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Alba fragile
di Massimiliano Marconi
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Sento che sei con me
in quest'alba fragile.
Timoria

1

"Che cosa aveva mangiato, cosa poteva aver bevuto Umberto la sera precedente?". Anna se lo chiede mentre telefona ad Alessandro per avvisarlo delle gravi condizioni del marito. Abbassa la cornetta e, mentre frastornata aspetta il dottor Muti, l'agitazione aumenta, lievita, diventa tachicardia, batte nelle tempie e si fa paura. Umberto non aveva cenato a casa e lei non sapeva se il marito fosse stato frugale e sobrio come al solito o se avesse ecceduto. Il suono del campanello la distoglie dalle mille domande che le ballano in testa da quasi un'ora.

Si volta di scatto e tenta una corsa per andare ad aprire. La porta d'ingresso, in fondo al corridoio, sembra distante chilometri.

- Dottore, grazie al cielo... Umberto.

Indica verso la camera da letto, ma il semplice gesto di alzare il braccio diventa una fatica insostenibile. La voce le esce in un soffio fra le labbra esangui e sottili. I singhiozzi quasi la soffocano. Paura e angoscia continuano a mordere, senza pietà. Ha gli occhi cerchiati e il volto pallido, più chiaro della sfiziosa camicia da notte che le pende sul corpo e le dà un che di spettrale. I capelli sono una massa bionda disordinata.

- Sta male. Si agita... Suda... Ha gli occhi sbarrati. Oddio, lo aiuti.

Il medico si precipita in camera prima ancora che lei finisca di parlare.

Anna appoggia la schiena contro la porta chiusa e lentamente scivola giù, fino a ritrovarsi seduta sul pavimento, il cuore e il respiro in affanno. Ancora una volta si trova a rivivere gli attimi di quella terribile notte: suo marito Umberto era rientrato dal ricevimento all'Ambassador che lei era già a letto. Nel dormiveglia lo aveva sentito andare in bagno e, dopo alcuni minuti, coricarsi piano al suo fianco, credendola addormentata. In breve, il sonno era arrivato per entrambi, ma era durato ben poco...

Due rivoli di lacrime continuano a solcarle le guance, a gocciolare giù, a bagnarle il seno... Cercando invano di contenere il tremito si rannicchia, abbraccia le ginocchia e appoggia la fronte nell'incavo: non lo ama più; sono ormai molti mesi che non c'è più niente fra loro... Ma vederlo in quel modo... "Alessandro, perché non arrivi? Salvami ti prego. Portami via da qui."

Quasi in risposta a quel pensiero, la serratura scatta alle sue spalle: non può essere che lui. Raccogliendo un ultimo barlume di energia riesce ad alzarsi. Alessandro non fa neppure in tempo a entrare che Anna si tuffa fra le sue braccia, schiacciando il proprio corpo contro di lui:

- Umberto... Non so cosa gli sia successo. Sta morendo...

Abbracciata ad Alessandro, il pianto è diventato dirotto.

- Anna, cerca di calmarti, ti prego.

Con dolcezza, la allontana da sé tenendola per le spalle. Fra le sue mani sembra una canna leggera, scossa dal vento. Le afferra il viso, le carezza i capelli; la sua voce è ferma, il tono basso, consolatorio.

- Su, su... Basta ora. Così non si risolve niente. Hai chiamato Muti?

E' bastato il suo tocco per restituirle una briciola di serenità. Lo fissa, per pochi, lunghi secondi, con due occhi azzurri e liquidi. E parlare le sembra già meno faticoso.

- Sì, è già arrivato. E' in camera.

- Bene, andiamo.

La prende per mano e la accompagna lungo il corridoio. E, passo dopo passo, sente che la resistenza aumenta, che Anna diventa recalcitrante.

- No, per favore, non farmelo rivedere in quel modo... Non posso sopportarlo.

Alessandro si ferma un attimo e la fissa con uno sguardo severo, la mano che ancora stringe quella di lei.

- Anna, basta con le lacrime ora. Se Umberto sta veramente così male come dici, ha bisogno di tutta la nostra forza, non di inutili piagnistei.

