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di Giacomo Costa
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Non aveva combinato nulla al lavoro, aveva solamente ciondolato pigramente tra la scrivania e la macchina del caffè e navigato tra un social network e l’altro. Non se ne perdeva uno. Aveva bisogno di sentirsi socialmente incluso, era da un po’ di tempo che si sentiva vivo solamente davanti ad uno schermo, con le dita saltellanti freneticamente da un tasto all’altro. Quella era la realtà, provava un piacere a sapere quello che facevano le persone, si sentiva immerso in quella realtà virtuale che staccarsene richiedeva un grosso sforzo. Quando stava in casa, la sera, quasi la notte perché tornava sempre più tardi, fingeva di dover lavorare e si andava a mettere davanti al computer, nel suo studio. Si sedeva, accendeva computer e modem, allungava le gambe, stirava le braccia, ed entrava in uno stato fantastico, usciva dalle pareti della sua casa per volare fuori a vedere cosa succedeva in quel quartiere, in quella casa, in quella città. Sua moglie praticamente non la vedeva nemmeno e lei non opponeva alcuna resistenza; ogni tanto prendeva l’iniziativa di lavare i piatti, la moglie lo guardava un po’ interdetta e usciva dalla cucina. Avevano due figlie; la più piccola era allegra e sembrava felice, l’altra era sempre cupa, leggeva e studiava tutto il giorno. Alcune mattine quando s’incrociavano, nemmeno si salutavano, certe sere non si vedevano proprio, lei voleva mangiare prima che lui arrivasse, per andare a chiudersi in camera a studiare. Si lasciava andare a più di qualche scappatella; ormai erano quasi un’abitudine. Non pensava che la moglie lo sapesse, ma non era certo. Contattava donne al computer, le incontrava negli autogrill, nei parchi e se le portava in qualche alberghetto. Le prime scappatelle gli procuravano qualche rimorso, dopo non potette più farne a meno; era energia quella che assumeva in quegli incontri, l’energia che gli serviva per fare carriera ma anche per poter rientrare a casa tutte le sere e reggere quella desolazione.

Spense il computer, tirò indietro la sedia, allungò le gambe sotto la scrivania e con le mani intrecciate dietro la nuca, appoggiando la testa sullo schienale della poltrona cominciò a perdersi nei suoi pensieri. Non pensava a una delle sue tante storie, ma alla figlia del vicino; aveva cercato di reprimere quei pensieri, di proibirsi di fantasticare…, ma non ci riusciva.
La mattina l’aveva incontrata nel garage immerso in un’oscurità quasi assoluta. Non si era quasi accorto di averla alle spalle, a pochi metri. Era stato investito dal suo profumo, dal rumore dei suoi passi. Il garage era deserto. Lei lo aveva affiancato sfiorandolo e mentre armeggiava con il tasto di accensione del motorino, gli aveva sorriso, quasi ammiccato, in parte nascosta dai suoi ricci biondi affusolati sugli occhi. Era una ragazza alta, snella e formosa. Emanava una sensualità potente, l’aveva notata da qualche tempo e vi aveva anche fantasticato sopra, non sapeva nemmeno quanti anni avesse. Guidando continuò a pensare a lei; il messaggio di quel sorriso era chiaro, lei lo aveva provocato, ed era sicura che quel sorriso lo aveva toccato. Arrivò a casa senza nemmeno ricordarsi della strada che aveva fatto, i suoi pensieri avevano vagato senza alcuna possibilità di essere controllati.
Aprì la porta e fu assalito dal buio; in fondo al corridoio, dai vetri smerigliati della porta della cucina intravedeva la sagoma della moglie che armeggiava. Lui la vedeva sempre lavorare, in cucina, ricoperta dai panni quando faceva il bucato, piegata per lavare i pavimenti. Insieme non uscivano mai, facevano l’amore quasi per caso, quella sera non si ricordava neanche più quando fosse stata l’ultima volta. Andava bene così a entrambi? Forse, certamente a lui che così poteva assolversi per le sue storielle.
Percorse il corridoio senza accendere la luce e aprì la porta della cucina. La moglie lo guardò e si rimise a lavorare sul piano, aspettando che fosse lui a parlarle. Le disse ciao e dopo aver richiuso la porta, le ricordò che sarebbe dovuto uscire quella sera, era in programma l’addio al celibato di un suo amico, e che avrebbe fatto molto tardi, aggiunse per lasciarsi qualche margine qualora fosse successo qualcosa di speciale. La moglie, impastando per una torta, emise un suono impercettibile che lui, d’altro canto non provò nemmeno ad ascoltare.
Sua moglie gli sembrava ripiegata totalmente su se stessa, pensava che non avrebbe reagito nemmeno se le avesse confessano i tradimenti. Sotto l’acqua e poi fuori mentre si asciugava, si sentì attraversare da una corrente d’elettricità di cui non capiva la causa. La serata, per quanto preferibile alla visione di qualche programma televisivo sul divano vicino alla moglie che aveva cominciato a darsi al cucito, non lo entusiasmava. C’era stato per tanto tempo il desiderio di uscire con gli amici, di giocare a calcetto, qualche partita a poker. Adesso preferiva la sua seconda vita alla compagnia degli amici. Appena uscito dalla porta del bagno, profumato, fu sopraffatto dall’abbraccio della figlia più piccola che gli voleva montare sulla schiena.
" Papà… ti fai bello? Per la mamma?" disse lei.
La domanda lo fece trasalire, il fiato rimase intrappolato qualche piccolo istante in gola, ma da mentitore professionista rispose.
" No per la mia principessa, che scommetto, deve ancora fare i compiti".
" Se mi aiuti tu… faccio prima" sorrise.
" No… il papà stasera esce… devi fare da sola carina… guarda che poi controllo… mi faccio dire tutto dalla mamma".
" Meglio… cosi vi scambiate quattro parole"
Sorridendo, andò in camera sua. Si era accorta di come andavano le cose, ma era sempre allegra. Si chiedeva come era possibile che una figlia gli volesse così bene e l’altra lo detestasse? Adesso la più grande era in gita con la scuola, ma anche se ci fosse stata l’avrebbe trovata chiusa in camera sua, e lì sarebbe rimasta fino a sera tardi.

