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Anguanì
di Emiliano Grisostolo
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Pioveva.
Il vento schiacciava le fronde degli alberi più alti e fragili sino quasi a toccare terra. Dopo alcuni giorni la pioggia era cessata, il torrente Colvera era ancora molto robusto, le sue acque avrebbero trascinato a valle un toro di grosse dimensioni qualora fosse caduto nei suoi gorghi.
Ma il vento fischiava ancora senza dare il minimo segno di stanca. Tra le case, tra le pareti in pietra del vecchio paese di Maniago e le sue strade che si inerpicavano sino alla grande piazza, quel freddo pungente che scendeva dalla valle non pareva volersene andare.
L' inverno quell' anno appariva lunghissimo, dicevano i vecchi: " Chist' an la tajada a sarà pocja." Altri ancora. " Na sarà pan par nisun."
E si cominciò a mormorare di doversene andare da quei luoghi malsani ed infestati da presenze innafferrabili che abitavano la valle tra il San Lorenzo ed il monte Jouf. Le grotte erano le loro dimore, i loro spiriti la loro carne senza consistenza. Se il vento scendeva da lassù era soltanto per colpa loro.
Fu così che da quel giorno del lontano 1200... il rito dell' offerta alle streghe del vento e alle Anguani' della Val Colvera nacque nel paese di Maniago.

Quella mattina del 1500... un uomo vestito con un lunghissimo mantello scuro come la pece si inerpicò tra le viuzze che dal torrente salivano verso la piazza di Maniago Grande. Giunto nei pressi della radura circoscritta da un lato dai palazzi dei conti e della loggia, e dall'altro dall' immensa chiesa di San Mauro situata all' interno di una stradina sterrata, l' uomo che ascoltava il silenzio dell' alba e il rumore prodotto dai carri dei pochi contadini già svegli a quell' ora, si voltò a guardare
l' ultima salita che l' avrebbe portato non molto lontano dal castello. In alto il maniero distrutto durante il terribile terremoto del millecinquecentoundici lo fissava immerso nel proprio silenzio, al suo interno solo poche persone che ancora resistevano all' evidenza di un decadimento totale della struttura.
L' epoca delle guerre per il dominio era terminata, la Serenissima Repubblica Veneziana stava lasciando il posto all' impero Asburgico, ma tutto quello non era affar suo. I contadini della sua comunità, coloro che lo avevano scelto per portare a termine quell' anno, in quel giorno preciso, il rito che si ripeteva da più di trecento anni, volevano soltanto mangiare. Il grano e un' ottima annata erano le uniche cose che interessavano alla popolazione. Gli intrighi di stato e le guerre intestine fra i governanti ricchi sfondati non dovevano entrare a far parte dei loro interessi.
Il popolo aveva fame e la plebe non poteva fare nulla per avere qualcosa dalle caste più altolocate. Il male peggiore era stata la terribile Peste Nera che nel 1300... aveva sterminato gran parte della popolazione, ma quel terribile avvenimento, il flagello divino com' era stato denominato, era ormai un ricordo lontano. La fame, quella no.
L' uomo vestito col mantello nero giunse in cima alla salita, si fermò dinnanzi al bivio, verso sinistra vi era la salita che portava al maniero semi distrutto, un paio di uomini di guardia lo fissarono corrucciando la fronte. Indossavano una leggera maglia di cuoio protettiva, avvolti da un pesante mantello che sfiorava il terreno. Al fianco la corta spada d' ordinanza con dipinto sull' elsa lo stemma della casata maniaghese, le lame nascoste da un fodero di cuoio avrebbero brillato alla seppur tenue luce del mattino.
L' uomo avvolto nel mantello distolse lo sguardo, meglio non irritare quegli uomini all' oscuro del suo progetto. Suo e della comunità contadina di Maniago. Se avesse fallito, se il rito non fosse stato portato a termine come ogni anno, il vento sarebbe tornato a scendere dalla Val Colvera fischiando come non mai. Irritato per la loro negligenza avrebbe portato la morte per fame in tutta la provincia. Se il raccolto non fosse stato dei migliori in autunno, se il grano non fosse nato come doveva, la colpa sarebbe stata soltanto sua e lui ne avrebbe pagato il caro prezzo al cospetto dei vecchi che guidavano la comunità.
Prese la strada di destra che percorreva un breve tratto in pianura per poi salire lentamente verso un' unica abitazione di modeste dimensioni. Là dentro tutti conoscevano lo scopo della sua venuta, già vedeva il bambino che lo attendeva ansioso che qualcuno lo prendesse con sè finalmente.
Non vi era altra anima viva nei dintorni, nessun segnale di pericolo, nessuna figura anonima che lo voleva sorprendere.
I due guardiani alle sue spalle, poco lontano, non potevano più vederlo. Si sarebbero sicuramente chiesti il perchè della sua presenza, lasciando in seguito cadere quel fatto come tanti altri senza importanza.
Si avvicinò al bambino, doveva avere circa sei o sette anni. Nel vederlo si chiese come poteva essere così crudele, così barbaro. Poi la ragione oltrepassò la soglia dell' emotività, la fece sua impossessandosi del male che in essa era contenuto, la racchiuse all' interno di una sacca e prendendola per mano la obbligò a seguirla.
