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La sedia del diavolo
di Francesco Paoletti
Pubblicato su SE2


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In quel periodo mi trovavo a Roma.
Venivo spesso nella capitale a trovare mio fratello che lavorava all’università.
Ma non era solo quella l’unica ragione che mi spingeva così frequentemente verso la città eterna.
Roma ha un fascino particolare ereditato dai secoli, gli abitanti non lo colgono perché lo respirano ogni giorno della loro vita, e quindi ne sono ormai assuefatti.
Ma è difficile che un forestiero non lo percepisca almeno in parte.
E’ un fascino che sale dalle strade, dai muri dei palazzi ... dall’aria !
Miti e leggende si perdono nella notte dei tempi e a volte, a seconda dell’ora del giorno, delle condizioni di luce, o della presenza o meno di altre persone, alcuni luoghi sembrano acquistare un’atmosfera propria, completamente sciolta dall’ambiente che li circonda.
Non mancano neanche le storie di fantasmi, anche se delle stesse in massima parte si è perso il ricordo.
Ma ogni tanto basta passeggiare nelle luci fioche del crepuscolo in qualche posto lontano dal traffico quotidiano, o anche a tarda notte, o verso l’alba, per sentire qualcosa nell’aria, per avvertire che dietro ad una finestra male illuminata, o dietro ad una porta socchiusa, o in cima ad un punto sopraelevato in contrasto con il cielo plumbeo, potrebbe apparire una sagoma, un’entità richiamata dal passato della città, quasi a testimonianza del fatto che ciò che è vissuto non può mai essere cancellato completamente.
E’ come se improvvisamente dalla polvere dei secoli venisse richiamata la memoria di uomini e donne appartenenti ad un tempo che ora non è più, uomini e donne che vissero, amarono, risero e piansero.
E’ da tutto questo che alcuni luoghi della città acquistano una valenza stranamente positiva o negativa : è come se un’energia vitale fosse pronta a rivelarsi in tutta la sua potenza e a condizionare gli eventi che accadono, secondo un disegno non ben definito, ma che trova riscontro nella memoria stessa e nei ricordi che non si sono mai estinti.
Quel pomeriggio non avevo nulla da fare, mio fratello sarebbe stato impegnato al lavoro fino a tardi, avevamo programmato di uscire a cena con un gruppetto di vecchi amici, e per ammazzare il tempo rubai dai suoi scaffali un libro sui misteri e i segreti della città.
Mentre lo sfogliavo la mia attenzione cadde su un nome che spiccava tra gli altri per la sua peculiarità : La sedia del diavolo.
Si tratta di un antico monumento sepolcrale romano che sorge in Piazza Elio Callistio, una piazzetta del quartiere che da molti è ancora denominato “africano” dai nomi delle vie e delle strade.
Secondo il testo, Elio Callistio era un liberto dell’imperatore Adriano che, mentre era ancora in vita, volle erigere per se e per i propri familiari il monumento in questione.
Il testo riportava anche le descrizioni del Tomassetti e del Bergau in merito alle decorazioni in terracotta e ai pavimenti in mosaico ora scomparsi.
C’era un’interessante sviluppo assonometrico con la probabile posizione di un sarcofago e della statua di una divinità, oltre ad uno studio epigrafico sull’origine della famiglia.
C’erano anche alcuni disegni e delle foto non molto recenti che illustravano quello che ne rimaneva.
Ma quello che più mi colpiva era il nome decisamente accattivante.
Chi lo aveva inventato ? ... E soprattutto : perché ?
Forse era solo la sua forma che lo faceva assomigliare ad un gigantesco rozzo trono, o c’era anche qualche altra ragione ?
Certo la fantasia popolare può essere fervida e a volte anche gretta nello stile, ma quello che più mi intrigava era immaginare la meccanica dei fatti che poteva aver portato un simile appellativo, dal sapore decisamente grottesco e pittoresco al tempo stesso, a conservarsi praticamente inalterato nel corso dei secoli, fino a far dimenticare ciò che il monumento era in origine.
C’era qualcosa di decisamente insolito in tutto ciò.
Ruppi gli indugi e decisi di vederlo da vicino, anche se probabilmente una visita in loco non avrebbe certo risolto il mistero né soddisfatto la mia curiosità, ma era comunque una possibilità di saperne qualcosa di più.