E, senza darle neppure il tempo di rispondere, riprende la strada verso la camera. Ma appena entrano lo spettacolo che li accoglie è devastante, tanto che Alessandro stesso sente le gambe farsi molli; Anna si attacca le mani alle tempie e apre la bocca: vorrebbe gridare, ma le esce solo uno strano gorgoglìo soffocato. Umberto giace immobile sul letto, il volto pallidissimo e infossato, le pupille ormai quasi invisibili sotto le palpebre spalancate. Il suo fisico prestante sembra risucchiato, sprofondato nel materasso. Fra le lenzuola candide sembra giacere un bambino anziché un uomo di trentacinque anni, nel pieno del suo vigore. Dov'è ora il top manager che tutto, anche Anna stessa, ha immolato sull'altare della sua sfolgorante carriera?

Muti è lì che si affanna con i suoi strumenti, gli occhi spiritati e la fronte imperlata di sudore. Muove le labbra in continuazione, sembra stia parlando, ma alle loro orecchie non arriva che un borbottio confuso, pieno di "no... ma... forse". Finalmente si rende conto delle due figure immobili appena oltre la porta.

- Anna, non so più che fare... Non riesco... Non ci capisco niente! Presto, chiama il 118.

Le parole del medico le scoppiano nel cervello. "Telefono... 118... Sì, fare presto...Presto.". Il cellulare è a un passo, posato lì sul comodino; non deve fare altro che allungare un braccio e... Ma la mano resta sospesa a pochi centimetri dall'apparecchio: il telefono comincia a suonare e quella specie di marcetta della suoneria diventa agghiacciante, le trapana la mente come un sinistro presagio, mentre sul display lampeggia la scritta "Utente sconosciuto". Tre sguardi straniti si incrociano, attraverso il gelo che morde la stanza. Poi, prima che la musica si spenga, Anna riesce a rispondere.

- Pronto?

2

Barbara è seduta sul letto, al buio, con la schiena e la nuca appoggiate alla spalliera; indossa solo una leggera T-shirt di cotone. Proprio non riesce a prendere sonno, e le cifre luminose della sveglia segnano già quasi le tre. Troppi pensieri in testa, e poi quell'indagine che il commissario Gatti le ha affidato... Dopo quasi due mesi di lavoro, ancora non è riuscita a cavare un ragno dal buco. Probabilmente è la più difficile che le sia capitata in più di dieci anni in polizia, tanto che è quasi arrivata a infrangere la sua regola più ferrea: formulare un'ipotesi, ben sapendo che quel modus operandi è il più pericoloso per portare avanti un'investigazione. Se l'ipotesi è sbagliata, tornare poi sui giusti binari diventa pressoché impossibile.

Un leggero fruscio fra le lenzuola lava per un attimo i pensieri. Lucia si è destata e la sta fissando. La sua voce è ancora calda di sonno.

- Che c'è? Problemi investigativi?

- No, niente, niente... Dai, continua a dormire. E poi, lo sai che non posso parlare di indagini in corso.

Si avvicina e le sfiora la guancia con un bacio leggero. Lucia alza un braccio e glielo passa dietro la nuca. L'attira a sé e le appoggia le labbra sulla bocca, in un contatto breve ma intenso. Poi ritira la mano, lasciandola vagare per un attimo fra i capelli e sul viso di Barbara.

- Non dire stupidaggini, lo so che non è solo per il lavoro...

Mentre parla, sorride, i denti candidi ammiccano nel buio, ma il tono è serio, quasi severo.

- Sì, sì, è vero, ma non mi va di parlarne ora. Cerchiamo di dormire, eh?

Si rinfila sotto le coperte, ancora stretta nell'abbraccio di Lucia, e chiude gli occhi. Ma il sonno non vuole saperne di arrivare. La sua compagna invece si è già riaddormentata. In pochi minuti il suo respiro ha ripreso il ritmo lento e profondo di chi sembra non avere una preoccupazione al mondo. Lucia è fatta così, la propria omosessualità non rappresenta un problema, né lo è mai stato. L'ha sempre accettata, e la relazione con Barbara (gliel'ha confessato proprio ieri) somiglia sempre più a qualcosa di importante, di definitivo.

