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Dieci giorni
di Paolo Bertoli
Pubblicato su PBSI2008


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Primo giorno

Rieccoci, piccolo diario mio, era da tanto che non ti parlavo più. Credevo di essere felice. E quando si è felici non c’è bisogno di un amico con cui sfogarsi. Ti ho comprato in un mercatino del centro, sei fatto a mano, hai una copertina di cuoio e un piccolo laccio di pelle per chiuderti. Mi servi resistente.
Da oggi, ogni sera scriverò qualcosa. Prometto.Oggi è il primo giorno di un lungo cammino che, spero, mi porterà ad un vita interiore un po’ più serena. Oggi è il primo giorno del nuovo grande proposito: Dimenticare. Rinascere. Riprendermi in mano. Diventare donna. Diventare questa donna, nuova e pur sempre la stessa.
Tu sei il mio unico confidente fin da quando sono piccola. Tu mi conosci e non mi giudichi. E con te non mi sento obbligata a essere felice, o bella, o simpatica; posso essere come sono e non come gli altri mi vorrebbero. E posso scrivere come mi pare, solo per me e per te.
E lui se n’è andato da 31+26 giorni. Cinquantasette giorni. Mi sento vuota e sola. Mi alzo la mattina e d’istinto un braccio lo va a cercare nell’altra piazza del letto. Ma lui non c’è. Non c’è più capisci? Mi sento come se mi dovessi afflosciare da un momento all’altro, come in quel film che ho visto l’altro giorno, in cui arrivano degli alieni che con armi potentissime risucchiano i corpi degli uomini e ne lasciano solo dei vestiti vuoti e svolazzanti. Mi sento così. Risucchiata via.
Oggi è il primo giorno, ma la mia fronte non è alta. Mi sento sfinita. Lentamente, ce la devo fare. Dimenticare.
Per ora basta così, non sono più abituata.
A domani.

Secondo giorno.

