porta.

- Vai. Il tuo tempo è breve.

Samuele si voltò a guardarlo una sola volta, mentre raggiungeva la porta di metallo e ne abbassava la maniglia.

Il diavolo si produsse in un inchino cerimonioso, quanto fuori luogo.

Samuele aprì la porta e un riquadro di tenebre lo sommerse. Si voltò verso la stanza da cui era arrivato e non vide altro che buio. Ma c’erano dei rumori strani, lì fuori.

Poi una forte luce bianca gli si fece incontro, seguita da un suono basso e un po’ ipnotico.

- Che succede? – disse.

La risatina che poco prima lo aveva raggelato, davanti alla casa di Zumati, lo raggiunse di nuovo, in un punto imprecisato alle sue spalle.

- Hihihihihih.

Immediatamente dopo la luce che aveva di fronte, illuminò una strada, un ponte altissimo… poi fu raggiunto.

Ci fu uno schianto assordante e Samuele fu scaraventato contro un muro, batté la testa con violenza e sentì sangue sgorgare immediato, inondandogli la faccia e la camicia.

Ebbe la forza di aprire gli occhi, ma non vide nulla davanti a se.

- Dio… - disse in un sussurro.

- E’ troppo tardi, ragazzo – disse il diavolo. Sembrava essere direttamente davanti a lui, ma Samuele non riusciva a vederlo… Samuele non vedeva assolutamente nulla.

- Mi hai mentito… - fece Samuele.

- Mentito? No, tu sei nel futuro… questo è esattamente l’anno Dodicimila.

- Non è vero, io…

- Oh, si che è vero… non mi credi forse? – e di nuovo quella risata diabolica.

- Come faccio a crederti? Io non vedo nulla…

- La tua vista Samuele.

- Cosa? – fece l’uomo e nonostante sentisse la vita abbandonarlo velocemente, avvertì il panico incrinare la sua voce.

- E’ questo che mi sono preso in cambio… oltre alla tua anima, ovviamente.

- La mia vista?

Un urlo cominciò a formarsi sulle labbra di Samuele Gilardi, ma non si trasformò che in un uggiolio sfiatato… poi non ebbe più nemmeno la forza di respirare… sentì qualcosa di torrido e disperato correre verso di lui.

 

La motovettore si fermò sui suoi cuscinetti d’aria, poi planò placidamente verso la strada. Il guidatore, un giovane vestito con una tuta di poliestere quasi trasparente, si avvicinò a Samuele.

- Da dove sbuca questo qui? – disse in un inglese appena comprensibile – Guarda, mi ha rovinato tutto il rolbar della moto.

Il passeggero dietro, una ragazza con un completo di lucida gomma cristallina, si strinse nelle spalle.

- Ma guarda com’è vestito – disse.

- Mai visto abiti del genere…

- Credi sia morto?

- Non lo so, ma non resterò certo qui ad aspettare che arrivi la Pola. Ho il bagagliaio della moto pieno di anfetametaina. E’ meglio che ce ne andiamo.

Il guidatore salì nuovamente a bordo della sua moto al plasma e si allontanò ronzando sommessamente… e quello fu l’ultimo suono che Samuele Gilardi sentì in vita sua.

 

L’uomo alzò lo sguardo, come se volesse penetrare lo spesso strato di roccia lunare che li separava dalla superficie e dallo spazio, come se volesse tendere lo sguardo fino a vedere galassie remote che si spostavano lentamente attraverso distese inimmaginabili. Disse: “In tutta la storia umana nessun’altra intelligenza ci ha disturbato, basta che le cose non cambino ancora per poco e saremo al sicuro”. Poi distolse lo sguardo, per non incontrare gli occhi meditabondi dell’essere davanti a lui: un’ermafrodita, creatura trasduttiva e diversa… che lo fissava imperscrutabile. FINE”.

 

Samuele Gilardi chiuse il libro e rimase a fissarne la copertina, con un senso di delizia che gli attraversava mente e corpo. Isaac Asimov era stato, a suo modesto giudizio di lettore trentennale d’opere di fantascienza, uno dei più grandi scrittori che avesse calcato il suolo terrestre.