Magari avesse anche lei la stessa sicurezza, la stessa capacità di camminare a testa alta, quasi spavalda, nonostante tutto... Macché! Al lavoro qualcuno deve aver già cominciato a sospettare qualcosa, e ad ogni sorrisino malizioso, a ogni battuta sussurrata all'orecchio mentre sta passando, si sente avvampare dalla testa ai piedi, come una ragazzina al primo bacio.

Pensieri, dubbi... Eppure non si è mai sentita così bene come da quando sta con Lucia. Tanto che, per mettersi alla prova, si è lasciata convincere da lei a partecipare insieme, la sera prima, a un ricevimento faraonico organizzato "per beneficenza" all'Ambassador, il migliore albergo della città. Un bel salasso per il suo magro stipendio, ma doveva rendersi conto, osservare, capire lo stato d'animo che l'avrebbe accompagnata stando fra la gente, tenendola per mano, ballando con lei... Ma il continuo alternarsi di felicità e imbarazzo era stato devastante. Ha bisogno di altro tempo...

Sciogliendosi delicatamente dall'abbraccio, Barbara si alza, va in cucina e alla luce asettica del frigo beve un po' d'acqua direttamente dalla bottiglia: "Ahhh... Potessi sciacquarmi così anche il cervello!". Poi la ripone e si siede al buio. Ecco, se solo ne avesse, sarebbe il momento giusto per una sigaretta. Ma da qualche mese ha smesso e, dopo tutti quei sacrifici, non è proprio il caso di ricominciare. E resta lì, circondata dai fantasmi chiari dei mobili, mentre deboli rumori la raggiungono dalla camera. "Forse, neppure Lucia è così tranquilla come sembra...". Quindi si dirige decisa verso lo studio. Chissà. Forse, rituffarsi nel lavoro può essere un'alternativa.

La cartellina di cartoncino azzurro è una macchia scura sul tavolo, appena illuminata dal led rosso del computer in stand-by. Si siede, appoggiando i gomiti sul piano e le mani sulle guance. "Forse non è stata una grande idea..." pensa fissando il fascicolo chiuso con l'elastico. Poi, colta da un ricordo improvviso, si sposta di fronte al computer e, con un colpetto al mouse, lo schermo riprende vita, accompagnato dalla solita musichetta. Apre la sessione di posta elettronica e controlla i messaggi in arrivo: Giovanni, il collega che l'ha raggiunta trafelato al ricevimento, è stato di parola, e la mail promessa è lì che lampeggia sul monitor, completa di un bel po' di allegati. L'indagine finalmente ha avuto un'impennata, e quel materiale è lì per aggiornarla sugli ultimi imprevedibili sviluppi.

Mentre il computer comincia a scaricare i file apre la cartellina ed estrae i documenti, ordinandoli con cura sul tavolo. Ogni allegato finalmente darà un nome e un volto a molti di quei fogli rimasti troppo a lungo anonimi: ancora troppo poco per arrivare a una soluzione definitiva del caso, ma indubbiamente un bel passo avanti dopo tanta inerzia.

3

Dal telefonino appoggiato all'orecchio Anna sente arrivare uno scatto e subito dopo una voce gelida, artefatta che l'afferra fra le sue spire d'acciaio e la sprofonda in un nuovo inferno, ancora più atroce, se possibile, di quello vissuto fino a quel momento.

- Anna, ascolta attentamente quello che sto per dirti: non ripeterò.

Quel falso tono confidenziale è un'unghia che stride sulla lavagna. E' una mano enorme che le afferra lo stomaco e stringe... Stringe...

- A tuo marito è stata somministrata una tossina modificata. Che tu abbia chiamato aiuto o meno non fa differenza: nessuno la conosce e nessuno può curarla. Entro le prossime sei ore raggiungerà il suo apice e lo ucciderà. Ma un antidoto esiste, e lo avrai in tempo per salvarlo se farai esattamente ciò che ti dirò. Tieni il telefono a portata di mano.

Un altro scatto, e la comunicazione si chiude.