Oggi l’ho rivisto. Prima di incontrarlo ho riletto le lettere che lui mi mandava, all’inizio della nostra storia, così piene di amore e di speranza. Non dovevo. Quanto mi hanno fatto male! Quella frase poi, non me la scorderò mai, quelle parole, sono una ferita aperta che non si rimarginerà più, temo: Non lasciarmi mai, amore mio, e amami con tutta la follia e l’energia che ti appartengono e che mi fanno rinascere nuovo, ogni giorno.
Dimmelo tu, che sei l’unico amico mio, come si fa a scrivere cose così e poi dimenticarsele in un attimo, da un giorno all’altro. Come si fa a mandare tutto a rotoli solo per delle piccole... incomprensioni. Mi sembra di essermi svegliata in un incubo. Una mattina ti alzi, ed è tutto diverso. Lui… non c’è più. Tutte le piccole tappe del tuo fallimento, però, tu non le vedi più. Non so come dire. I giorni, tanti, in cui lentamente il vostro rapporto si è frantumato come un muro troppo friabile, non ce li hai più, davanti agli occhi, non li vedi più, non li vuoi vedere, ora che lui non c’è… tu rivedi solo i momenti in cui gli brillavano gli occhi ed eravate
I N N A M O R A T I … oh, che ti devo dire, è così! è proprio così, non esagero, me lo rivedo nel mio letto, e lo guardo, e vedo solo quello, nient’ altro, lui che dorme, nel mio letto, quanto è bello vederlo dormire, cogl’occhi chiusi, sfiorargli il labbro con il dito, ascoltarlo respirare, sentirgli mormorare qualcosa, vedere le sue labbra che diventano un piccolo sorriso, il sorriso del mio amore che gli entra dentro fino al cuore. E oggi invece, erano due mesi che non ci vedevamo, cinquantotto giorni, per la precisione, eravamo in macchina, davanti a casa sua, era una scena triste, gli ho ridato i suoi maglioni e i suoi libri e il suo anello, sì, anche quello, quel suo fottuto piccolo anello con cui diceva di avermi sposato, a modo suo, Sposami bimba, mi aveva detto, quella sera, al mare, con gli occhi che luccicavano come perle, Qui, adesso, non ci serve nessun prete e nessuna chiesa, sposami, resta con me, per sempre. E io mi ero sciolta in un brodo di giuggiole e mi era sembrata una cosa bellissima e davvero romantica, e Certo, gli avevo detto, che ti sposo, qui e adesso, come vuoi tu.
Oggi lui ha preso i libri e i maglioni, l’anello tienilo, ha detto, quello è un regalo... oh ma, ma come si fa ad essere così superficiali? Quello è un regalo, ha detto, puoi tenerlo. E tutto quello che c’era dietro, a quel regalo, lo posso tenere? Quel per sempre, lo posso tenere? Non te le ricordi più quelle due piccole parole così importanti per me? Macchè. Lui sorrideva. Lui non prova più niente, si vede. Come minimo si sarà già trovato una troietta con cui sostituirmi. Oggi aveva un’aria fraterna, amica, tinta di una gentile compassione, era così lontano e diverso da quel ragazzo appassionato che avevo conosciuto e amato con tutta me stessa. Sorrideva. E io lo odiavo. Volevo solo investirlo con tutto il mio dolore, con tutte le parole che non ho mai avuto il coraggio di dirgli, ma sentivo che non se non se lo meritava, una voce dentro di me mi diceva che non dovevo umiliarmi oltre, che non se lo meritava, il mio dolore, le mie lacrime, la mia anima devastata...e mentre rimettevo l’anello in tasca, dalla radio è uscita quella maledetta canzone di Tiziano Ferro che era stata la colonna sonora del nostro primo incontro, e mi si sono velati gli occhi e ho cominciato a piangere. Mi sono sentita patetica e... brutta, triste, in una parola, indesiderabile; lui mi ha accarezzato la testa e ha sorriso, io tremavo tutta, e avevo le guance bagnate dalle lacrime e non riuscivo a parlare. Mi ha detto di tirarmi su e di trattarmi bene, e mi ha augurato tutto il bene del mondo e mi ha detto di essere felice, che me lo merito. Sono tornata a casa e ho strappato le sue lettere ed ero infuriata e in cuor mio gli ho augurato tutto il male, del mondo, e… ascoltami bene, piccolo diario mio ME LO DEVO DIMENTICARE. Okay?
Tutto chiaro? Tu mi darai una mano, mi fa bene scrivere.
Non ci voglio più pensare, non ci devo più pensare.
…ma è difficile. Vivo da giorni con un infinità di piccole spine che mi si conficcano da tutte le parti, sono i ricordi, i ricordi di quel ‘noi’ che non esiste più, frammenti infiniti e infinitesimali, tessere del mosaico di quel nostro amore che ormai è solo una stagione del passato; mi basta poco, per cadere in un pozzo di desolazione, uno sguardo, una musica, una frase. Piccoli coriandoli che mi rimangono sulla pelle, sotto i vestiti, ogni giorno. Martelli sul mio cuore. E la cosa che più mi fa imbestialire è che non tutto mi parla di lui, ma solo le cose più belle. Solo le canzoni più romantiche, solo i film più struggenti e commuoventi, ogni cosa bella, mi parla di quel bastardo che mi fa stare così male e che è sparito dalla mia vita, così, da un giorno all’altro, come un brutto male, cinquantotto giorni or sono.


