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Tratto da una storia vera
di Marco Bottoni
Pubblicato su PBUNIBOOK2009


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Io non sono matto.

Sono solo stanco, molto stanco.

Dio, che caldo!

Fa un caldo insopportabile, e io non dormo, la notte.

Non riesco a dormire in modo decente da settimane, forse da mesi.

Mai sentito un caldo così!

Il fatto è che lei mia ha lasciato, e io non riesco più a dormire.

Una volta mi piacevano le notti  d'estate, restavo a guardare il cielo stellato lottando contro il sonno per godere la visione di quello che mi sembrava, allora, il Paradiso.

Adesso, è un inferno.

Lei mi ha lasciato e io, stelle o non stelle, non dormo più.

Anche il modo, poi!

Mi ha mollato con questo caldo, e io resto qui a domandarmi se sono io che ho sbagliato qualcosa oppure se sono io che ho sbagliato tutto.

Quale che sia la risposta, non dormo.

 

Le notti e i giorni si susseguono, uno più torrido dell'altro e io dormo si e no tre ore su ventiquattro; dicono in TV che è l'Anticiclone delle Azzorre, gli amici mi dicono che è tutta una serie di concause, io dico che è lei che è una stronza; comunque sia, non dormo lo stesso, e così mi sono ridotto a una specie di relitto umano.

Sono calato quasi dieci chili di peso, ho gli occhi iniettati di sangue e due borse paurose sotto le palpebre inferiori; trascuro spesso di radermi e quando mi rado mi riempio la faccia di tagli, dice un mio amico psicologo che il motivo sta in un mio desiderio inconscio di infliggermi una punizione perché mi sento in colpa per non essere riuscito a tenerla con me.

Io dico che il motivo vero sta nel fatto che lei è una stronza, ma anche dirlo non serve, tanto, non dormo ugualmente.

 

Il guaio è che anche il lavoro ne risente.

A inizio giornata sono già stanchissimo, faccio fatica a concentrarmi, non passa ora  che non avverta, acuto e lacerante, il desiderio di trovarmi in qualsiasi altro posto, basta che non sia qui, costretto a fare i conti con le responsabilità della mia professione.

Non me ne frega più niente di quelli che hanno la pressione alta né di quelli che hanno la pressione bassa, mi sento completamente estraneo a qualsiasi tipo di dolore altrui, sia esso articolare, muscolare o viscerale e, quel che è peggio, non riesco a concentrarmi nemmeno di fronte a sintomi per loro natura preoccupanti: proprio oggi doveva montargli un febbrone così alto, a questo qui?

Andando avanti così, va a finire che, anche senza volerlo, ne ammazzo qualcuno.

Certo che, anche lei, lasciarmi con questo caldo...

 

 

Sto facendo la spesa, spingo il carrello fra le corsie del discount alimentare del centro commerciale. Faccio acquisti prendendo la roba a caso dagli scaffali, non lo so cosa mi serve davvero, avevo fatto una lista ma, ovviamente, ho dimenticato il biglietto sul tavolo, prima di uscire.

D'altra parte, ultimamente dimentico tutto.

Non ho più testa per niente, uscendo lascio aperta la porta di casa oppure, se la chiudo, dimentico in casa le chiavi, così per rientrare mi tocca forzare la serratura.

L'amico psicologo dice che il motivo è il mio desiderio inconscio di non abitare una casa vuota, io dico che il motivo è che lei è una stronza.

 A volte mi succede anche di peggio, e cioè che non mi ricordo più se ho chiuso casa e mi tocca ritornare a controllare; poi, una volta accertato che avevo chiuso, mi viene il dubbio se ho controllato bene, e mi tocca tornare indietro un'altra volta.

Insomma, un disastro.

Spingo il carrello lungo le corsie e prendo la roba a caso dagli scaffali, ma non fa poi una grande differenza, tanto, oltre a non dormire, mangio così poco...

 

Suona il telefono, e io rabbrividisco.

Sono vicino al banco frigo dei formaggi, ma non è per questo che mi prende un tremito.

È il trillo del telefono.

Sono le due del pomeriggio, e se mi chiamano a quest'ora vuol dire che si tratta di una grana,  quasi certamente di un problema serio.

Il che, viste le scarse capacità che ho di risolverlo, si traduce necessariamente in un mezzo casino.

"Dottore, può venire subito, per favore?"

 

È un casino.

Grosso.

"Chiarelli si è barricato dentro i locali dell'ambulatorio, e non vuole saperne di aprire la porta."

Chiarelli è un matto.

Il Collega psichiatra dice che è un soggetto affetto da disturbo paranoide di personalità tipo border- line, con scarsa compliance alla terapia, ma io dico che è un matto.