La stretta allo stomaco continua, si trasforma, diventa una scarica di pugni che la piega in due. Anna si accascia giù, mentre Alessandro e il dottor Muti accorrono per sorreggerla. Restano in ginocchio accanto a lei.

- Lo hanno avvelenato - riesce a dire con un filo di voce. - Fra sei ore morirà, se non facciamo...

- Se non facciamo cosa? - le chiede Alessandro, raccogliendo il cellulare dal pavimento dove Anna lo ha lasciato scivolare. Allunga un braccio e lo riappoggia al suo posto.

- Cosa dobbiamo fare? Su Anna, cosa ti ha detto?

Anna si rende appena conto che è il dottore a parlare, questa volta. Le sembra di galleggare in un sogno... no, in un incubo, che l'ha afferrata e non vuole lasciarla più andare.

- Non lo so... non lo so... Ha detto solo che gli ha dato qualcosa che lo farà... Di seguire delle istruzioni... Ma ancora non so quali.

Un gemito prolungato proveniente dal letto li fa scattare in piedi. Umberto si muove appena, per ripiombare subito nell'incoscienza. Quelle sarebbero state sicuramente le sei ore più lunghe della loro vita. "Poche ore e potrei essere... libera? No, non così... Non a questo prezzo!" Anna inghiotte amaro, cercando di buttar giù anche quel pensiero cattivo che sembra uscito dalla parte più nera del suo cuore.

Il medico improvvisamente si precipita verso la borsa e comincia a frugare fra le sue cose.

- Ecco qua. Mi pareva di averlo con me...

E tira fuori un palmare che tiene bene in vista con aria trionfante. Si avvicina al cellulare e traffica per un po' con dei cavetti, collegando il telefono al piccolo computer sotto gli sguardi interrogativi di Anna e Alessandro.

- Ti sembra questo il momento, Muti?

- Non sto giocando, Alessandro. Chiunque sia, chi ha combinato tutto questo dovrà ritelefonare, no? Dovrà pur darci queste maledette istruzioni, no? Be', con questo possiamo registrare la telefonata. Non vedi com'è sconvolta Anna? Corre il rischio di capire male, di sbagliare qualcosa... E allora, addio Umb...

La suoneria del telefono gli taglia il discorso. Mette in funzione il palmare e fa un cenno ad Anna perché risponda.

- Pronto?

Lo stesso scatto metallico e la stessa voce le colpiscono l'orecchio.

- Nella cassaforte a muro troverai una piccola scatola nera e un'agenda chiusa da un elastico. Non aprirle, per nessun motivo. Devi prenderle entrambe e metterle in un sacchetto di plastica anonimo, senza scritte. Poi esci e vai verso Piazza del Mercato. Metti il sacchetto dentro la cabina telefonica all'angolo di via Oberdan, attaccato sotto il telefono, e torna subito a casa. Appena il tutto sarà in mano mia, avrai l'antidoto. Non provare a seguirmi. Hai un'ora di tempo da adesso.

Ancora uno scatto e il segnale di comunicazione interrotta. E la voce di Muti che esclama:

- Ce l'ho!

Poi estrae il proprio cellulare e si affretta a comporre un numero.

4

La scrivania è già completamente ingombra di fogli; il computer ha salvato tutti i file; e Barbara si sente sempre peggio, via via che i contorni del caso si fanno più netti. Tutto era partito da un dubbio, un piccolo sospetto sollevato da un medico volontario in un affollatissimo CPT attivo ormai da alcuni anni alla periferia della città. All'interno di un gruppo piuttosto nutrito di immigrati mediorientali, aveva notato la presenza ripetuta di quattro o cinque persone, uomini o donne, che denotavano strani sintomi, molto affini a quelli dell' avvelenamento.

Di mese in mese, gli era capitato di dover curare dei pazienti estremamente deboli, quasi calvi, tanto che in un primo momento aveva temuto di essere in presenza di casi di AIDS. Analisi e accertamenti avevano poi escluso questa eventualità, ma era rimasto convinto che comunque ci fosse sotto qualcosa di strano. Le urine di quei pazienti mostravano valori troppo alti di elementi radioattivi, fra i quali il polonio; troppo alti anche per dei fumatori accaniti come sembravano essere: il giovane medico aveva infatti notato un attaccamento anomalo, quasi morboso, e comune nei diversi flussi di immigrati, verso le loro stecche di sigarette "Bahman" e "57".