Terzo giorno

Siamo arrivati al terzo giorno e non mi sono ancora attaccata alla canna del gas. Possiamo dire che va bene, piccolo amico mio. Mi continuo a ripetere giorno dopo giorno, ora dopo ora, che Devo voltare pagina anch’io. Devo voltare pagina anch’io. Oggi gli ho mandato un sms, non ho resistito, lo so, è stato un errore, ma non ce la facevo più e mi sono umiliata ancora, e non potevo fare a meno di umiliarmi, di raschiare il fondo del barile dei sentimenti e delle suppliche, Io ti amo ancora, gli ho scritto a 31+28 giorni da quando ci siamo lasciati, Ti amo, e non ti dimentico. Sono una fallita piccolo diario mio. Sapevo benissimo che avrei avuto una risposta come quella che ho avuto: Anch’io ti ho amato moltissimo ma ora capisco che è giusto così e io non mi faccio problemi e vado avanti e ora sto bene così…e poteva metterci una virgola, almeno. Piccolo bastardo.
E allora io non ho resistito e quell’attacco di malinconia che mi frullava di dentro si è mutato in odio e rabbia e voglia di spaccare tutto, e non ho potuto fare a meno di scrivergli che Io non l’ho mai amato uno così, che pensa solo a fare il fighetto per la via della città, e fa solo finta di scrivere delle belle lettere e di amare con il cuore, e invece poi cambia la morosa come cambia un paio di scarpe, e ho solo fatto un enorme errore a fidarmi di uno come lui e …poi basta perché erano già tre messaggi e mi sentivo umiliata a filtrare il mio dolore dentro a quegli stupidi sms. Lui li adora, gli sms. Anch’io li adoravo. Quando all’inizio mi mandava quelle frasi che erano come i raggi di un sole accecante che porta via tutte le nuvole. Ah, dimenticavo… gli ultimi messaggi, tutti pieni di insulti reciproci; quando sentirai di quest’ultima cosa di sicuro capirai perché sono così sconvolta e perché scrivo così incasinata. Io sto uscendo con una persona, ora. E sto bene, e spero che tu trovi qualcuno di giusto per te. Ero seduta, in camera, quando mi è arrivato l’sms, le pareti mi sono piombate addosso, ho sentito il colore sparire dalla mia pelle, il cuore dentro al petto…oh, quello poi, sembrava un pallone da rugby impazzito e imprigionato dentro a una scatola troppo fragile per contenerlo.
Ha già trovato un’altra.
Ha già trovato un’altra...
…ma per lui è più facile, lui è un uomo bellissimo, ricordo che ogni donna si girava a guardarlo, quando entravamo abbracciati nei locali, e lo so che tutte si chiedevano come facesse uno così a stare con una come me, che con quella bellezza non ha mai avuto niente a che spartire. E quello che lo rende un bastardo è che lui lo sa e l’ha sempre saputo, di essere bello, e la bellezza è potere… lo odio perchè lui si può permettere di avere chi vuole, e allora si dimentica di me in un attimo. Non ha paura di rimanere solo, può avere chi vuole, quando vuole. Io non riesco nemmeno a immaginare, di volere qualcun’altro. Non capisce che io vedevo in lui molto di più, di quella semplice e banale bellezza esteriore. Io vedevo dove iniziava e dove finiva. Quanto sono stata stupida, piccolo diario mio, quanto mi rode questa situazione, mi ci vorrebbe una lobotomia, portatemi via la parte del cervello che ancora si ricorda di lui, portatemi via la parte del cuore che ancora lo ama. Ti prego. Piccolo diario mio, aiutami almeno tu.
Forse tu, sei quello giusto per me.
Basta, ora letto e dolore. Trattati bene, trattati bene.
P.S: Hai visto quanto ho scritto oggi?

Quarto giorno.