Presi lo stradario e guardai la posizione della piazza.
Mio fratello non se la sarebbe presa se, dopo aver disposto per una mezzora di ciò a cui teneva di più nella sua vita (la sua biblioteca), avessi preso in prestito la sua moto per il resto del pomeriggio ed in fondo poi non era la prima volta che accadeva.
Rimisi il testo al suo posto, ma mentre compivo questa operazione spostai per caso l’intera fila di libri del giusto spazio che bastava per far cadere una scatola di polistirolo posta alla fine del pianale.
Non feci praticamente alcun danno materiale, la scatola conteneva solo alcuni appunti ed un mazzo di tarocchi, ma la cosa più singolare fu che dell’intero mazzo che si sparse sul pavimento l’unica carta che cadde scoperta in modo che io la potessi avere ben visibile davanti agli occhi fu proprio quella del Diavolo.
Rimasi per un attimo ad osservarla, senza realizzare sulle prime la strana coincidenza.
Guardavo i particolari del disegno di Waite, il pentacolo tra le corna ricurve, il glifo di Saturno sul palmo della mano destra ed i due diavoli minori di sesso opposto incatenati al basamento : il basamento su cui è seduto il Diavolo ... La sedia del Diavolo !
Per un attimo fu divertente tentare di immaginare il motivo per cui tutto ciò stesse accadendo proprio in quell’istante e associare a quei simboli una qualche relazione di carattere soprannaturale con gli eventi che sarebbero accaduti nell’immediato futuro.
Ma poi la mia mente smise di volare e atterrò di nuovo nella realtà quotidiana, in fondo quello che mi accingevo a compiere era un banale giro turistico in una zona di Roma che di attrazioni turistiche ne aveva assai poche, per poi soddisfare una mia curiosità nella ricerca di luoghi che potevano esercitare una sorta di fascino solo sulla mia fantasia personale, e l’unico elemento tutt’altro che soprannaturale con cui avrei dovuto combattere sarebbe stato molto probabilmente il traffico urbano.
Non occorsero più di venti minuti per arrivare a destinazione, attraversai il centro e percorsi tutta la via Nomentana fino all’altezza di Villa Leopardi.
Una vecchia fioraia mi indicò la direzione senza spillare parola.
Arrivai così a piazza Elio Callistio.
Il luogo si presentava più che altro come un piccolo slargo posto alla confluenza di cinque vie, c’erano molte macchine parcheggiate, ma non vidi praticamente anima viva, nonostante fosse omai vicina l’ora di apertura dei negozi.
Ebbi comunque la sensazione che le strade di un quartiere così popoloso fossero troppo poco trafficate a quell’ora del pomeriggio e che qualcuno o qualcosa mi stessero aspettando.
Ma non gli diedi molta importanza : avevo di fronte La Sedia del Diavolo !.
Vista in quelle condizioni non aveva certo un aspetto molto inquietante, era circondata da palazzi costruiti durante l’espansione edilizia del secondo dopoguerra che superavano due o tre volte la sua altezza totale.
Certo in altri tempi, isolata nel bel mezzo della campagna, doveva incutere una sorta di timore reverenziale.
Parcheggiai la moto su un marciapiede al lato della piazza e mi avvicinai per osservarla meglio.
Era una costruzione di fine architettura risalente al secondo secolo dopo Cristo, edificata con mattoni rossi e gialli e circondata da un’alta inferriata per impedire che qualcuno la scegliesse come dimora temporanea nelle notti di pioggia.
Mi spostai sul lato orientale, per poter guardare all’interno.
Fu in quel momento che mi ritrovai di fronte quell’eccentrico personaggio e per poco non lo urtai, preso com’ero ad osservare l’oggetto delle mie attenzioni.
- Mi scusi, non l’avevo vista ! -
- Non si preoccupi. Sono cose che capitano ! - Mi rispose con tono cordiale.
Era un distinto signore di mezza età, aveva un vestito molto elegante, con giacca e gilet neri e dei pantaloni grigio scuro, un impermeabile beige, una sciarpa di seta rossa ed un bastone da passeggio di ebano.
- Stava contemplando ... La Sedia del Diavolo ? - Mi chiese sorridendo.