Allo stesso modo fece il piccolo in silenzio. I grandi occhi lucidi dall' emozione di essere addottato; finalmente per la prima volta qualcuno aveva scelto lui. Da anni, da quando aveva ricordi dunque, non usciva da quell' immensa casa recintata e dal suo giardino. Gli alberi altissimi che la circondavano erano l' ultima cosa che poteva toccare, al di là del cancello vi era l' oscurità. Durante le notti passatte a pulire i pavimenti, mentre i compagni in parte dormivano e in parte piangevano, aveva cercato d' immaginare cosa ci fosse oltre quella soglia, ma la curiosità moriva nello stesso istante in cui ricompariva la vecchia insegnante.
Erano tutti reietti, innocui bambini senza un futuro, allontanati perchè i genitori non avevano nulla da dare loro da mangiare. Ci avrebbe pensato la comunità di Maniago avevano pensato, e lì li avevano abbandonati.
Percorsero la strada in quel senso, senza ripassare per il posto di guardia, meglio evitare certi incovenienti. Il piccolo calciava i sassi più grossi che incontrava come se fosse per lui il gioco più bello, le semplici scarpe di pezza che portava ai piedi erano meno robuste di quanto pensasse, e presto si fece male alle dita del piede destro.
" Cusì tu imparis, nini. Vegnimi davour e finisila!"
Il bambino fece come gli era stato ordinato, l' uomo dal mantello era colui che lo avrebbe preso con sè per sempre, così gli era stato detto dalla vecchia insegnante, doveva obbedirgli.
Non disse una parola, non pianse per il freddo che all' alba ancora resisteva sulla vallata. Di lì a poche ora il sole sarebbe salito in alto nel cielo riscaldando le terre coltivate, il periodo della semina aveva avuto inizio da poco e quel giorno era proprizio per ciò che doveva portare a termine.
Come due ombre sinistre scesero lungo una seconda stradina sterrata ritrovando la strettoia che ridiscendeva verso la Val Colvera. Non si udivano ancora rumori nel paese, lo stretto vicolo era addormentato, anche se l' uomo conosceva molto bene le abitudini dei compaesani, e dunque anche gli orari di sveglia. Quel giorno però tutto taceva, tutto era immerso nel silenzio e nella quiete eccetto che per pochi scelti dalla comunità per portare avanti solo pochi lavori delicati che non potevano essere rimandati neppure di una sola ora.
Le pietre delle vecchie case li fissavano mentre passavano loro di fronte, ascoltavano i loro ticchettare sul selciato e i sassi rotolare di pochi centimetri ad ogni loro movimento. La figura avvolta nel mantello spostò su di esse lo sguardo assorto nei pensieri e cercò di studiarle, ascoltando i rumori che potevano provenire da esse, dai suoi abitanti, dalle figure sinistre che lo avevano scelto quale loro portatore di prosperità tramite quel bambino all' oscuro di tutto.
Già, pensava irrequieto per quello che avrebbe dovuto portare a termine. Chel canaj non sapeva nulla...
Ma dalle case immerse nell' ombra del mattino che ancora era molto lunga, non proveniva alcun suono di vita. L' unica vita che c' era in quel luogo era la sua e quella del bambino, e per quanto riguardava quella del piccolo...
Allontanò quel pensiero all' istante, come se scottasse. Si guardò intorno alla ricerca di una figura amica sulla quale appoggiarsi, fare presa e farsi aiutare, ma non vi era anima viva; un solo cane che potesse sopportare con lui ciò che stava per fare.
Ne và della tua gente sciocco! Fallo e basta!
Solo poche parole urlate contro se stesso, poi l' oblio nel quale si perse, concentrato com' era nel portare a buon fine l' operazione per cui era stato scelto.
Il piccolo spostò lo sguardo verso di lui più volte, gli occhi lucidi dall' emozione di trovare finalmente casa e dall' angoscia che sicuramente aveva dentro per qualche cosa che sentiva ma che non capiva, e per il freddo pungente che gli gelava i piedi e le mani. L' uomo dal mantello come la pece non lo badò, sforzandosi di non osservarlo in volto. Se si fosse perso nel suo sguardo di bambino sarebbe crollato per sempre e non poteva permetterselo. Le anguani' non lo avrebbero mai perdonato, nè tanto meno gli abitanti di Maniago.
La valle del torrente Colvera si aprì improvvisamente di fronte a loro. Era ora di iniziare la salita.
Stancamente abbandonarono le ultima case, il confine tra la vita quotidiana e le sinistre montange era lì, attorno a loro, d' ora in poi tutto avrebbe potuto prendere una piega diversa da ciò che conosceva. Le streghe erano sopra di loro, intorno a loro, li osservavano da ogni anfratto, nascoste come spettri invisibile e innafferrabili, esseri dalla forma metà umana e metà animale con i piedi di capra, esseri senza forma che mutavano in salamandre o in bestie mostruose.