Dio doveva esistere, dopotutto, se c’erano persone con una tale creatività.

Posò il libro, con la dovuta riverenza, sul comodino vicino al letto, e si lasciò andare alle sue meditazioni sul futuro.

Era un vero e proprio fanatico del futuro… anzi, per dirla tutta, ne era ossessionato.

Futuro come ossessione? Molti vivono ciò come una patologia, derivante magari da una condizione mentale instabile o da situazioni economiche e/o sentimentali precarie.

Questo non era certamente il caso di Samuele Gilardi.

Egli era un uomo con un lavoro che gli calzava come un guanto, un conto in banca del tutto rassicurante e una ragazza con cui filava, in maniera pressoché perfetta, da quasi 3 anni.

E allora? Da dove proveniva questa sua ossessione?

Samuele Gilardi non era preoccupato per il suo futuro, era tormentato dal pensiero di non poterlo vedere.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere come sarebbe stato il mondo fra tre o quattrocento anni… anzi, di più, lui voleva vedere il mondo tra mille, duemila, cinquemila anni. Sarebbe stato come lo descriveva Asimov? Astronavi che percorrevano l’universo in lungo ed in largo, con motori a Ioni, o magari al Plasma, come recitavano i telefilm di Star Trek.

Come sarebbe stato l’uomo, le città o semplicemente la vita di tutti i giorni nel Dodicimila?

Gli avessero detto: “Ok, ti mandiamo nel futuro, ma potrai restarci solo un giorno, poi morirai”, lui avrebbe accettato.

Il problema era: chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere per lui? Chi mai avrebbe potuto portarlo davanti ad una porta chiusa e dirgli: “Ecco, aprila e vedrai il futuro”?

Nessuno scienziato, poco ma sicuro.

Questa domanda, che gli ronzava dentro da anni come una mosca rinchiusa tra la finestra e la zanzariera, gli fece venire in mente un uomo che aveva conosciuto alcuni anni prima.

 

Barnabia Zumati, era un ex sacerdote cristiano, che per molti anni era stato missionario a Haiti, quel paese così ricco di superstizioni da rappresentare il fulcro di tutto ciò che era paranormale e mistico.

Una volta Barnabia gli aveva parlato del diavolo... e lui, pragmatico com’era, non aveva potuto trattenere un sorriso.

Chi – aveva detto – quello con le corna, gli zoccoli da capra e la coda a punta di freccia?”

Rappresentazione popolare di ciò che invece è reale - aveva risposto Barnabia – Hai idea di quale sia la sua forza?”.

La sua forza? – aveva chiesto Samuele – Da come parli non sembri un missionario cristiano”.

Barnabia Zumati lo aveva guardato di traverso, poi un breve ghigno gli aveva illuminato il viso scarno.

E’ proprio perché sono un ex missionario che so quanto il diavolo sia potente”. Aveva concluso.

Fammi capire – aveva detto quel giorno Samuele – Ne stai parlando come un’entità astratta, giusto?”.

Ne sto parlando come un’entità fisica”. Aveva risposto Barnabia.

 

Questo è matto. Aveva pensato Samuele quel giorno, ma ora quelle parole gli tornarono alla mente e gli parvero molto meno strampalate di allora. E’ se fosse il diavolo la risposta ai suoi quesiti? E se il diavolo, così potente, come lo aveva descritto Barnabia, potesse davvero portarlo nel futuro? Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere il mondo tra diecimila anni, perché non la sua anima?

Si vestì rapidamente ed uscì. Sperava che Barnabia Zumati vivesse ancora dove lui sapeva.

 

La vecchia casa era esattamente come la ricordava, quasi che il tempo, per Barnabia, non avesse avuto nessun senso. E forse era proprio così, perché quando andò ad aprirgli, la faccia che si trovò davanti non sembrava invecchiata di un giorno.

- Samuele – disse l’uomo non appena lo vide.

- Ciao, Barnabia. Ti ricordi di me, dunque?

L’uomo non rispose, si limitò ad un sorriso e a farsi da parte per farlo entrare.

Si sedettero e si guardarono.