- Sì ! -
- E’ venuto qui solo per questo ? -
- Beh ... si ! -
- E’ strano : è molto raro che della gente venga qui appositamente per vederla.-
- In effetti non è un monumento appariscente come possono esserlo il Colosseo o l’Ara pacis, anzi, forse l’unico motivo per cui può aver acquistato una certa notorietà è proprio per il nome. Anche se non le nascondo che dentro ognuno di noi c’è sempre l’immaginario fantasioso e pittoresco di venire qui ed incontrare il Diavolo. -
- Perché, vedere il Diavolo la potrebbe affascinare ? - Mi chiese con fare curioso.
- Il Diavolo non può non affascinare : il Diavolo, per quanto variegato e principalmente negativo, è pur sempre un simbolo. -
- Capisco.- Mi rispose con atteggiamento da cattedratico - Comunque secondo la scienza occulta il Diavolo non ha un significato così integralmente negativo quale quello che la gente comune è solita attribuirgli : egli è il simbolo dell’anima del mondo, senza la quale tutte le cose materiali non esisterebbero, è la vitalità animale che differenzia l’individuo dal “Tutto” e che il saggio deve saper sfruttare per indirizzarla secondo le sue intenzioni, dato che da essa non può prescindere. -
- Questo infatti è l’elemento che forse più di tutti ne rende ammaliante la figura. - Risposi colpito dalla sua preparazione.
- In ogni caso, se incontrare il Diavolo può farle piacere, sappia che Diavolo a Roma è di casa : una città eminentemente ecclesiastica offre largo campo alla possibilità di conquistare anime pie, che sono infinitamente più pregiate delle altre. Si racconta che il Diavolo tentò in ogni modo di corrompere San Domenico mentre pregava disteso sul pavimento della chiesa di Santa Sabina, e preso dall’ira per non essere riuscito nel suo intento, gli scagliò addosso un blocco di basalto. Il santo rimase illeso perché protetto da Dio. Ma sul blocco è rimasta ben visibile l’impronta delle dita diaboliche. -
- Ne ho sentite diverse di queste leggende. Ma lei è un ricercatore ? -
- Scusi, non mi sono ancora presentato. Io sono il Dottor Cerofuli, esperto di storia delle religioni e di occultismo. -
- Molto lieto ! - Risposi presentandomi e stringendogli la mano.
- Lei non è di Roma ? - Mi domandò.
- Per la verità sono nato a Roma, ma sono sempre stato fuori. Mio padre era ufficiale dell’aeronautica e quindi non ho mai vissuto qui in pianta stabile. Vengo a Roma molto spesso a trovare mio fratello che lavora all’università. Ma neanche lei è di Roma ? -
- No, anch’io sono, se si può dire, “cosmopolita”. Ma mi dica, se non sono indiscreto, cosa l’ha spinta esattamente a visitare questo vecchio rudere abbandonato ? -
- Non saprei dirglielo con esattezza. - Risposi - Forse il suo nome singolare. Ma ora che ce l’ho di fronte oserei dire che ha qualcosa di diverso dalle altre rovine. -
- E cosa in particolare ? -
- Beh ecco ... non mi prenda per schizofrenico, ma guardandolo si ha quasi la sensazione che abbia ancora dell’energia.-
- Energia ? -
- Sì, mi spiego : è una caratteristica dei luoghi che può essere percepita solo dalle persone che sono, per così dire, “sitosensibili”, ed io penso di esserlo. Vede, io credo che ciascun luogo abbia in seno una sorta energia positiva o negativa che gli permette di influire in un modo o nell’altro sulla realtà ad esso circostante. E’ un ‘energia che nasce dalla memoria e dall’interazione dei fatti che vi sono accaduti e che può cambiare di intensità e valenza nel corso del tempo se qualche evento esterno particolarmente traumatico può intervenire a mutarne l’essenza e la consistenza. Alcune persone che sono particolarmente sensibili possono avvertirne la presenza. Questa energia poi, data la sua influenza sugli eventi, diventa una fonte di instabilità, che può essere positiva o negativa. Gli edifici più vecchi, data la loro memoria storica, hanno una maggiore attitudine a conservare questa energia. -
- E questa energia è rilevabile in tutti i luoghi ? -
- In tutti i luoghi. Eccetto nella maggior parte delle rovine, che sono fondamentalmente “neutre”. Le rovine hanno in qualche modo consumato tutta la loro energia e diventano in tal senso dei veri e propri scheletri inerti, ma essenzialmente stabili. E’ difficile che tra le rovine si possa rilevare dell’energia. -
- E lei sente dell’energia in questo rudere ? -
- In un certo senso sì. - Risposi.