È convinto che il Mondo sia impegnato, essenzialmente, a ordire complotti a suo danno, afferma che qualcuno lo sta torturando per mezzo di onde magnetiche prodotte da apparecchi elettromedicali e, ultimamente, dice anche di conoscere nome e cognome di chi manovra gli apparecchi.

"Minaccia sfracelli. Dice che accetta di parlare solo con lei..."

Due settimane fa ha anche costruito una rudimentale bomba molotov, riempiendo di benzina una bottiglia di birra, e l'ha lanciata nel cortile di un vicino di casa, che lui sostiene essere uno dei partecipanti al complotto.

"Dottore, venga più presto che può..."

Ma deve averla costruita in modo maldestro, perché lo stoppino non ha preso fuoco.

"...è  nell'ambulatorio chirurgico, ci sono anche i bisturi..."

E poi, era una bottiglia piccola.

 

Esco in fretta dal centro commerciale, la spesa non l'ho fatta neanche per metà, ma tanto, mangio così poco...

Arrivo a casa che sono le due e mezza del pomeriggio più caldo degli ultimi venticinque anni;

scarico in fretta le borse della spesa, di mettere in frigo la roba deperibile non c'è tempo, venga più presto che può... ha detto l'infermiera, accorata.

Sono sul posto dodici minuti dopo la chiamata, ‘fanculo anche il burro che si sta sciogliendo dentro la borsa di plastica sul pavimento dell'ingresso.

Ma proprio oggi gli doveva scoppiare la mania suicida a questo qui?

"Ecco, venga, è qui... signor Chiarelli, la prego, apra la porta! C'è il Dottore!"

‘Fanculo il burro, il guaio è che non mi ricordo se ho chiuso la porta di casa.

 

Alla fine, Chiarelli ha ceduto.

Anzi, ha ceduto quasi subito.

Mi ha aperto la porta, mansueto come un agnellino, e come se niente fosse mi ha dichiarato che "sì, se mi ci accompagna lei, ci vado in ospedale."

Con il caldo che fa e il mal di testa che non mi lascia da settimane, con le notti che non dormo e i chili di peso che ho perso, insomma, considerando quello che sto passando, non nego che mi farebbe piacere, adesso, sentirmi un po' eroe.

"L'efficace e pronto intervento del Medico ha evitato il possibile omicidio-suicidio..."

Ma sono troppo stanco e ho troppa voglia di essere in qualsiasi altro posto che non sia qui, per potere organizzare anche solo una fantasia narcisistica.

"Sì Chiarelli, l'accompagno io. Andiamo?"

"Andiamo, Dottore".

E poi, nell'armadietto dei ferri non c'era neanche un bisturi.

 

Prima di partire, ovviamente, ho chiamato Psichiatria.

"Mi passi il Medico di Guardia, per cortesia. È una cosa urgente."

Oggi, in Psichiatria, è di guardia Maura.

Proprio lei, con tutto che la stronza mi ha mollato e io non dormo da settimane.

"Sono Maura, dimmi."

E con il caldo che fa.

Abbiamo fatto l'Università insieme io e Maura, lei bellissima e io che cominciavo già a perdere i capelli.

Il primo anno no, perché ero troppo intento a studiare, ma al secondo anno mi sono accorto dei suoi splendidi occhi di cerbiatta, e mi sono innamorato.

Lei, quasi contemporaneamente, deve essersi accorta che avevo due occhiali spessi come fondi di bottiglia, nonché una lunga serie di ulteriori motivi per essere lasciato tranquillo a studiare, perché non si è innamorata per niente.

Cose che capitano.

"Arrivo con Chiarelli, ha minacciato il mondo intero ma poi ha parlato con me e si è un tantino calmato."

Sono stati anni duri, quelli dell'Università, e non per colpa dello studio.

"Ha detto che è disposto a farsi ricoverare, per un breve periodo."

Bocciarmi, non mi hanno mai bocciato.

"Lo accompagno io, con la mia automobile."

È che lei non mi ha mai guardato.

"Solo, fa in modo di essere lì, quando arriviamo...non vorrei che, all'improvviso, cambiasse idea..."

Solo una volta, in sei anni di frequentazione "forzata", si è appartata un momento con me, a parlare.

Mi guardava negli occhi e lamentava una specie di fatica esistenziale dentro la quale c'era tutto:  il peso degli studi, la noia, la solitudine, il bisogno di affetto e l'urgenza di vivere una nuova dimensione. Poi, con voce rotta dall'emozione mi ha detto: "ma a te non viene mai voglia di fuggire?"

"Molto spesso, da tre anni, a questa parte" le ho risposto con gli occhi, dato che non riuscivo a spiccicare parola.

"Io ci penso spesso. E tu?"

"Tutti i giorni" ho detto io, muto.