La casa era molto disordinata, dava un senso di cose perdute.

Fu Barnabia a rompere il silenzio.

- Come mai sei venuto qua?

Samuele pensò che erano davvero passati degli anni, dall’ultima volta che si erano visti. Lui era stato impegnato a fare carriera, a metter via denaro e a trovare la donna della sua vita; Barnabia, invece, cosa aveva fatto tutto quel tempo?

- Allora? – lo esortò l’uomo.

- Lo sai – affermò Samuele.

- So cosa?

- Tu sai come evocare il diavolo – disse Samuele sempre con quell’espressione risoluta sul viso.

- Il diavolo… - Barnabia annuì lentamente, poi si alzò e andò a riempire un bicchiere di un liquido leggermente torbido. Lo bevve lì sul posto, prima di tornare a sedere.

- Devo chiedergli… - cominciò Samuele, ma Barnabia lo precedette.

- Devi chiedergli del futuro?

- Devo chiedergli di portarmi lì.

- L’ossessione è appena un passo dietro la pazzia, Samuele – disse Barnabia.

- No, c’è dell’altro prima: la passione – fece Samuele.

Ancora una volta Barnabia annuì lentamente.

- Forse il diavolo può… - iniziò Samuele, ma ancora una volta, Barnabia lo interruppe.

- Non sai quello che dici.

- Sì, che lo so… se mi aiuti, sono disposto a darti molti soldi.

- Soldi?

- Diecimila euro… che ne dici?

- Dio o mammona? – fece Barnabia e sorrise.

Samuele lo guardò senza capire.

- E’ la Bibbia, no? – continuò l’ex religioso.

- La Bibbia? Non vedo cosa c’entri la Bibbia con ciò che ti ho…

- Vorresti incontrare il diavolo e credi che la Bibbia non c’entri? – lo interruppe di nuovo quell’uomo strano.

- Stai facendoli furbo con me? – disse Samuele.

Barnabia si fece serio.

- Stai attento a ciò che chiedi, perché potresti ottenerlo.

- Voglio vedere il futuro – disse ancora Samuele, petulante.

Barnabia annuì nuovamente.

- Domani sera… prima di mezzanotte… e porta il denaro - disse.

Samuele si alzò in piedi e fece per andarsene.

- Non dimenticare – lo fermò Barnabia – non dimenticare mai – si guardò intorno teatralmente - egli è il Principe degli Inganni. Lui potrebbe chiedere…

- Può chiedermi ciò che preferisce.

- E se ti chiedesse l’anima?

Samuele alzò le spalle.

- O la vita?

Ancora quel movimento.

- E se chiedesse quella della tua ragazza?

- Tu pensa a farmelo incontrare… il resto non sono fatti tuoi.

Detto questo, Samuele uscì dalla casa.

 

Erano da poco passate le undici, quando Samuele fermò la sua auto davanti alla casa di Barnabia Zumati. La luna si nascondeva tra le nubi, appena rosata, come se avesse paura e si vergognasse per ciò che stava per accadere.

Lo trovò seduto a gambe incrociate sul pavimento.

Samuele mostrò la busta con i contanti.

Barnabia annuì.

- Lasciala su quel tavolo e prendi ciò che c’è sopra.

Samuele si avvicinò e vide una grande ostia rotonda, di quelle che usano i preti per la Messa e una boccettina d’acqua.

- Che roba è? – dissi.

Dentro di Samuele paura ed esaltazione si combattevano ferocemente.

- Devi andare alla chiesa sconsacrata, quella dove quelle suore ammazzarono il parroco... ricordi quella storia, vero?

- Il Sacro Cuore di Gesù… quella con il convento e la scuola elementare.

Barnabia assentì soddisfatto.

- A mezzanotte devi essere lì… non hai molto tempo.

Samuele guardò il suo orologio, segnava le ventitré e venti.

- Cosa devo fare?

- Una volta entrato, ti metterai davanti all’altare, ti masturberai e metterai il tuo sperma sull’ostia consacrata, poi…

- Cosa?

- Non t’azzardare – fece Barnabia.

Samuele ebbe l’impressione di vedere i suoi occhi accendersi per un attimo.