Da lì era nata l'inchiesta che aveva portato gli investigatori sulle tracce di uno spregiudicato gruppo di trafficanti di materiale radioattivo che, fino a quel momento, era riuscito a mantenersi nell'ombra. Nomi e volti erano rimasti ignoti fino alla sera precedente, quando, grazie a una serie di controlli incrociati, il collega di Barbara era riuscito a collegare uno degli impiegati al CPT a una nota agenzia di import/export di città: la Eastar, di Umberto Cairo.

Le facce scorrono sullo schermo di fronte a Barbara, facce dai lineamenti orientali di uomini e donne ormai morti da tempo a causa di quel traffico bestiale; e facce occidentali, normali e spietate, di quelli che, si sospetta, quel traffico dirigono e sfruttano. Fra le tante, spicca il bel viso un po' abbronzato di Umberto Cairo, e quello, altrettanto raffinato, del suo socio Alessandro Nievo. Ma dov'è che li ha visti, quei due? E' sicura di avere già incontrato quelle persone... Sì, certo, erano anche loro all'Ambassador, al ricevimento; e li ha notati perché ha visto Lucia intrattenersi brevemente con uno di loro... Impossibile che non ci fossero, fanno parte della crema cittadina. E altrettanto impossibile che Lucia non li conosca, visto il suo passato di modella con frequenti incursioni nell'alta società.

Improvvisa, la suoneria del cellulare esplode a interrompere il corso dei suoi pensieri. Barbara si affretta: non vuole che Lucia si svegli di nuovo per colpa sua. Si tuffa nella borsetta e tira su il telefono.

- Pronto?

- Pronto, Barbara? Sono Muti. Perdona l'ora, ma...

- Ciao Danilo. Non preoccuparti, tanto non stavo dormendo.

- Ciao... Sì, dicevo... Ho proprio bisogno del tuo aiuto.

La voce del dottore è quasi irriconoscibile, tesa, affannata, tradisce imbarazzo, ma anche pena, disperazione forse.

- Certo, che succede?

- Dovresti venire qua... Sono a casa di Cairo...

- Di Chi?!?

Il nome le scoppia nella testa. "Cairo? Quel Cairo...?"

- Cairo, Umberto Cairo... Lo hanno... Be', la situazione è un po' complicata. Puoi venire subito, che ti spiego a voce? Presto, per favore.

- Va bene, arrivo.

Barbara si fa dare l'indirizzo e corre a vestirsi, la mente che torna al viso che ha appena visto sul monitor. "Ma come è possibile...". Fortunatamente la casa è a poco più di un chilometro da lì. Non dovrà attendere molto per chiarire questa incredibile coincidenza.

Prima di uscire apre la porta di camera: illuminata dal fascio di luce dell'ingresso, Lucia sta dormendo tranquilla. Si sfiora le labbra con le dita e le soffia un bacio silenzioso. Poi spegne la luce e se ne va.

Mentre scende le scale prende il cellulare e fa una chiamata.

- Giovanni? Scusa se ti chiamo a quest'ora, ma ho ancora bisogno di te. Ascoltami attentamente...

5

- Chi è questa Barbara, Muti?

- E' una cara amica. E una poliziotta in gamba.

A quelle parole Anna ha un sussulto.

- Poliziotta?!? Ma quello ha detto...

- Non temere Anna, verrà qui in veste non ufficiale. Niente sirene spiegate, solo una presenza discreta che spero ci aiuterà a sbrogliare un po' questo groviglio. C'è bisogno di qualcuno che non sia così coinvolto emotivamente con Umberto...

- Vorrei tanto che tu avessi ragione...

Alessandro le si avvicina da dietro e le afferra delicatamente le le spalle. La sua voce è un rassicurante mormorio.

- Su Anna, non dobbiamo disperare. Facciamo come ha detto quel... tipo... e vedrai che in un attimo Umberto starà meglio di prima...