"E sai con chi, mi piacerebbe fuggire? Non lo indovineresti mai!"

"Con me?!?"  mi è rimasto chiuso nella strozza, mentre diventavo paonazzo.

"Con un guerrigliero di Sendéro Luminoso!"

Sendéro Luminoso era, all'epoca, una organizzazione paramilitare di guerriglieri Tupamaros,  uomini bellissimi e dannati, con chiome fluenti e barba ispida, armati fino ai denti  e disposti a rischiare ogni giorno la vita nella romantica, eccitante e pericolosissima avventura della guerra di Rivoluzione in America Centrale.

"Siamo lì fra venti minuti"

America Centrale o Meridionale?

Cosa importa? Tanto io, all'epoca, non avevo mai impugnato nemmeno un coltello a serramanico, avevo perso già quasi tutti i capelli e l'avventura più pericolosa che mi capitava di vivere era il pasto alla mensa universitaria.

"Arriviamo, aspettaci"

E, in più, non conoscevo neanche una parola di Spagnolo.

"Aspettami"

Cose che capitano.

 

Arriviamo in reparto, io e Chiarelli, che fa un caldo tremendo.

Lungo la strada ci siamo fermati, sono sceso a comperargli le sigarette.

È stata una sua esplicita richiesta, e al nemico che fugge si fanno ponti d'oro, non sia mai che cambiasse idea.

Il lungo tratto che separa il parcheggio dall'ingresso del reparto lo percorriamo a piedi sotto un sole a picco.

Mi sembra di svenire, ci saranno quaranta gradi, non dormo da tre giorni e da non so quanti non faccio un pasto decente.

 Chiarelli, almeno lui, ha un cappello in testa, si è ricordato di prenderlo da casa, io no.

Io non mi ricordo nemmeno se ho chiuso la porta di casa.

All'ingresso in reparto ci accoglie una infermiera, non so se carina o bruttina perché ne distinguo a malapena i contorni del viso, nella penombra del corridoio; gli occhi, ancora abbagliati dalla luce dell'esterno, mi bruciano da morire.

"Ho telefonato, la Dottoressa ci aspetta"

Non so nemmeno se ho chiuso l'automobile, ma ormai siamo qui, che importa?

L'importante è che Chiarelli si è ammansito, e che Maura mi aspetta.

 

Incontro Maura  nell'atrio, vicino alle macchinette del caffè.

Chiarelli è parcheggiato lungo un corridoio, in attesa; della stessa attesa io approfitto per farmi una dose di caffeina.

A forza di non mangiare e non dormire,  per stare su bevo un numero spropositato di caffè al giorno;  passata un'ora dall'ultima tazzina comincio ad avvertire i sintomi della crisi da astinenza: tremori, difficoltà nella concentrazione, dolori muscolari, vista appannata.

Anche un groppo in gola, mi viene, e una sensazione dentro il petto come se il cuore invece di battere facesse dei tonfi.

Dice il mio amico psicologo che sono segni di somatizzazione dell'ansia; io dico che è la stronza, che mi ha mollato.

Incontro Maura che beve quello che è, forse, il secondo caffè della  sua giornata.

Lei è bellissima, io faccio schifo.

Barba incolta e viso smunto, occhi arrossati e palpebre gonfie, puzzo di disperazione lontano un miglio.

Probabilmente, anche di qualcos'altro: ho la maglietta tutta spiegazzata e intrisa di sudore.

In un attimo realizzo che non ci vediamo da un sacco di tempo.

"Ma... cosa ti è successo?"

Eh già, al telefono ha sentito solo la voce.

 "È una cosa lunga...ti dirò..."

Conciato così, devo fare un certo effetto.

"Ma...non è che sei malato?"

 Non so più niente, neanche se sono malato o no.  So solo che qui fa fresco e che nella penombra dell'atrio lei è bellissima, mentre io faccio sicuramente pietà.

"Beh, mi dirai..."

Non so niente e non dico niente.

Neanche che, nel frattempo, ho imparato lo Spagnolo.

 

 

Adesso siamo seduti nello studio medico, io e Chiarelli su due poltroncine rosse, Maura dietro la sua scrivania.

È molto bella e molto professionale, si gira fra dita una matita con la quale, ogni tanto, prende appunti su un foglio.

Mentre parla con Chiarelli usa un tono di voce basso, rassicurante.

"Allora, signor Chiarelli, mi dice il Dottore che lei, ultimamente, non è stato troppo bene..."

Deve "agganciare" Chiarelli, ottenere da lui un consenso a farsi ricoverare e a collaborare al programma di cura.

"Come si sente, adesso?"

È davvero brava nel suo mestiere: mentre lo ascolta non lo lascia un istante con gli occhi,  gli lancia sguardi dolci e rassicuranti, lo mette a proprio agio.