Non vi era persona sana di mente che si sarebbe avventurata in quei luoghi a quell' ora del mattino, quando ancora il sole tardava a farsi vedere all' orizzonte e le ombre accennavano appena a scomparire lasciando il posto ad una tenue luce soffocata dalla valle. Le roccie del monte San Lorenzo e quelle dello Jouf oscuravano il corso del Colvera trascinando in un pozzo di pazzia chiunque avesse percorso quei luoghi malsani ed infestati da presenze oscure ed ignote.
Alcuni rumori salirono dal buio delle acque sotto di loro, alla loro destra, l' uomo si strinse nel mantello con la mano libera, con l' altra teneva il bambino che appariva spaventato da quell' ambiente sconosciuto. Si chiedeva dove abitasse quell' uomo che lo aveva tolto dall' orfanotrofio, senza trovare risposta. Ad ogni angolo, ad ogni sperone roccioso oltre cui la strada procedeva, sperava di vedere la casa in pietra dell' uomo, e ogni volta riabbassava lo sguardo fissandosi i piedi che già iniziavano a fargli male.
Si chiese il perchè quella figura lo stesse trascinando in quel posto, il perchè non gli parlasse.
Tutto taceva, tutto era immobile, e ogni tanto un rumore senza origine arrivava alle loro orecchie. Immediatamente dopo era il silenzio.
Improvvisamente l' uomo la vide, era li di fronte a lui, il bambino spostò lo sguardo nella direzione dell' adulto vestito con quel lungo mantello, e la vide a sua volta, una buca sul lato della montagna, una grotta, ma non capiva.
" I sin rivaas." L' uomo che non aveva mai detto il suo nome e non aveva mai chiesto il suo attese un momento, poi riprese." Ades a ti vegnini a toj deli feminis me amighis, na sta moviti."
" Cuj soni..."
L' uomo non parlò più, il piccolo lo fissò mentre gli dava le spalle e si allontanava verso valle, verso le case che avevano abbandonato poco prima. Fece qualche passo, toccò un sasso più grosso degli altri che rotolò per alcuni centimetri facendo un rumore più forte. L' uomo si voltò di scatto ad osservare il bambino che si muoveva nella sua direzione, si voltò con il cappuccio del mantello questa volta alzato sopra la testa.
" Fermiti uvì, canaj!"
Il piccolo fu pietrificato. Perchè non lo voleva? Chi doveva prenderlo in consegna questa volta?
Aveva freddo e paura. Tentò di dirlo, voleva dirlo a quell' uomo vestito col mantello e con il volto coperto dal cappuccio, a quell' uomo che gli faceva anche un po' paura, ma non ci riusciva.
Attese in silenzio mentre i passi di quella figura ammantata di nero lentamente smisero di farsi udire, poi tentò di fare qualche passo. Il tempo era trascorso lento, il freddo era insopportabile, la paura che era scesa nelle viscere lo aveva fatto pisciare addosso e ora si sentiva tutto bagnato. Il freddo divenne ancora più insopportabile.
L' attesa non durò molto, udì dei rumori giungere dalla montagna, qualche sasso più grosso rotolò giù nelle acque agitate del Colvera, e una figura apparve come comparsa dal nulla dietro di lui.
Il piccolo soffocò un grido di stupore, paura, terrore probabilmente. Tutte emozioni che non aveva mai conosciuto con così tanta accuratezza, in maniera così profonda. Tutte emozioni che lo fecero cadere sulle ginocchia. Il dolore di queste che sbattevano con violenza sulle pietre taglienti del sentiero lo costrinsero a lanciare un urlo appena soffocato. Una mano partì immediatamente a tappargli la bocca, ma non era... quella non era una mano umana...
Strabuzzò gli occhi, il dolore alle ginocchia insaguinate non era più tra i suoi pensieri recenti, ora vi era quella sagoma di donna in apparenza con zampe per mani che gli tappava la bocca, gli schiacciava le labbra, gli faceva male. Sentì il rumore stridulo dei propri denti che si rompevano uno ad uno sotto la pressione della zampa, un dolore lancinante scoppiò dentro la sua testa ma non poteva urlare, non riusciva a fare nulla. Chiuse gli occhi quando alla sua sinistra un' altra figura di immense dimensioni dal corpo lungo e bianco con le ali, simile ad un serpente, si avvicinò lentamente.
Gli tornò in mente quando la vecchia insegnante gli parlava della bissa blancja durante le notti passate a piangere, per costringerli a calmarsi.
Di colpo si sentì trafiggere da qualcosa di accuminato, un coltello, un pugnale che non vide. Il dolore si sparse su tutto il corpo, dal costato alla testa alle schiena fin giù ai piedi. Il sangue caldo che vide riaprendo gli occhi spaventati di bambino lo fecero crollare a terra, e la donna con le zampe
di capra lo consegnò a quella nuova figura.
L' ultima cosa che vide prima di perdersi nei propri sogni e nel freddo che lo stava trascinando via, fu la donna che con difficoltà si rimetteva un coltello dalla lama nera all' interno del vestito di stracci che indossava.

© Emiliano Grisostolo





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