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Primavera del '44
di Enrico Pietrangeli
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Primavera del quarantaquattro, la giornata è vanamente tiepida e serena, continuano movimenti di truppe tedesche che si susseguono da giorni. Dal fronte adriatico, sotto l’alto comando del generale Kesselring, confluiscono a contrastare le armate alleate su quello tirrenico. Puntuali, da qualche giorno, sfrecciano incursioni di caccia britannici per intercettare linee e rifornimenti del nemico. Roma non è lontana, dista meno di cinquanta chilometri, e qui l’orizzonte è contornato di aperta campagna: per lo più ulivi tra ondulati pendii di colline.
Sento e comprendo quanto sta accadendo, ne conosco i luoghi, lo spazio e persino il tempo. Lo vedo in prima persona, senza neppure essere stato concepito, attraverso gli occhi di mia madre e sotto forma di coscienza astrale. Di primigenia essenza ho facoltà di percepire, disincarnato nell’ovocita quiescente. Un destino sospeso tra ipotalamo ed ipofisi che, in balia di ormoni, mi porta all’infuori del tempo, tra gli eventi di quella stessa visione. Mia madre, giovane donna provata ma forte, gode di un’ottima funzione ciclica dell’ovaio, con mestruazioni regolari impiantate da una buona produzione di ormoni steroidei.
Stamani attraversa i campi, guardinga e ancora un po’ bambina, trasformando l’incombente pericolo in una sorta di gioco, per trovare, nella fantasia, un’ulteriore via di uscita. Porta nel ventre, stretta, una borsa d’acqua calda con dentro olio fresco di molitura. È a pochi passi dalla via Salaria, da più di quindici minuti il fuoco sembra tacere e, tra le retrovie, transitano ancora reparti di SS in scorta a munizioni e rifornimenti. Un camion la nota e si ferma; il sergente Brunner, in uno stentato ma collaudato italiano, la invita, educatamente, offrendole un passaggio. Lei indugia, ma non più di qualche istante, per poi prendere posto tra i commilitoni, sopra casse di proiettili e dinamite.
Il percorso è lungo e, di mezzi civili, all’epoca se ne vedevano davvero pochi. Lui, il sergente, continua di tanto in tanto a sghignazzare raccontando improbabili barzellette tra tedesco ed italiano. Lei, da parte sua, sembra quasi incurante del pericolo di tutto quell’arsenale ma, nondimeno, è rigida e timorosa nel trovarsi sola, in una morsa di uomini a farle contorno. Lo sguardo di Brunner, tra una battuta e l’altra, si lascia distrarre da quel poco di caviglia che fuoriesce dalla gonna. Poi, all’improvviso, un rombo cupo si addensa, ovunque, nello stomaco. Il sergente dà ordine di lasciare il veicolo, tutti corrono lungo la scarpata.
Giallo! Vedo giallo negli occhi di mia madre che fugge, corre via accasciandosi a terra. La scarica di adrenalina si assesta, frazioni di secondi, e la polvere sollevata riprende un grigio, più naturale colore, tra il sangue e le grida soffocate dal rumore dei motori, nel boato della deflagrazione. Fluttuo, a mia volta, terrorizzato, spintonato tra altri oviciti. È una carneficina, diversi non arriveranno ad assestarsi, predisponendosi ad una futura, più feconda vita: nobili ovulazioni pronte a rincorrere il sogno di baciare lucenti getti di spermatozoi e divenire esistenza! Io, con la più paradossale delle fortune, quella del sopravvivere, dal menarca mi assesto nella zona più attiva e prossima alla menopausa. Sarò uno degli ultimi superstiti all’atresia, nonché predestinato a concepimento; uno strano frutto di quel primo “boom economico”, in bianco e nero, ancora in odore di dopoguerra… L’insolito incontro con l’ostinata volontà di un flusso spermatico tardivo ma innamorato del vivere e, soprattutto, di mia madre. Come loro ho conosciuto l’amore, nella strisciante guerra di una protratta pace, attraverso gorghi d’egoismo e solitudine, sentendomi ancora vivo.

© Enrico Pietrangeli



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