Non faccio altro che guardare dei film alla tv. Mi aiuta a non pensare. Le ragazze con cui condivido l’appartamento erano stufe di vedermi sempre così triste e allora stasera sono piombate in camera mia e È ora di uscire, mi hanno detto, Così non si può andare avanti, staccati da quella dannata tivvù. Ci siamo fatte belle e ci siamo messe tutte in tiro e siamo andate in centro. Mi hanno portato nei locali alla moda, e poi in discoteca. Purtroppo non è servito a nulla e ho sperato tutta la sera di tornare presto a casa. Quelli erano i posti che frequentavo con lui, e ad andarci con le amiche mi sembrava di essere senza una parte di me. Mi sembrava che tutti mi guardassero strano, con occhio compassionevole, mi sentivo un caso umano. Poi, le mie amiche, sono diverse da me. Loro si lasciano e si prendono coi morosi ad ogni piè sospinto, e comunque anche se magari sono single hanno amici di letto, hanno molte compagnie, non hanno scrupoli nel tradire, fare sesso con chi capita... oh, ma perchè io sono così diversa? oh, che tormento!
Gli sms dell’altro giorno, li ho cancellati tutti. Purtroppo stasera, appena tornata a casa, ne ho riletto uno, uno degl’ultimi. Era rimasto in memoria. C’hai trentanni, c’era scritto, Non puoi dire certe cose, lo so che mi amavi e non è giusto che mi insulti, non eravamo felici, insieme, lo sai.I miei trent’anni. Oh! quanto ci aveva pestato, negli ultimi tempi, quel piccolo bastardo. Mentre lui non faceva altro che comprarsi vestiti nuovi, abbronzarsi, e andare in palestra e in discoteca a fare il figo. Ventenne dei miei stivali. Non è giusto che mi faccia sentire vecchia. Lui che mi aveva fatto rinascere. Lui così giovane, bastardo e bello. Prima di lui, anni fa, diarino mio tu lo sai, ce n’era stato solo uno. Ho avuto un solo ragazzo, prima di lui. E anche quello ha tracciato un solco dentro di me che ancora fa male, a pensarci, anche adesso che la ferita è un’altra ed è così tremendamente difficile da curare. A volte penso che non ce la faccio, che forse, mollare tutto, non sarebbe poi così male, se solo mi venisse da fare un sorriso sincero, davanti alla vita, se solo non mi svegliassi dentro ad incubi che mi creo da sola… perché forse è solo colpa mia, del mio esser così maniacale, e precisa, e rigorosa, i libri ben impilati, gli orari ben scanditi, tutto dev’essere preciso come lo voglio io… lui non mi sopportava quando facevo così. Lui voleva la mia follia e la mia energia. Ma per me il mondo dovrebbe essere come un sogno, come un enorme puzzle dove tutti i pezzi si incastrano perfettamente. Purtroppo però, ho capito da tempo che le persone non sono pezzi di puzzle, e devono smussare un po’ i loro spigoli, se vogliono stare insieme. Forse è questo il mio problema. Io non mi smusso. Io sono come sono. E adesso patisco. Non so che pensare, piccolo diario mio
(ma so che non pensare, a volte, aiuta).
Trent’anni, vecchia. Patetica.
Notte, speriamo domani vada meglio.



Quinto giorno


Chi può essere quella dannata troia? Sicuro una di quelle stronze dell’università, quelle studentelle svampite e giovani e tutto sesso! Oddio, no, una di quelle della palestra, giovani e belle e tremendamente in forma. Giovani giovani giovani. Io ho paura a guardarmi allo specchio. Ce li vedo, a chiacchierare davanti a un bel bicchiere di vino rosso, che a lui piaceva tanto e a me faceva venire le sfogazioni sulla pelle, ce lo vedo quel porco infilare gli occhi nella scollatura di quella… oh, ma quanto sono stupida, basta. Niente da fare, quinto giorno, tutto è sempre più difficile. 31+30+1 giorno. Sessantadue giorni. Nulla cambia.







Sesto giorno

E se tu adesso fossi qui, piccolo bimbo bastardo, ti direi che è quando si entra nelle categorie che si esce dal sogno, quando si entra nelle parole… che i sogni vacillano! Perchè non lo capisci? Ti amo, ti amavo, non ti amo più… che diavolo significa? Amare è un verbo che si può coniugare solo al presente. Io non mi evolvo, diceva Picasso, Io sono.
E io amo.
Ti.
Amo.
Per me NON ESISTE ‘ti amavo’ o ‘ti ho amata…’. Per me esiste ti amo. In corsivo. Ti amo. E non smetterò mai. Come si fa a dire ‘ Non ti amo più’? ma ‘più’ cosa? Io non amo ‘più’ o ‘meno’. Amarti è un sogno che non finisce mai, che non può finire. Amarti è il sorgere del sole, è il fiorire delle piante… Amarti non è retorica. Amarti è esistere. Amarti è fuori dal tempo, Amarti è sempre, Amarti è tutto. Io non so smettere, di amare. Mi avete sempre tutti abbandonata, infatti,in vita mia. Io non sono capace, di lasciare.
Quando tu mi dicevi Ti amo io ti dicevo Ridillo. E sai perché? non solo per l’intimo piacere che mi procuravano quelle due parole, ma anche, e soprattutto, per la sottile paura che, in un attimo solo, tu potessi cambiare idea, perché un attimo solo può bastare, a quelli come te, per dimenticare…
Io sono diversa.
E quindi ora il mio sogno è un incubo infinito, l’amore un eterno tormento, e tu… non ci sei più, semplicemente, non esisti più, sei diventato categoria, tu sei solo una parola, sei solo un’ombra senza vita, un’immagine senza contorni,sei solo un cadavere dentro al mio cuore.