Anna si volta e resta in silenzio a fissarlo negli occhi, quasi volesse leggervi dentro, capire ciò che pensa. Alessandro pare non reggere quello sguardo che gli sta scavando dentro e china il capo. "Lo spera davvero, o... è solo pietà?" si chiede confusa.

Poi, il trillo del campanello a infrangere il muro di silenzio che si è creato intorno a loro.

- Ecco. Deve essere lei.

E Muti si affretta ad aprire la porta d'ingresso.

A Barbara è sufficiente mettere piede in casa per percepire l'atmosfera di estrema tensione che sembra trasudare dalle pareti stesse: Muti è l'unico che cerca di mostrare una calma che certamente è solo esteriore, mentre gli altri due stanno lì impalati, priogionieri di una morsa d'angoscia solida, palpabile, interrotta solo dall'ennesimo gemito proveniente dalla camera di Umberto.

- Vieni, entra. Ti spiego tutto. Non rimane molto tempo.

Il dottore riassume tutta la situazione, fino alla telefonata che è riuscito a registrare sul suo piccolo computer e che Barbara ascolta con estrema attenzione, alla ricerca di ogni possibile nesso, del minimo punto di contatto con l'indagine che sta svolgendo. Un sospetto le si sta insinuando in mente: che l'affondo investigativo abbia fatto precipitare gli eventi e costretto chi tiene le fila del gioco finalmente a esporsi... Ma c'e anche una vita in pericolo, e sa che qualunque mossa sbagliata potrebbe essere fatale.

- Be', penso che la prima cosa da fare sia dare un'occhiata agli oggetti di cui parla questo signore...

Anna accenna un sì con la testa e si avvia verso lo studio del marito, sostenendosi a ogni passo a un mobile o alla parete. Tutti la seguono in silenziosa processione, fino a quando si ferma di fronte alla imponente libreria. Là si volta un attimo, dubbiosa, a fissare quello strano, ansioso terzetto alle sue spalle; poi si stringe nelle spalle e spinge un invisibile pulsante al di sotto dello scaffale che ha davanti. Un pannello scorre veloce e silenzioso, lasciando scoperta la cassaforte. Un paio di tentativi e infine le dita tremanti di Anna riescono a comporre la giusta combinazione e ad aprire lo sportello. Poi, come se quella serie di semplici movimenti le fossero costati uno sforzo enorme, si butta sfinita su una poltrona che sembra volerla risucchiare dentro di sé.

Barbara estrae il contenitore, una specie di cassetta di sicurezza, e lo sistema sul tavolo per aprirlo. La scatoletta nera e l'agenda sono lì, in mezzo a un po' di contanti e ad alcuni documenti arrotolati, due oggetti a prima vista assolutamente anonimi, insignificanti, eppure qualcuno non ha esitato a imbastire un ricatto mortale pur di averli. O riaverli, forse. Al tatto, la scatola si rivela essere di metallo, un metallo pesante... Come piombo.

Anna, Alessandro e il Muti osservano i movimenti misurati di Barbara col fiato sospeso, come avessero davanti un funambolo intento al suo esercizio più pericoloso.  La vedono squadrare il piccolo contenitore nero da ogni lato e sollevare con estrema cura il coperchio, che non sembra opporre nessuna resistenza; estrarre infine due oggetti, all'apparenza due comuni pacchetti di sigarette, ma coperti di scritte in caratteri arabi. Si rigira i due pacchetti fra le dita (sul retro si legge "Bahman, in caratteri latini) e li rimette dentro chiudendo con cura la scatola, mentre sul viso le si disegna l'espressione di chi è sul punto di capire molte cose.

Con un mezzo sorriso che ancora le aleggia sulle labbra, rivolge l'attenzione all'agenda. E' un libretto, più che un'agenda, una Moleskine con tanto di copertina nera ed elastico a chiusura. Non fa in tempo a tirare l'elastico per aprirla, che Alessandro scatta in avanti per impedirglielo. Grida quasi, il volto contratto, sconvolto.

- No! Ferma! Non lo faccia... Lui... Ha detto che non dobbiamo aprirla!