A me rivolge solo una  rapida occhiata ogni tanto, ma è giusto così: il paziente è lui, mica io.

"Ha voglia di parlare con me dei suoi problemi?"

Lo so come è che funziona.

"Si, dottoressa"

Questo è il primo sì che riesce ad estorcergli: continuerà a farlo parlare fino a quando sarà pronto a rispondere "sì" alla domanda cruciale.

"Mi sento stanco, molto stanco"

A chi lo dice! Mentre Chiarelli parla, io comincio a  rilassarmi.

"Ultimamente dormo quattro o cinque ore per notte"

Il doppio di quello che dormo io.

"Mangio poco, sono anche calato di peso."

Io è da ieri sera che non butto giù niente.

"Tre chili, almeno"

Beato lui!

"Mi sento triste, non parlo più con nessuno. Mi trascuro: stamattina non mi sono nemmeno fatto la barba."

Chiudo gli occhi e mi passo una mano sulla barba ispida che ho.

"Non ce la faccio più ad andare avanti così!"

Questo non so se lo dice lui o se lo sto pensando io: le voci di Maura e di Chiarelli mi si confondono, mi tremano le mani e ho la vista appannata. Ho bisogno di un caffè.

Finalmente, arriva la domanda.

"Allora, signor Chiarelli, vuole rimanere per qualche giorno qui con noi?"

Sì, rispondi sì!

 "Sì, va bene".

Ci starei io, qui con te.

"Resto."

 

Maura alza il ricevitore del telefono e io non posso fare a meno di pensare a quanto sia apprezzabile la professionalità, in una donna.

"Il signor Chiarelli si ferma qui con noi."

Oltre alla bellezza, s'intende.

"Potete fare preparare una stanza e mandare qualcuno per accompagnarlo?"

Entra nello studio un uomo corpulento e massiccio, indossa una maglietta bianca che gli mette in evidenza i pettorali sviluppati.

 "Buongiorno, Walter"

È il prototipo dell'infermiere di reparto psichiatrico; lo capirebbe anche un matto che non è il caso di mettersi a fare i capricci con uno come lui.

"Il signor Chiarelli si ferma qui da noi. Andrà nella stanza numero 15"

Walter fa un cenno di assenso a Maura, poi muove un passo avanti, e io mi rendo conto di quanto, oltre alla professionalità e alla bellezza, sia importante anche lo stato di salute di una donna.

Anzi, di quanto possa essere essenziale.

Se Maura, pur essendo bella e brava, soffrisse di un piccolo disturbo "Scusatemi, mi assento per un attimo; l'infermiere viene subito" se avesse anche solo una banale forma di cistite, magari ora sarebbe in bagno e non potrebbe dire al nerboruto Walter che, muovendosi deciso, mi ha già afferrato per un braccio :"No, Walter, c'è un equivoco...

Walter mi guarda con sospetto, io guardo lui con rassegnazione.

"...quello è il Dottore. È il signor Chiarelli che si ferma qui con noi."

 

 

E cosa altro avrebbe dovuto fare il buon Walter, pettorali scolpiti e vent'anni di esperienza come infermiere di psichiatria?

"Venga..."

Sguardo assente e occhi iniettati di sangue,

"Andiamo..."

 aspetto trasandato,

"Su, si alzi.

magrezza patologica,

"Venga con me."

chi poteva essere quello da ricoverare?

Io, per parte mia, ringrazio la  buona salute di Maura, perché lo so già come sarebbero andate, altrimenti, le cose.

Lui mi avrebbe afferrato con dolce fermezza dicendomi "Andiamo"

Poi, sarebbe accaduto l'ineluttabile.

 "Ma, dove andiamo?"

"Non si preoccupi, la accompagno io"

"Lei si sbaglia, io non sono...."

"Stia calmo, non mi sbaglio."

"Io non voglio..."

" Lei deve venire con me, l'ha detto la Dottoressa"

"Ma io devo andare a casa mia...."

"Sì, certo che ci andrà a casa sua. Ci andrà quando starà meglio!"

"Ma io sto benissimo!"

"Su, faccia il bravo..."

 E mi avrebbe portato via.

 D'altra parte, si sa, in Psichiatria il fatto che uno rifiuti il ricovero costituisce la conferma che ha bisogno di essere ricoverato.

"Forza, andiamo... lasci che la aiutiamo..."

Mi avrebbe sollevato quasi di peso, e giunti a metà corridoio "Non sono mica matto, io!" gli avrei detto con voce ferma, in un ultimo sussulto di dignità.

 "No, lei non è matto" mi avrebbe risposto lui, come da copione "è solo molto stanco..."

 

Sarebbe andata a finire così, ne sono sicuro.

E non è affatto detto che sarebbe stato un male.

© Marco Bottoni





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