- Ma quali sarebbero gli effetti di questa energia sulla realtà ? -
- Molteplici. Si va da quelli più insignificanti e meno percettibili, che sono poi tra l’altro i più probabili, a quelli che la gente comune chiama miracoli, che sono i meno frequenti. Però l’energia non può manifestarsi senza qualcuno che la “attivi”. -
- In altre parole, lei mi sta dicendo che occorrerebbe una sorta di antenna ricevente per attivare l’energia di cui mi sta parlando ? -
- Esattamente. E questa antenna ricevente può essere costituita solo da esseri viventi che singolarmente o collettivamente possono captare e attivare questa energia. -
- Senta, io non vorrei approfittare del suo tempo, ma se fosse possibile andare a sederci da qualche parte, potremmo continuare questo piacevole scambio di idee davanti a qualcosa da bere ? -
- Molto volentieri. - Risposi colpito da tanta cortesia.
- Ad un patto però : che non le passi neanche per la testa di voler essere lei ad offrire.
E‘ tanto tempo che desidero parlare con qualcuno di argomenti così interessanti che mi sento quasi obbligato a provvedere io. -
Non me lo lasciai ripetere due volte e lo seguii fino ad un’enoteca che si trovava nelle vicinanze.
Ci fecero accomodare in una piacevole veranda esterna coperta da una vite americana.
Era il primo pomeriggio, per cui non c’erano altri clienti.
Essendo suo ospite, gli lasciai l’incarico e la responsabilità sulla scelta di ciò che avrebbe dovuto accompagnare la nostra conversazione, dato che oltre alla mitologia e alla religione mi era sembrato molto ferrato anche in materia enologica.
Ordinò una bottiglia di ottimo Romanee Conti, e dopo essere stati serviti, lasciò una copiosa mancia al cameriere.
- Lei viene spesso da queste parti ? - Gli chiesi per riprendere il discorso interrotto al momento dell’incontro.
- No - Mi rispose - Non molto spesso. Anche se negli ultimi tempi, da quando lavoro part-time, mi ci sono ritrovato più del previsto. -
- Senta Dottor ... - Per i nomi ero sempre stato un disastro, ero capace di chiedere tre volte ad una persona appena conosciuta come si chiamava nello spazio di cinque minuti.
Ma per fortuna il mio interlocutore capì la situazione e per levarmi dall’imbarazzo mi anticipò - Cerufoli ! -
- ... lei sa qual è il motivo per cui la Sedia del Diavolo è chiamata così ? -
- E’ un nome che gli è stato dato nel medio evo ...- Mi rispose porgendomi un suo biglietto da visita. - ... si pensava che il Diavolo lo usasse come trono per riposarsi tra un periodo e l’altro della sua fervida “attività”. Si parla anche di messe nere che sono state celebrate ai suoi o piedi. Verso gli anni Cinquanta poi ci fu una vera e propria sollevazione da parte degli abitanti della piazza, che stanchi di abitare in piazza della Sedia del Diavolo, chiesero ed ottennero dalle autorità municipali il mutamento toponomastico. E così ora la piazza è intitolata ad Elio Callistio. -
- Ma lei crede al Diavolo ? -
- In un certo senso ! - Fu la sua risposta.