- Poi devi mangiarla. Urinerai nell’acqua santa e la berrai – continuò Barnabia con meno impeto.

Mangiare il mio sperma su un’ostia consacrata e bere la mia urina mescolata a dell’acqua santa… di tutte le cose che aveva immaginato, certamente non c’era nulla del genere. Ma si poteva negare che fossero cose molto attinenti?

- Ti sdraierai nudo tra la polvere e invocherai il suo nome, tre volte – disse Barnabia, poi lo guardò dritto negli occhi e concluse - Ora puoi andartene. Ho finito con te.

- Tutto qui?

Barnabia non rispose. Abbassò la testa e alzò una mano ad indicargli la porta.

Samuele si avviò verso l’uscita.

- Ricorda Samuele. Lui è il Principe degli Inganni. Attento a ciò che chiedi e a ciò che chiederà lui a te.

Samuele lo guardò un’ultima volta ed uscì.

Ci volle quasi mezz’ora per arrivare alla chiesa e almeno altri dieci minuti per scavalcare la recinzione di quel luogo abbandonato.

Samuele si guardò intorno, poi attraversò l’ingresso ed entrò.

L’oscurità lo sorprese come un pugno tirato alla cieca e per un momento considerò l’eventualità di andarsene e di lasciar perdere quella follia, ma mentre lo pensava già si era inoltrato in quelle tenebre.

Ansimando pesantemente, Samuele cominciò a spogliarsi, poi mise l’ostia consacrata davanti a se e si masturbò. Se non altro era da ammirare la sua determinazione, perché di sicuro stava morendo di paura.

Guardò il suo sperma colare sull’ostia, poi se la infilò in bocca, ingoiandola con una smorfia… beh, almeno era roba sua, si fece coraggio.

Presa la bottiglietta di acqua santa e vi orinò dentro, bevendo il tutto senza pensarci.

Valeva sempre la considerazione sul fatto che era roba sua.

Poi si sdraiò in terra, tra la polvere.

Come doveva chiamarlo?

Ricorda – disse nella sua mente la voce di Barnabia Zumati – Egli è il Principe degli Inganni”.

- Principe degli Inganni – disse e trasalì al tono aspro della sua stessa voce.

- Principe degli Inganni, il tuo servo è qui – aggiunse, anche se gli sembrava tremendamente melodrammatico.

- Principe degli Inganni, vieni ad esaudire il mio desiderio.

Ci fu un tonfo davanti all’ingresso della chiesa e qualcosa cadde davanti a lui. Samuele chiuse gli occhi e sperò che fosse già finita.

Passarono alcuni minuti, poi altri ancora. Quasi un’ora, ormai.

- Bastardo, figlio di puttana – disse.

Si alzò e sputò due volte per terra, poi ricominciò a vestirsi.

- Ora vengo a tirarti il collo, Barnabia – annunciò all’oscurità.

Attraversò la chiesa buia ed uscì all’aperto, scavalcando la recinzione cadente. Arrivò alla sua macchina e prima di salirvi, sputò di nuovo in terra.

- Bastardo, hai rubato i miei soldi… mi hai fatto ingoiare il mio sperma e bere la mia urina. Me la pagherai cara.

Accese il motore e partì imprecando e bestemmiando. Lo avrebbe ucciso. Nessuno poteva prendersi gioco di lui. Nessuno!

Fermò l’auto davanti alla casa di Barnabia Zumati. Scese come una furia ed andò a martellare la porta d’ingresso con i pugni chiusi.

- Bastardo – urlò – Pensi di poterti nascondere per sempre?

Nessuna risposta dall’interno.

- Apri, maledetto – disse e con un pugno, che non gli sembrava così potente, strappò la porta dai suoi cardini, facendola cadere, con un tonfo, all’interno.

Samuele gettò un’occhiata e non vide altro che poca, sporadica luce, filtrare dalle assi di legno inchiodate alle finestre; a dire il vero, non gli sembrava nemmeno lo stesso posto. Era indubbio che quella fosse una casa abbandonata da tempo. Dita gelide, come quelle di un morto, andarono ad accarezzargli la colonna vertebrale.