Barbara tira a sé il taccuino, fuori dalla sua portata, e lo fronteggia, fissandolo decisa negli occhi. Sono quelli di un animale in trappola. È impallidito, nonostante l'abbronzatura da giovane rampante; è sudato, e le mani protese tradiscono un irrefrenabile nervosismo.

- Perché, signor Nievo? Perché questa no e la scatola sì? Che cosa sa che troverò qui dentro? Quello che ci ha già trovato Cairo?

- Niente... Io...

Il dottor Muti, incredulo per la piega presa dagli avvenimenti, non riesce a staccare lo sguardo dalla scena che gli si svolge davanti.

- Alessandro, che succede, che cos'è questa storia?

- Alessandro, ti prego... Dimmi che non è vero... Che tu non c'entri niente con quello che sta succedendo a Umberto...

Anna, ancora sprofondata nella poltrona, nel pronunciare il nome del marito boccheggia in cerca d'aria, e di una spiegazione che la sua mente non riesce ad afferrare. Sente che in qualche modo, inconsapevole, è stata usata, tradita... Ma non è capace di accettarlo, di credere a ciò che una realtà troppo crudele le sta piano piano svelando... Non c'è più un briciolo di dolcezza, di comprensione negli occhi di quello sconosciuto che la sta fissando con una smorfia di rabbia repressa a stento sul viso.

- Non doveva andare così! No!

E' una furia quella che attraversa di corsa la stanza e fugge via. Barbara prende il cellulare e chiama.

- Giovanni, ora! Quello che sta uscendo...

6

Ora sono di nuovo tutti in casa, compreso Giovanni, il collega di Barbara che ha prontamente fermato il tentativo di fuga di Alessandro. In attesa che arrivino gli agenti Alessandro ha cominciato a collaborare, consegnando al dottor Muti la fialetta con l'antidoto che ha sempre tenuto con sé. Il piano prevedeva che lui prendesse il posto di Anna per la consegna: così avrebbe avuto modo di recuperare ciò che Umberto gli aveva sottratto (per denunciarlo? oppure per ricattarlo?) e dare l'antidoto al dottore senza destare sospetti.

Una volta avuta l'iniezione, Umberto è caduto in un sonno profondo dal quale si sveglierà frastornato ma guarito. Solo al suo risveglio sarà possibile interrogarlo e chiarire una volta per tutte la sua posizione. Anna invece è caduta in un mutismo disperato; ha fatto solo pochi passi, dalla poltrona dello studio a quella di camera, e là è rimasta, vicino a suo marito, ad aspettare...

Barbara sfoglia nervosa l'agenda. Ha trovato fra le sue pagine molte conferme ai sospetti in base ai quali era stata avviata l'inchiesta, ma resta un punto ancora da chiarire. E solo una persona, al momento, può farlo.

- Nievo, chi ha fatto le telefonate ad Anna? Chi è stato suo complice in questa messinscena?

Alessandro la fissa per qualche secondo prima di decidersi a rispondere. Per un attimo ha l'impressione di leggere nei suoi occhi qualcosa di simile alla compassione?

- Nessun complice, dottoressa, è bastato uno di quegli aggeggi elettronici...

- Non aveva niente del genere addosso o in tasca; e non ha gettato via niente mentre tentava di scappare. Non mi prenda in giro.

La guarda, senza dir niente, ancora con la stessa espressione; un abbozzo di sorriso gli increspa le labbra, appena intravisto mentre abbassa la testa e si mette a fissare ostentatamente la punta delle scarpe. "Che significa questo comportamento?  Chi vuole coprire?". Barbara non si dà per vinta.

- Danilo, mi dai il palmare per favore?

E riascolta la telefonata registrata, ma questa volta per mezzo di due auricolari. La voce è alterata, completamente irriconoscibile, ma i piccoli altoparlanti inseriti nelle orecchie le fanno scoprire altri suoni, rumori di sottofondo che erano sfuggiti all'ascolto normale: un fruscìo leggero che accompagna quasi tutto il messaggio e, quasi alla fine, una breve battuta musicale, un tema che è sicura di aver già sentito, molte volte... Possibile che lo stomaco sia più intelligente del cervello? Perché sennò quella sensazione di sentirselo in una morsa, prima ancora che la mente abbia trovato una risposta? Si toglie uno degli auricolari e, avvicinandosi a Giovanni, glielo porge.