Settimo giorno

Non riesco a parlare, nemmeno a te, oggi no. Lo so che avevo promesso, ma non ci riesco. Non capisco cosa stia succedendo, quello che è successo oggi è così... Oddio non mi vengono le parole, la vita è una merda.

Ottavo giorno

Dunque, proviamoci. Chissà che mi aiuti a stare meglio. Spero di riuscire a scrivere. Andando avanti con le parole capirai perché ieri non ho potuto scrivere più di quello che ho fatto. Stavo guardando un film, ieri, era mezzogiorno, più o meno, tutto era come sempre, quando è squillato il telefono.
Oddio è tutto così strano…
Era la polizia. Mi chiedevano se potevo andare in centrale, il prima possibile. Io non temevo nulla di grave, non avevo idea del motivo della mia convocazione, ma pensavo fosse una roba di multe magari, una cosa così, senza importanza, d’altronde non ho mai fatto nulla di male per cui... Insomma che sono arrivata là verso l’una... oddio, non riesco quasi a scrivere, è incredibile quello che può capitare in una vita...
Un poliziotto mi ha portato nell’ufficio del Commissario capo, non ricordo il nome. Era un tipo basso e grasso, pelato, col fare arrogante, sprofondato in una poltrona di pelle. Alla sua destra, c’era un altro poliziotto, il tenente qualcosa, molto alto e smilzo, con un piccolo pizzetto e i capelli folti e ... no! Non riesco a raccontare come se fosse la pagina di un romanzo, no! non ci riesco! piccolo diario mio, com’è possibile? ti rendi conto? ME L’HANNO UCCISO!
Lui, il mio amore bastardo, il mio pensiero fisso di sessantaquattro giorni ormai, l’uomo che ha attraversato la mia anima e non se n’è mai più andato, che io sento ancora vivo qui, vicino a me, dentro di me, che non ho mai dimenticato nemmeno quando mi ha trattato come una merda, nemmeno quando mi ha lasciato, nemmeno quando l’ho odiato con tutta me stessa...io...io... non ho mai permesso al suo spirito di abbandonarmi... e...e tu lo sai…Non mi vengono le parole, amico mio, l’hanno ammazzato! un pirata della strada, l’ha preso sotto ed è scappato. Chi può aver fatto una cosa simile? Non so cosa pensare, mi butto nel letto sperando di sciogliermi in un liquido denso e attraversare le coperte, il materasso, penetrare le pieghe e i mattoni, e rimanere inghiottita, al sicuro, nel cuore del mondo. (Piccolo diario mio, se solo tu potessi parlare, mi diresti di smetterla di piangere, visto che sono proprio io quella che pochi giorni fa gli augurava tutto il male possibile. Smettila di piangere, stupida inutile e indesiderabile donna.)

Nono giorno

Non posso lasciare la città. Mi hanno detto i poliziotti.
La cosa mi riesce facile visto che è due mesi che non metto il naso fuori di casa. Hanno detto che in quanto sua ex sono una persona informata dei fatti o qualcosa del genere, e quindi devo rimanere reperibile. Mi hanno fatto un lungo interrogatorio, l’altro ieri, al commissariato, un’infinità di domande, e per me è stato difficile perchè non ci capivo nulla, ero già abbacchiata per il mio mal d’amore e una cosa così proprio non me l’aspettavo... e quindi non riuscivo a spiccicar parola ed ero solo angoscia e singhiozzi. Quando mi hanno lasciato andare sono tornata a casa e le mie amiche sapevano già tutto, conoscevano il mio ex e avevano sentito dell’omicidio da un servizio speciale che era andato in onda in tv. Mi hanno abbracciato in silenzio e hanno pianto insieme a me. Menomale che c’erano loro. Poi mi ha chiamato la mamma, e mi ha consolato come solo lei sa fare.
Qualche ora dopo, io ero sul letto, in camera mia, quando hanno suonato alla porta. Era il tenente del commissariato, quello alto e smilzo. Le ragazze lo hanno fatto entrare, e lo hanno portato in camera mia, e lui si è seduto sul letto, accanto a me, con molta... delicatezza, sì piccolo diario mio, delicatezza è la parola giusta. E abbiamo parlato per molto, molto tempo. Non era un interrogatorio, i suoi toni erano molto più gentili di quello sbruffone di un Commissario che c’era in centrale. Poi, ha ricevuto una telefonata, mi ha detto che doveva andarsene a proseguire le indagini, e se n’è andato dicendo che sarebbe tornato anche oggi per parlare ancora e così ha fatto, infatti. Ha detto di star tranquilla, e mi ha guardato con apprensione, forse temeva che facessi qualche pazzia, visto com’ero triste. Non so. É stato gentile. Poi oggi…
Ora sono stanca, e penso quasi di avere sonno, sono parecchi giorni che dormo poco e male e quindi, mi perdonerai amico mio, se ti lascio e vado a dormire.