- Hihihihihihi – udì nel buio davanti a lui e quella risatina metallica, fredda, come una lapide in un vecchio cimitero abbandonato, andò a graffiargli i nervi.

- Ti sento ridere – disse, ma con meno ardore. Per niente convinto che fosse stato Barnabia a fare quel verso.

Tornò indietro e si andò a chiudere in auto. Bloccò le portiere e si appoggiò allo schienale.

- Finalmente – disse una voce alle sue spalle e Samuele saltò in aria, come colpito da una fucilata.

Dietro di lui, placidamente seduto sul sedile posteriore, c’era Barnabia Zumati. Portava un grosso paio d’occhiali dalle lenti nere e sorrideva, come se al posto della bocca avesse avuto una tagliola.

- Figlio di puttana – fece Samuele e tentò di colpirlo. Barnabia si difese facilmente e lo mandò a sbattere contro il volante dell’auto.

- Non credo di avere una madre – disse – di certo ho molti figli.

- Hai rubato i miei soldi – fece Samuele, come se quella fosse la cosa più importante, in quel momento. Barnabia sorrise, sempre tagliente.

- Guarda là – disse, indicando un mucchietto di fogli sparpagliati.

Nel medesimo istante in cui Samuele si rendeva conto che erano i suoi euro, ci fu uno sbuffo di fumo e quelli s’incendiarono all’istante.

- Come hai fatto a…? – disse Samuele.

Barnabia abbassò gli occhiali e Samuele si trovò davanti ai suoi occhi… erano quelli di un serpente.

- Perché mi hai disturbato? Cosa vuoi da me?

- Tu… tu sei… sei il…

Barnabia o ciò che una volta ne aveva avuto le sembianze, lo afferrò per il collo e lo mandò a sbattere contro il vetro alla sua sinistra. Quello s’incrinò.

Samuele si tocco la testa, appena dietro l’orecchio sinistro e vide che le sue dita erano sporche di sangue.

- Oh, poverino – fece il diavolo con un ghigno.

Samuele si voltò a guardarlo.

- Io voglio… voglio andare nel futuro – disse con voce piagnucolante.

- Nel futuro? – disse il diavolo pensieroso.

- Farò tutto quello che vuoi, ma portami nel futuro, tra diecimila anni.

Il diavolo sorrise… di certo non era un bel sorriso.

- Almeno sei una persona originale – fece tra se - In tanti secoli nessuno mi ha mai chiesto una cosa del genere.

- Dunque mi porterai? – fece Samuele speranzoso.

- Sei disposto ad adorarmi? – disse il diavolo.

- Sì.

- Sei disposto a dire che io sono il tuo unico dio?

- Sì.

Il diavolo alzò una gamba e poggiò una scarpa davanti alla faccia di Samuele.

- Sei disposto a baciarmi i piedi? – disse con un ghigno spaventoso.

Samuele si allungò e baciò le scarpe che erano state di Barnabia.

- E’ morto molti anni fa, lo sai? – disse il diavolo.

- Chi? – chiese Samuele.

- Il tuo amico Barnabia.

- Non era mio amico… e non m’importa. Voglio andare nel futuro.

- Sei sicuro?

- Sì.

L’auto cominciò a girare o forse fu la sua testa a farlo. Samuele vide il vetro incrinato, il cristallo davanti, il vetro alla sua destra e il viso di Barnabia Zumati, scorrere sempre più velocemente, finché non si trovò davanti il viso terrificante del demonio, con i suoi denti ricurvi, le sue lunghe corna e i suoi occhi da serpente. Urlò e si coprì gli occhi, come un bambino spaventato.

 

Dopo un po’ tornò a riaprirli, lentamente, e si trovò in una stanza quasi buia, solo una debole luminescenza sembrava emanare dai muri.

- Che succede? – disse con un fil di voce.

Il diavolo gli fu accanto in un baleno, lo afferrò per la testa e lo costrinse a guardare davanti a se. C’era una porta di metallo.

- Oltre quella porta è l’anno 12000 – disse in un sussurro e Samuele, ebro di aspettative, fece per lanciarsi.