Le posate tintinnavano sui piatti nel silenzio, le portate si susseguirono senza che venisse fatto un solo discorso completo; la figlia faceva domande ora all’uno, ora all’altro dei genitori, ma otteneva solamente mezze risposte, suoni appena pronunciati. Anche la figlia sarebbe uscita, la veniva a prendere il padre di un’amica per portarla a dormire a casa loro, cosi che potessero preparare meglio all’interrogazione di chimica del giorno dopo.
" Mamma… starai sola stasera, non ti dispiace vero, io posso rimanere, basta che chiamo la mia amica e stiamo insieme, mi ascolti mentre ripeto. Che ne dici?"
" No... vai pure, non ti preoccupare, ho da fare con il cucito sai, voglio diventare bravissima per farti tanti golf". La madre, per dire quelle quattro parole aveva dovuto fingere, e reprimere un moto di disgusto e di senso di colpa, non poteva credere che la figlia fosse sempre così allegra pur vivendo in quel gelo.
Lui si alzò dal tavolo senza preoccuparsi di posare nel lavandino i suoi piatti. Si lavò i denti, si spruzzò un altro po’ di profumo e ritornò in cucina. La figlia era seduta sulla sedia tendendosi le gambe con le braccia, mentre la madre stava lavando i piatti con la testa leggermente reclinata. Salutò con un ciao e uno sguardo rivolto alla figlia e si avvicinò alla porta di casa.
Si stava chiedendo dove avesse infilato le chiave di casa, era sicuro di averle messe in tasca, stava rimescolando gli oggetti che aveva nella giacca quando fu investito dai discorsi che avvenivano fuori dalla porta sul ballatoio. Era la voce della ragazza bionda, acuta e squillante. Diceva ai genitori di non preoccuparsi… per ogni problema avrebbe chiamato… non era la prima notte che rimaneva da sola… che aveva da studiare per l’esame… La madre tentennava, ma fu trascinata in ascensore dal padre e la figlia richiuse la porta. Il suo cuore cominciò a pompare sangue selvaggiamente, senti le guance avvampare. Le braccia furono percorse da un tremore ingovernabile; dovette ricorrere a tutta la sua concentrazione per chiudere la porta un po’ difettosa di casa. Rimase a fissare la porta dell’appartamento di fronte per qualche secondo, avvicinò il braccio al campanello per suonare. Le dita vibravano vicino al campanello come corde di chitarra, e alla fine gli mancò il coraggio. Avrebbe preso l’ascensore e sarebbe andato all’addio al celibato del suo amico. Di fronte alla prospettiva di andare a letto con quella ragazza, quella di andare a quella serata lo disgustava al punto che forse avrebbe preferito assistere alle prove di cucito della moglie sul divano e addormentarsi con il sottofondo delle parole di qualche talk-show.
Aveva aperto la porta dell’ascensore, ma non si decideva a entrare, quasi stava pensando di tornare dentro casa e passare una serata con la moglie, quando sentì di nuovo quel profumo, e dei passi felpati avvicinarsi. Si girò, sapendo benissimo chi era. Era lei, gli si avvicinò, in pantaloni della tuta e maglietta, era lei che di fronte a lui senza dire una sola parola, si alzò sulle punte dei piedi e gli appoggiò impercettibilmente le labbra alle sue. Scendendo gli prese la mano e dicendo un “vieni dentro" lo portò dentro casa. Si lasciò prendere la mano e portare dentro casa, quei passi durarono un’eternità, anche se non pensò neanche per un momento di bloccarsi e rinunciare.
Lei lo tirò dentro questa volta bruscamente e sbatté la porta con violenza. Gli prese la testa, gli morse il collo e poi ficcò la lingua nella sua bocca. Non comprendeva più nulla, mise in folle il cervello e fece fare tutto all’istinto.

