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Carta di riso
di Stefania Loma
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CARTA DI RISO

Daniele.

Avevo riportato dalla spiaggia quel libro, ma mi pesava trovarmelo in casa: mi dava l’impressione di conservare indebitamente un segreto. Quel giorno le guance mi avevano fatto male per il sorriso da mezzo ebete, mezzo perché mi rifiuto di esserlo per intero, che avevo sostenuto tutto il pomeriggio. Buongiorno. Prego. Macchiato? Al Bar Blu i clienti si erano alternati senza sosta.

Era stato un buon aprile, con turisti poco chiassosi ed abbastanza educati. Le giornate calde, ma non afose, mi avevano spesso trattenuto fuori.

La casa non è il mio rifugio, ma lo zaino che contiene le cose che mi servono. Prima di rientrare rimango ore sugli scogli, e leggo i miei fumetti.

Lei non lo capiva, ma io, dopo il lavoro, ho bisogno di stare da solo. 

 

Lisa

Quando è entrato quell’uomo un po’ strano, stavo consegnando lo scontrino ed il Mucovil ad una signora con la tosse.

      -    Sei Lisa? -  mi chiese senza preamboli.

-         Chi lo vuole sapere?

-         Ho una cosa per te.

Lasciai il banco e mi avvicinai, era fermo davanti allo scaffale degli alimenti per celiaci.

     -    Sto lavorando, cosa vuole?

-        E’ importante, credo che questo ti appartenga.

Mi consegnò un grosso volume foderato di carta di riso beige, era evidente che si trattava di un prodotto artigianale.

- Tornerò domani, se mi sono sbagliato lo riprenderò perché…perché non ho alternative.

Non aggiunse altro ed uscì.

Lo posai sulla scrivania nel retro e me ne dimenticai per un po’.

 

Daniele

Uno degli aspetti più belli della nostra relazione era saperla mia. Non importava se non le ripetevo continuamente che l’amavo, ne era certa. Non aveva bisogno di dimostrazioni eclatanti o di fughe romantiche. Vivevamo insieme, dopo tutto quella era la prova d’amore più grande.

Rappresentava tutto ciò che un uomo potesse desiderare, con quel suo mix di dolcezza, erotismo e carattere. Anzi no, era tutto ciò che desideravo io. Ogni cosa passava in secondo piano davanti ai suoi seni rotondi, al viso lentigginoso, alle parole che riempivano ogni secondo ed ogni angolo.

Mi sentivo un uomo soddisfatto. La mia vita è stata una linea continua fino a quel maledetto aneurisma, ed allora  è diventata un segmento. I medici hanno detto che si è trattato di un problema congenito. La mia donna aveva la scadenza ed io non lo sapevo. Come pensate che mi sentissi in quel periodo?  Il  pomeriggio del 5 aprile non era diverso dagli altri che lo avevano preceduto.

Mi ero seduto sul bagnasciuga, non avevo voglia di fare niente. Lei se n’era andata, non mi aspettava nessuno. Non avevo fretta, non ne avevo mai avuta, in realtà.

Tenevo tra le mani l’ultimo numero di Dylan dog, l’ho chiuso e aperto non so quante volte senza leggerlo. Alla fine l’ho rimesso nella sacca.  Erano passati mesi dalla sua morte e mi sembrava che l’amore che ci aveva uniti si fosse dissolto nel nulla, restavano soltanto inutili ricordi. Non era servito a niente averla amata, era tutto perduto. Che spreco.

Stavo per andare via, ho raccolto le scarpe e mentre raggiungevo il marciapiede ho urtato con l’alluce qualcosa di duro. Ecco, il mio incontro con il libro è avvenuto così: inciampandoci.

 

Lisa

Si stava avvicinando l’ora di chiusura, era uno dei momenti più duri per me.  Fino a poche settimane prima lui sarebbe stato fuori ad aspettarmi. Avrei incrociato il suo sguardo e per un momento sarei andata in apnea. E poi ci saremmo abbracciati e baciati ed a  casa mia avrebbe fatto di me quello che voleva.  Ero pazza di lui. Quando me ne resi conto fu come affrontare gli effetti devastanti di una sbornia, perché  capii di averlo investito di un ruolo che non voleva assumersi. Stavo spingendo troppo, mi aveva detto. Mi amava ma non era  pronto per il matrimonio, una scusa fin troppo abusata.

Si sentiva messo alle strette, e pensare che quando mi aveva invitata per un romantico pranzo sulla spiaggia, ho pensato che finalmente si fosse deciso. Aveva organizzato tutto nei minimi dettagli; dentro lo zaino che si era trascinato dietro riuscì a introdurre: due flut, una bottiglia di Ferrari, le meringhe alla panna di cui sono ghiotta e fragole. Mi avrebbe chiesto di sposarlo e saremmo stati insiemi fino alla morte.