- Giovanni, ascolta un po' qua... verso la fine... Ecco, senti?

- Sì... c'è della musica... aspetta, mi sembra... l'avvio di un com...

Gli appoggia le dita sulle labbra. Non vuole sentirlo, non vuole un'altra conferma a ciò che già le è scoppiato nel petto e le ha ridotto il cuore in pezzi. E ogni pezzo ha cominciato a battere per conto proprio in un assolo doloroso e moltiplicato per mille.

- Non dirlo. Ti prego, non dire niente.

Chiude il file e controlla l'ora della registrazione. "Lucia!... Perché? Perché?" Riconsegna il palmare al dottore e si affretta verso la porta per andarsene. Nessuno nota una lacrima che sgorga silenziosa e le scivola giù lungo la guancia.

- Giovanni, devo correre a casa... Appena arrivano i colleghi dirotta un'auto da me.

- Va bene, ma... Che succede, Barbara...?

Ma è già troppo lontana per rispondere.

7
Lucia è seduta sul letto a gambe incrociate, alla luce del piccolo abatjour, in attesa di una telefonata che sta tardando ad arrivare. Un senso crescente di preoccupazione sta montando sempre più. Lo scatto della chiave nella porta non la sorprende, ormai è abituata alle uscite e ai rientri di Barbara in piena notte. A sorprenderla è invece il modo in cui resta lì, ferma, sulla soglia della camera a fissarla in silenzio. Fra le ombre del viso, gli occhi sembrano laghi scuri, pronti a risucchiarla. E' chiaro che sa. Istintivamente si porta la mano alla bocca e trattiene il respiro. E, all'improvviso scatto verso di lei, non può fare a meno di ritrarsi spaventata dietro le braccia alzate a scudo davanti al viso.

Barbara invece si ferma accanto al letto e strappa via il cuscino: sul chiaro del lenzuolo spicca il cellulare di Lucia, collegato a un lettore mp3 sul quale, è sicura, troverà registrate le frasi trasmesse ad Anna. Le mascelle serrate, i tratti del viso tesi come elastici in una maschera che trasuda rabbia, delusione, odio, afferra i due oggetti e li stringe in mano, quasi volesse stritolarli, quasi volesse stritolare Lucia al loro posto... Ma sa che non può, non ne sarebbe mai capace. La mano allenta la stretta; le braccia cadono giù, lungo i fianchi; l'espressione si addolcisce mentre alle orecchie le arriva, tenue, smorzata dai singhiozzi, la voce di Lucia.

- Barbara... Ti giuro, mi ha costretta a farlo... Dovevo dirgli delle indagini... Ha detto che se non facevo come voleva, ti avrebbe spedito delle mie vecchie foto...

- E tu pensi che sarebbe bastato a...?

Agita le mani di fronte a sé.

- No... No... Ma... Avevo troppa paura di... perderti.

Poi cambia discorso. Vorrebbe spiegare:

- E poi, è stato anche più facile del previsto. Ti sei alzata. Non ho neppure avuto bisogno di nascondermi per...

L'urlo di una sirena copre le ultime parole. Poi gli avvenimenti si susseguono indistinti, come avvolti in una nebbia spessa. Gli agenti che arrivano; Lucia che, docile, triste, si mette qualcosa addosso e li segue; Barbara che esce con loro, dopo aver fatto capire con un cenno del capo che "No, quelle non servono".

Arrivano fuori che già l'alba sta contendendo la strada alla luce sempre più fioca dei lampioni. Aiutata da un agente, Lucia si accomoda in macchina, lo sportello si chiude e, attraverso il finestrino, scandisce con le labbra verso Barbara un muto "Ti voglio bene". Altre lacrime arrivano, escono dagli occhi, solcano il viso. Ma non le importa. Non importa se i colleghi la vedono; non importa se capiscono. La risposta, "Anch'io", le affiora spontanea in mente, resta non detta, confusa in mezzo ai versi di una vecchia canzone:

"Sento che sei con me,
In quest'alba fragile..."

© Massimiliano Marconi





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