Ultimo giorno

Il tenente ha detto che, comunque, potrò continuare a scriverti, piccolo amico mio. Non proprio qui, ma su un altro diario, che mi daranno loro. Ultimo giorno dunque, per questo te cartaceo, ricoperto di pelle, e col cordino. Sei durato solo dieci giorni, peccato. Speriamo che quello che mi forniranno sia bello come te. Ogni sera, avrò un’ora per scrivere. Il tenente ha detto che gli potrebbe venire utile, per capirmi. È garbato, e carino anche. E ha detto che verrà a trovarmi spesso, qui dove sono ora. Ieri è tornato ancora a casa mia, come aveva detto, e abbiamo parlato per un po’, e poi mi ha portato qui.
Ha detto che ho bisogno di attenzioni, che devono curarmi…
Il tenente dice che vivo in un mondo mio, che ho bisogno di affetto e di qualcuno che si prenda cura di me. Dice che sei scritto bene, piccolo diario mio, e non so se l’ha detto per pura gentilezza, ha detto che gli verrai molto utile, per aiutarmi. Il tenente dice che mi invento tutto, che vivo in una realtà diversa. Tu non li guardi, i film, ha detto, Tu li vivi. Dentro di te. Dice che c’entro qualcosa con la morte del mio piccolo amore bastardo… dice che l’altra sera non posso essere uscita con le mie amiche perché non esiste nessuna amica e nessuna coinquilina, che vivo sola già da un po’…e pensa che si è permesso di affermare che non ho neppure i genitori, che sono orfana da sempre (ignorando che proprio l’altro giorno ho ricevuto una telefonata dolcissima dalla mamma…) e dice che è tutto una mia invenzione… ed è per quello che non esiste uno straccio di nome proprio, tra le mie parole… e poi ha parlato della mia macchina, ha detto che era ammaccata e piena di graffi, e insomma che a sentire il tenente, loro lo sanno, che sono stata io. Dice che quando entro nel mio mondo posso essere molto pericolosa, sia per me che per gli altri, anche se non è proprio colpa mia, ma di qualcosa che ho dentro e che ogni tanto si scatena senza che io lo possa controllare, e che… che fa esplodere tutti i pezzi del puzzle. Lui dice che funziono così, soffro, distruggo, e poi, lentamente, dimentico, e ricostruisco. D’altronde era questo che mi ero ripromessa di fare, e tu lo sai. Dimenticare. Dice che io agisco così, di rimozione, mi sforzo per creare e dimenticare. Pensa te. La gente dev’essere proprio tutta impazzita! Io non dimentico nulla e non mi invento nulla. E tu lo sai. L’anello che ho al dito mi ricorda che devo rimanere con i piedi ben piantati per terra, se non voglio soffrire ancora, se non voglio che i martelli ricomincino a battere sul mio cuore. Il tenente ha detto che mi guarirà, col tempo - ma non credo ce la farà, a farmi diventare come vuole lui, insomma… dice delle cose che non stanno né in cielo e né in terra! se va avanti così arriverà persino a negare il fatto che sono una donna…
Ora devo scappare, addio, piccolo unico amico mio, domani un altro giorno e un altro te. Un nuovo diario, e pur sempre lo stesso. Questa volta per me, per te, e anche per il tenente, e la sua gentilezza. Con tutta la mia energia, e la mia follia. Scusa se ho scritto così di fretta, ma l’infermiere è già entrato, ora mi sta guardando e aspetta con impazienza che finisca di scrivere queste mie ultime parole. In mano ha una camicia di forza.
Notte amico mio, il resto a domani.

© Paolo Bertoli





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