Illusa. Dopo due anni l’idea del matrimonio era ancora l’ultimo dei suoi pensieri.  Così, quando per l’ennesima volta gli dissi che desideravo un impegno più serio, litigammo.  Se non mi voleva per tutta la vita,  non mi avrebbe avuta nemmeno per un altro giorno.

Me ne andai, pregandolo di non cercarmi mai più.

 

Daniele.

Portai il libro a casa, ma per molti giorni restò chiuso sulla poltrona. Mi chiedevo se non avessi fatto meglio a lasciarlo dove si trovava. Ricordavo esattamente il momento in cui lo avevo raccolto pensando: che faccio, lo ributto tra la sabbia o lo porto via? Quando l’ebbi tra le mani mi sentii come un ragazzino che trova dieci euro per terra: ci mette un piede sopra, fa l’indifferente e si guarda intorno per capire se qualcuno li sta cercando; poi li mette in tasca e si allontana. Avevo fatto lo stesso.

Una sera ho deciso di aprire la prima pagina, più per noia che per interesse.  C’era una dedica: a Lisa. Nella seconda pagina era incollata la foto  della vetrina di una farmacia; sotto c’era scritto: INIZIO.

Il libro era nelle mie mani ed anche se sentivo che non mi apparteneva, ne ero responsabile. Mi bastò un’occhiata superficiale per capire che chi l’aveva ideato si era  impegnato molto per realizzarlo. Cosa ci facevo con quella roba in casa mia? Erano trentasei pagine piene di immagini,  foto, appunti e post-it, che pur  non rivelando a prima vista un ordine particolare, lasciavano intuire l’esistenza di un progetto.

Mentre voltavo i fogli di cartoncino color avorio, mi sembrava di averla ancora accanto, quando con la sua curiosità  chiedeva cosa stavo facendo. Improvvisamente quell’insieme di foto e note acquistarono un senso; raccontavano una storia, quella di un uomo che ha incontrato una donna e se ne è innamorato. Le strade di Sanremo facevano da sfondo, ma non si trattava di un semplice  reportage sulla mia città. Nelle prime pagine erano ritratti luoghi: vie, negozi, auto. Sotto ogni foto un commento: il primo aperitivo, la prima passeggiata, il primo bacio, il primo regalo. Poi il mezzo busto di una giovane donna e sotto c’era scritto: TU. Ed ancora: un ristorante, una pizzeria, una strada, l’Ariston. La prima cena, quando hai offerto tu, il primo concerto, venirti a prendere. Nell’ultima pagina c’era il disegno di due ragazzi che si baciavano davanti alla farmacia. La ragazza era vestita come la TU dei primi fogli. Sotto c’era scritto: PER SEMPRE.

Era un bel lavoro, un po’ troppo melenso per i miei gusti, ma ne apprezzai la forma e l’originalità.  La questione è che non sapevo cosa farci. Forse, se lei fosse stata ancora con me, mi avrebbe aiutato a capirlo, ma non  c’era.

Stavo così bene prima di incontrarla, ed invece la mia vita dopo di lei era maledettamente vuota. Sarebbe stato meglio non conoscerla affatto, perché la sua mancanza mi provocava un dolore disperato.

Una  sera, mentre andavo in edicola a comprare l’ultimo numero di Dylan dog, ho avvertito una sensazione di familiarità. Non era come distinguere luoghi abituali, quanto piuttosto sentire di trovarsi in mezzo ad una storia che si conosce già. Sarò passato da via Dante centinaia di volte, ma quella fu diversa. Ogni palazzo, ogni portone, ogni incrocio evocavano un ricordo, finché vidi il riflesso della mia immagine sulla vetrina di una farmacia: la farmacia.  Spiai all’interno e riconobbi la ragazza. Ero quasi certo che si trattasse di Lisa, TU.

 

Lisa

Mi ritrovai, senza sapere bene come, seduta in cucina con il libro aperto sul tavolo, davanti ai miei occhi. Era di Marco, lo aveva realizzato per me.  Esprimeva tutti i sentimenti della cui esistenza avevo dubitato. Corsi da lui, grazie a Dio mi perdonò. Scoprii così che lo aveva portato con se’ quel giorno sulla spiaggia per donarmelo, e gli era caduto inavvertitamente dallo zaino.

La mattina dopo il tipo strambo è tornato in farmacia.

-         Allora, era tuo?

-         Si, grazie, il tuo gesto ha cambiato un bel po’ di cose. Pensavo di aver preso la decisione giusta, ma non era vero. Per fortuna i sentimenti ci sopravvivono, nemmeno la nostra azione più stupida può cancellarli.

 

Daniele

Non ho un album di ricordi, ma è lo stesso.

Tutto quello che resta ci sopravvive. Ha ragione la farmacista.  

© Stefania Loma





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