- Cosa vuol dire “In un certo senso” ? -
- Lei ha mai letto Jung ? -
- No - Risposi - Il suo pensiero in generale mi è noto, ma non ho mai avuto l’occasione di approfondirne la conoscenza. -
- Come lei sa, Jung è stato il primo a teorizzare l’esistenza dell’inconscio collettivo, inteso come struttura psichica inconscia congenita e comune a tutti gli esseri umani. Studiando la mitologia, i riti e le credenze dei popoli primitivi, egli ne pose in evidenza la stretta analogia formale esistente con le fantasie dei nevrotici o le allucinazioni degli psicotici. In un primo tempo Jung descrisse questo inconscio collettivo come il deposito delle tracce mnemoniche latenti lasciate dal passato ancestrale dell’uomo, come per esempio il residuo dello sviluppo evolutivo di una comunità accumulatosi in seguito alle ripetute esperienze delle generazioni passate. Ora capisce perché ero cosi interessato alla sua teoria sulla sensibilità all’energia dei luoghi ? -
- Continui ! -
- I contenuti dell’inconscio collettivo, i cosiddetti archetipi, sono considerati da Jung come immagini ereditate, così è per l’archetipo di Dio che è presente in tutti i tempi sotto i simboli più diversi quali il sole, la vita o la giustizia. Altrettanto avviene per il Diavolo. Ognuno di questi archetipi genera poi dei potenti simboli che variano in funzione delle epoche. -
- Vuole con questo convincermi dell’esistenza di Dio e del Diavolo ? -
- Assolutamente no ! - Mi rispose. - Voglio convincerla che non è importante chi o cosa domini veramente la realtà. Quello forse sarà una sorta di principio fisico su cui si fonda l’essenza stessa dell’universo e di cui riusciamo solo a scorgere vagamente il manifestarsi fenomenologico. Ciò che conta è la personalità che gli abbiamo dato noi attraverso i nostri filtri culturali. I cattolici lo chiamano Dio, gli islamici lo Chiamano Allah, ogni popolo ha la manifestazione creata nei secoli dal suo personale inconscio collettivo. E lo stesso vale per il Diavolo. Il Diavolo è la personificazione del male, è un archetipo che ha generato una infinità di simboli. Alcune religioni per esempio non hanno un unico “Diavolo” o comunque un’unica entità a cui associare il concetto di male, hanno dei “demoni”. Per alcune religioni orientali non esiste neanche il dualismo bene-male, ma il male è comunque presente con i suoi simboli di riferimento. Nella religione cattolica l’unico demone sovrano è il Diavolo. Anche se nel corso dei secoli sono poi state introdotte le schiere di demoni infernali ad esso affiliate. -
- Questo dimostra l’esistenza di una tendenza inconscia della collettività a proiettare dei concetti su determinati simboli, ma non dimostra l’esistenza di Dio o del Diavolo. -
- Attenzione, perché qui viene il bello. Fino a questo momento si è considerato l’inconscio collettivo come un elemento, sia pure etereo, della collettività. Ma dell’inconscio collettivo esiste anche, nello stesso Jung, una versione più evoluta. Secondo questa più matura concezione, l’archetipo cessa di essere un’immagine e diventa un modo ereditario di funzionamento psichico, quasi una funzione o categoria a priori di sapore squisitamente kantiano. L’archetipo, in questo senso, esiste solo in potenza come possibilità di fare un certo tipo di esperienza e viene attivato nei singoli individui dalle particolari circostanze della loro esistenza. L’esperienza che si presenta ad un individuo è dunque vincolata, a parte alcune condizioni particolari, esclusivamente dai limiti stessi dell’inconscio collettivo e dell’archetipo in questione. Quali sono i reali limiti dell’inconscio collettivo ? ... Nessuno li conosce. L’unica cosa certa è che l’inconscio collettivo esiste ed è incredibilmente potente, al punto da portare alla morte per collasso un’intera tribù di aborigeni che videro distrutto l’idolo a cui avevano associato il ruolo di unico centro e primo motore della vita nell’universo. Qualunque manifestazione naturale o soprannaturale è quindi legata all’inconscio collettivo della comunità in cui si è manifestata. Gli stessi miracoli, di cui lei prima ha parlato, ma che sono così poco frequenti, le rare volte che non si rivelano dei banali trucchi da baraccone escogitati da qualche ciarlatano, non sono altro che una manifestazione generata dall’inconscio della collettività. Lei può vedere statue della Madonna che piangono sangue o statue Indù che bevono latte, ma è molto poco probabile vedere statue di Apollo o di Anubis fare la stessa cosa, perché quei simboli fanno parte di religioni che non hanno più un numero di adepti tale da generare un inconscio collettivo che li sostenga. -
- Dove vuole arrivare ? -
- Voglio dimostrarle semplicemente che affinché un’entità soprannaturale o una divinità esistano, non è necessario che siano presenti in senso materiale, basta solo che una comunità abbastanza folta di individui creda che esistano, o che, pur non credendo alla loro esistenza, siano stati educati quantomeno alla sua presenza dalla cultura, dai libri, dalle dicerie popolari. E’ la mente degli uomini che poi fa il resto.-
- Mi scusi Dottor ... - Nuovamente diedi prova della mia pessima memoria per i nomi e anche questa volta arrivò in soccorso - Cerufoli ! -
- ... lei quindi valuterebbe l’esistenza di Dio o del Diavolo dal numero di adepti della stessa religione cattolica ? -
- Esattamente così come valuterei l’esistenza di Allah dal numero di adepti dell’Islam o l’esistenza di qualsiasi divinità dal numero degli adepti del culto ad essa associato.- Mi rispose come se avesse sempre aspettato quella domanda.