Quel bacio durò decine di secondi. Finito, mentre lui stava pensando a cosa dire, a quello che doveva fare, lei si cominciò a levare la maglietta e a dirigersi in stanza da letto; dandogli le spalle e con quella massa di capelli ricci e biondi scompaginata dalla passione, gli disse di non fare l’imbecille e di seguirla.
Fecero l’amore selvaggiamente, appena lui cercava di intenerire quel rapporto lei lo riportava alla sua brutale natura. Voleva essere posseduta carnalmente, per due ore furono due animali.

" Possibile che non ti sei accorto che ti guardavo e ti sorridevo, sono due mesi che mi piaci. Quando ti vedo, sento dolore per quanto mi attrai".
Lui non sapeva cosa dire, era rimasto senza parole.
" Come ti è venuto in mente di farmi entrare, ci potevano vedere".
" Mi è venuto in mente nello stesso modo in cui è venuto in mente a te, non ho pensato, non ho pensato al rischio, anzi… più c’è rischio, più mi piace"
Le voleva chiedere quanti anni avesse, ma non voleva diventare più patetico di quanto già non si sentisse. Erano già le undici. Non aveva alcuna intenzione di raggiungere i suoi amici alla birreria, stava quasi pensando di tornare a casa, avrebbe trovato la moglie che faceva le sue prove di cucito sul divano. Non ci sarebbe stato bisogno di trovare alcuna scusa. Avrebbe fatto un solo cenno della testa.
" Sei pentito eh? Magari sono minorenne? Magari ti posso ricattare per farlo altre volte?".
La ragazza si trovava perfettamente a suo agio, non tradiva alcuna difficoltà.
" Io non sono pentita, ti volevo e ti ho preso… magari lo rifacciamo? Pensa a tua moglie e ai miei che ci credono impegnati in tutt’altro…". Lo irrideva, si sentì travolgere dal disgusto.
" Meglio di no!" disse seccamente e uscì dalla stanza in mutande per andare in bagno.
Non sopportava la vista di quella ragazza, era nauseato ma di se stesso.
Ed era vero. Stava quasi pensando di porre fine alle sue avventure, di cominciare a praticare la fedeltà, quando per la seconda volta nella serata fu risvegliato dai suoi pensieri da rumori del tutto inaspettati. Una donna godeva, nell’appartamento di fronte e un uomo sospirava in maniera trattenuta. Si capiva che era la donna a condurre il gioco.
Era sua moglie che conduceva il gioco, era sua moglie che stava travolgendo il suo amante con il torrente della sua passione. Il buio del corridoio lo avvolse, si senti risucchiare in gorghi e vortici. Sua moglie…, fu percorso da una rabbia cieca, che svanì appena si ricordò di trovarsi in mutande in casa della figlia dei vicini. Allora tutto lo squallore della sua vita lo colpì.
Era frastornato quando vide arrivare trafelata la ragazza con i suoi vestiti in mano.
" Sbrigati, il mio ragazzo sta arrivando… sarebbe meglio non ti trovasse qui".
" Il tuo ragazzo…"
" Perché tu non hai una moglie? Ed io ho un ragazzo; volevo essergli fedele, ma volevo anche te, e non mi pento, però adesso te ne devi andare; magari appena possibile ripetiamo eh?"
Non ebbe la forza di risponderle, indossò lentamente i suoi abiti e uscì, facendosi baciare da lei anche senza mettere nessuna pressione sulle labbra.
Uscito, si fermò davanti alla porta della sua casa; era fuori dalla casa della ragazza, ma era fuori anche da casa sua. Non si fece nemmeno sfiorare dall’idea di entrare. Capì che stava cominciando a pagare. Scese in strada per andare nella prima birreria a stordirsi.


© Giacomo Costa





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