- Al tempo – disse il diavolo – c’è ancora il mio compenso da discutere.

Samuele si divincolò e si allontanò da lui, ricordando che egli era il principe degli inganni.

- Non è che ora apro la porta e non c’è più nulla? Se nei secoli hai fatto bene il tuo lavoro, magari l’umanità si è persino estinta.

Il diavolo rise, sguaiato.

- Mi hai chiesto di portarti nel 12000… ed io l’ho fatto. Ora scopri da te, cosa ti aspetta e cosa voglio in cambio.

- Non hai già la mia anima? – chiese Samuele.

- Quella l’hai dannata nella chiesa sulla collina… o credi che spalmare sperma sull’ostia consacrata o urinare nell’acqua santa sia una cosa che faccia piacere al signore del piano di sopra?

- Che altro vuoi, allora?

Il diavolo alzò una mano ed indicò la porta.

- Vai. Il tuo tempo è breve.

Samuele si voltò a guardarlo una sola volta, mentre raggiungeva la porta di metallo e ne abbassava la maniglia.

Il diavolo si produsse in un inchino cerimonioso, quanto fuori luogo.

Samuele aprì la porta e un riquadro di tenebre lo sommerse. Si voltò verso la stanza da cui era arrivato e non vide altro che buio. Ma c’erano dei rumori strani, lì fuori.

Poi una forte luce bianca gli si fece incontro, seguita da un suono basso e un po’ ipnotico.

- Che succede? – disse.

La risatina che poco prima lo aveva raggelato, davanti alla casa di Zumati, lo raggiunse di nuovo, in un punto imprecisato alle sue spalle.

- Hihihihihih.

Immediatamente dopo la luce che aveva di fronte, illuminò una strada, un ponte altissimo… poi fu raggiunto.

Ci fu uno schianto assordante e Samuele fu scaraventato contro un muro, batté la testa con violenza e sentì sangue sgorgare immediato, inondandogli la faccia e la camicia.

Ebbe la forza di aprire gli occhi, ma non vide nulla davanti a se.

- Dio… - disse in un sussurro.

- E’ troppo tardi, ragazzo – disse il diavolo. Sembrava essere direttamente davanti a lui, ma Samuele non riusciva a vederlo… Samuele non vedeva assolutamente nulla.

- Mi hai mentito… - fece Samuele.

- Mentito? No, tu sei nel futuro… questo è esattamente l’anno Dodicimila.

- Non è vero, io…

- Oh, si che è vero… non mi credi forse? – e di nuovo quella risata diabolica.

- Come faccio a crederti? Io non vedo nulla…

- La tua vista Samuele.

- Cosa? – fece l’uomo e nonostante sentisse la vita abbandonarlo velocemente, avvertì il panico incrinare la sua voce.

- E’ questo che mi sono preso in cambio… oltre alla tua anima, ovviamente.

- La mia vista?

Un urlo cominciò a formarsi sulle labbra di Samuele Gilardi, ma non si trasformò che in un uggiolio sfiatato… poi non ebbe più nemmeno la forza di respirare… sentì qualcosa di torrido e disperato correre verso di lui.

 

La motovettore si fermò sui suoi cuscinetti d’aria, poi planò placidamente verso la strada. Il guidatore, un giovane vestito con una tuta di poliestere quasi trasparente, si avvicinò a Samuele.

- Da dove sbuca questo qui? – disse in un inglese appena comprensibile – Guarda, mi ha rovinato tutto il rolbar della moto.

Il passeggero dietro, una ragazza con un completo di lucida gomma cristallina, si strinse nelle spalle.

- Ma guarda com’è vestito – disse.

- Mai visto abiti del genere…

- Credi sia morto?

- Non lo so, ma non resterò certo qui ad aspettare che arrivi la Pola. Ho il bagagliaio della moto pieno di anfetametaina. E’ meglio che ce ne andiamo.

Il guidatore salì nuovamente a bordo della sua moto al plasma e si allontanò ronzando sommessamente… e quello fu l’ultimo suono che Samuele Gilardi sentì in vita sua.

© Fabio Monteduro





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