- Quindi questo spiegherebbe anche come mai alcune religioni sono sopravvissute rispetto ad altre ? -
- Certo ! Ogni religione muore quando non ha più adepti che la sostengono e questo è avvenuto semplicemente perché dal punto di vista storico ed antropologico alcune religioni erano più funzionali o perché comunque si sono imposte con la forza fino a sopprimere gli adepti della “concorrenza” con metodi decisamente lontani da quello che è il moderno concetto di rispetto dei diritti umani. -
- Beh, è una teoria interessante, e decisamente innovativa, si può dire che costituisca quasi una sintesi concordante tra le tesi contrapposte degli atei e credenti.-
- Tra atei e credenti non c’è molta differenza. Gli atei cercano un punto di riferimento dentro se stessi e per questo sono più soli e deboli, perché possono fare affidamento solo sulla loro forza individuale, ma sono liberi dagli orpelli della religione. I credenti cercano un punto di riferimento nella comunione collettiva che hanno deciso di abbracciare e per questo sono più forti, perché l’unione fa la forza, ma sono vincolati ai dogmi del loro credo.
Tra una religione e l’altra poi ci sono solo delle differenze dovute a filtri culturali, anche se molte religioni sembrano agli antipodi in quanto a vedute. Ogni religione in sostanza non fa altro che voler guardare da un punto di vista particolare quel principio assoluto su cui si fonda la dinamica dell’intero universo e proiettarlo su degli archetipi o su dei simboli tipicamente umani originari della cultura in cui quella particolare religione si è sviluppata.
Il male di cui si è voluta associare la responsabilità al Diavolo è in realtà definito “male” principalmente dagli uomini, e in particolare da una ristretta cerchia che è costituita dagli adepti della religione cattolica o al più anche dai musulmani, visto che pure nell’Islam è presente la figura di Satana. -
- Da questo punto di vista allora esisterebbe una stretta correlazione tra un’istituzione religiosa come fenomeno di stato e la sua influenza sulla realtà tangibile ? -
- Certo : è solo quando un gran numero di adepti arrivano ad abbracciarlo direttamente o indirettamente che un determinato culto riesce ad imporsi sulla realtà e condizionarne gli eventi in maniera consistente, e questo spesso può essere assicurato solo attraverso delle imposizioni coercitive manifeste o occulte sulle masse popolari.-
- Ma questo vale anche per il Cattolicesimo ? -
- Questo vale soprattutto per il Cattolicesimo ! Pensi alle prepotenze della chiesa nell’usurpare le festività antiche : la festa del Sol Invictus è stata trasformata nel Natale, i Saturnalia sono stati trasformati nel Carnevale, Samain, una delle principali festività del calendario celtico, è diventata la “notte dei morti” meglio conosciuta come Halloween nei paesi anglosassoni, Beltane , la notte tra i 30 aprile ed il 1° maggio, è diventata la “notte delle streghe” conosciuta come Valpurga, e le posso assicurare che per gli antichi Celti quelle festività non avevano nulla di negativo, solo che la chiesa cattolica non è riuscita ad assimilarle nel proprio calendario diciamo per incompatibilità “culturale”.
Ma potrei citarle altrettanti esempi.
La figura dello stesso Diavolo è il prodotto di una mistura di tutti i simboli negativi che la chiesa non è riuscita ad assimilare perché in contraddizione con i propri dogmi.
E allora si è avuta l’idea alquanto grottesca di concentrarli tutti in un’unica entità e di chiamarli “il male”.
Innanzitutto egli è la personificazione di Tifone, il terribile mostro partorito da Era, antitesi dello spirito evolutivo e simbolo della regressione dell’essere cosciente, è l’esatto parallelo di Set per gli Egiziani.
Le corna di cervo vengono da Kernunnos, il dio celtico di epoca preromana, mentre le zampe di capra sono quelle di Pan, altra divinità celtica non ben vista dalla chiesa cattolica.
Le ali poi vengono dal pipistrello : una creatura notturna a cui la naturale inconscia paura dell’uomo per le tenebre ha voluto per forza associare una valenza negativa.
Hanno creato un ibrido polimorfo, e infatti il Diavolo ha mille appellativi : Satana, Mefistofele, Belzebù, Asmodeo, “Colui che ha mille volti, mille nomi e mille forme !”.-
- Mi perdoni se la interrompo nuovamente, Dottor ... - Ormai avevo perso ogni speranza di ricordarmi il suo nome.
- Locefuri ! - Ribatté sorridendo.
- ... se non ho capito male, in tutti questi secoli ci saremmo trovati di fronte ad un’opera di persuasione occulta di massa da parte della Chiesa ? -
- Esattamente ! Il cattolicesimo non ha fatto altro che creare un nuovo inconscio collettivo ed imporlo per intere generazioni fino a far dimenticare tutto ciò che era esistito prima.
Pensi alla stessa Sedia del Diavolo : è stata la tomba di un liberto dell’imperatore Adriano, ma la religione cattolica ne ha in qualche modo usurpato l’essenza. Come tutte le vestigia della Roma imperiale è stata violata e saccheggiata fino a diventare un rudere abbandonato. Solitaria in mezzo ai campi che la circondavano, la fantasia popolare ormai condizionata, ha voluto assegnargli la valenza di un luogo diabolico, immaginando in esso il colossale trono dove il Diavolo si reca ad attendere il momento propizio per svegliarsi e tornare a colpire. Non ritrova per caso tutti gli elementi, di cui lei mi ha parlato, che cambiano la valenza dell’energia di un luogo fino a stravolgerla completamente, al punto che una persona, come lei la definisce “sitosensibile”, non ne abbia un’immagine completamente alterata rispetto a quelle che erano le sue condizioni originarie ? -
- In effetti ... ! - Esclamai : non avevo nulla da poter contrapporre a delle tesi tanto esaurienti che poi trovavano riscontro in massima parte nelle mie convinzioni.
- Sono state necessarie un’urbanizzazione forzata che ne riducesse la maestosità ed una rivolta di piazza che ne richiamasse alla memoria le vere origini per far dimenticare che in tutti questi secoli gli era stato assegnato il ruolo di luogo “consacrato al Diavolo”, e oggi non molte persone si ricordano che quella in realtà è la Sedia del Diavolo. -
- Lei crede che il Diavolo potrebbe reclamare dei diritti per usucapione ? - Chiesi io per fare un po’ di ironia.
- Oh no ! - Mi rispose sorridendo - Non si preoccupi, il Diavolo non ha di questi problemi. Quel monumento esiste da diciotto secoli, e dall’Ottocento dopo Cristo è stato considerato la Sedia del Diavolo. Solo che nell’arco di una generazione tutti lo hanno dimenticato. La gente ha la memoria corta ! Ma non bastano certo otto lustri per cancellare una traccia mnemonica che ha avuto più di mille anni di tempo per radicarsi nell’inconscio collettivo.
Beh, ora si è fatto tardi ! Credo proprio che dovrò andare. Sa, ho lasciato molti lavori in sospeso e sarebbe un peccato non portarli a termine. E’ stato un vero piacere fare la sua conoscenza. Chissà che non ci incontreremo di nuovo “nel tempo e nello spazio” ! -
Si alzò in piedi e mentre si stava incamminando accennò un saluto con la mano sinistra e sorridendo disse - Arrivederci ! -
Colpito da quell’improvvisa presa di congedo, tentai di rispondere - Arrivederci Dottor ... -
Non mi lasciò neanche terminare la frase, si voltò improvvisamente mostrandomi i suoi occhi dalle orbite vuote che emanavano una rossa luce infernale e sorridendomi con un ghigno decisamente demoniaco rispose - Lucifero ! ... Mio giovane amico ! ... Lucifero ! -
Il biglietto da visita che mi aveva dato prese fuoco improvvisamente tra le mie mani, istintivamente lo gettai via per non ustionarmi.
Il Diavolo che dormiva ormai da tempo nell’inconscio della collettività era tornato, lo avevo risvegliato io dalla sua “sedia”.
Guardai di nuovo verso di lui : era scomparso, si era dileguato !
Rimaneva solo la sua risata beffarda che si estingueva nell’aria.

© Francesco Paoletti





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