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Di luce e d'ombra
di Agnese Moretti
Pubblicato su PBSA2021


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Di luce e d'ombra

Ciao Penelope. Sono io.

So di non essere nella posizione di poter fare richieste, dopo tutti questi anni, e dopo tutto il male che ti ho fatto. Però ho davvero bisogno di dirti alcune cose. Concedimi cinque minuti del tuo tempo, ti scongiuro.

L'altro giorno ero in aeroporto, diretto a Londra per una riunione. Ho fatto carriera; la mia società sta aprendo una filiale lì e vogliono mandarmi a dirigerla. Ero seduto in attesa dell’imbarco, innervosito perché il mio volo aveva un po’ di ritardo. Ero intento nella lettura e la mia attenzione è stata catturata da una risata. La conoscevo, mi era stranamente familiare: era la tua. Ho alzato gli occhi e tu eri dall’ altra parte del corridoio, nel gate di fronte al mio.

È stato un tuffo al cuore. Dio, non ti vedevo da anni! Non sei più bionda, sei tornata al tuo colore naturale, ma ti ho riconosciuto in un lampo. Eri con un gruppo di persone, parlavate e qualcuno deve aver detto qualcosa che ha scatenato la tua ilarità, perché la tua splendida risata è esplosa, cristallina, argentea, proprio come la ricordavo. Ti avrei riconosciuta tra mille.

 Mi sono alzato e ho cambiato posto. Non volevo che mi vedessi, consapevole del fatto che ti saresti incupita di colpo. Mi sono seduto dietro ad una coppia di giapponesi; da quella posizione non saresti riuscita a vedermi mentre io avrei avuto una visuale di te perfetta.

Jeans, scarpe da ginnastica e una semplice maglietta bianca, un filo di rimmel, lucidalabbra e lunghi capelli sciolti sulle spalle. Continui ad essere bellissima con addosso il minimo indispensabile. Quando stavamo insieme non te lo dicevo perché mi inorgogliva che ti vestissi e truccassi per me: eri il mio trofeo. Potevo sfoggiarti in giro e tutti si complimentavano sempre con me per “la mia bella fidanzata”, facendo mio il merito di tanta grazia.

Ero curioso di vedere quale fosse la tua destinazione. Allora ho guardato nel monitor generale che era proprio accanto a me e ho letto GATE 24: Rodi. Partivi per le vacanze.

Ho cominciato a osservare le persone che erano con te e ho riconosciuto la metà di loro. C’era quel tuo amico di Firenze, di cui non ricordo il nome (era inglese se non sbaglio), poi ho visto Claudio, Martina, Damiano e quando ho posato lo sguardo su Carlotta mi sono accorto che mi stava fissando. Per quanto ne sappia potrebbe aver notato me prima che io notassi voi. Il suo sguardo era gelido, un misto di stupore e rancore. Mi ha provocato una sensazione di vergogna. Ti ha subito cercato con lo sguardo sperando che non ti fossi accorta di me, ma tu chiacchieravi serena e cercavi qualcosa in borsa. So di non esserle mai stato simpatico, né a lei né a tutti gli altri. Mi considerava uno stronzo e mi tollerava solo perché eri la sua migliore amica. In fondo anche io sapevo di essere feccia, ma a quel tempo non mi importava anzi, ne andavo quasi fiero. Sarà toccato sicuramente a lei rimettere insieme i frammenti della tua personalità che, con crudeltà e menefreghismo, avevo distrutto. Me lo sono meritato quello sguardo d’odio. Se avessi un migliore amico vorrei che guardasse chi mi ha fatto soffrire esattamente come Carlotta ha guardato me.

Sei sempre stata capace di tenerti stretta gli amici e di farti letteralmente adorare. Me lo dicevi sempre “Non ci si sveglia un giorno e ci si ritrova amici da 30 anni. Bisogna impegnarsi, più che in una relazione”. Io, che non mi sono mai impegnato in qualcosa che non fosse la carriera, non potevo certo capire le tue parole. Le capisco ora però, che a 40 anni ho solo amici di circostanza. Non sono riuscito a tenermi nessuno accanto, neanche mio fratello. Ci vediamo solo a Natale. Sua moglie mi tollera a malapena. Chi può biasimarla, tutto quello che tocco diventa cenere.

Voi invece siete ancora insieme, tutti quanti, dopo tutti questi anni, nonostante la vita, gli impegni, le diverse città di residenza. Qual è il vostro segreto Penny?. Ho immaginato che le persone del vostro gruppo che non conoscevo potessero essere i rispettivi fidanzati e compagne. Mi sono fermato a guardare bene e ho cercato di immaginare quale potesse essere il tuo. Magari lo conoscevi da poco e questa era la prima vacanza in gruppo, il primo grande test.

Ad un tratto cinque bambini sono arrivati correndo in mezzo a voi, due femmine e tre maschi, seguiti da un uomo con gli occhiali da sole. La più piccola - avrà avuto due anni al massimo - ti è corsa incontro. Tu le hai sorriso, ti sei chinata e hai spalancato le braccia. Mi si è gelato il sangue quando ho capito che quella era la tua bambina! Il pensiero che fossi diventata mamma non mi aveva mai sfiorato la mente. Eppure, eccoti lì, a pochi passi di distanza, che prendevi in braccio tua figlia. Poco dopo ho capito che l’uomo con gli occhiali da sole era suo padre; si è levato i Ray-Ban e la somiglianza tra i due è stata inequivocabile. Si è avvicinato e ti ha baciato, tu gli hai sorriso e vi siete messi in posa al grido di “foto ricordo”. Quando la tua mano ha cinto la sua vita ho notato la fede al dito.

Era fatta. Avevi una famiglia. Sono diventato un pezzo di ghiaccio, folle di gelosia.

Hanno chiamato il vostro volo e l’hostess di terra ha fatto passare il vostro gruppo per primo per via dei bambini. Ti ho vista scomparire nel tunnel che porta all’aereo, vestita della tua bellezza acqua e sapone e del tuo sorriso, seguita da tuo marito con la piccola in braccio.

L’ultima ad entrare è stata Carlotta, che prima di imbarcarsi mi ha rivolto un ultimo sguardo, ancora più tagliente, quasi per dirmi “ringrazia che non ti abbia visto! E ora sparisci!”. Dopo qualche minuto, anche l’ultimo passeggero è stato imbarcato e il gate è stato chiuso. Mi sono ritrovato di nuovo da solo. Come sempre.

Il mio volo era ancora in ritardo e ho cominciato a pensare a noi, a quando eravamo una coppia, a quando eravamo felici e a come abbia sputtanato tutto. Sono uno stronzo Penny. Lo sanno tutti. Quando ci siamo incontrati ero convinto di essere un dio. La mia carriera era in rapida ascesa, i soldi non mi mancavano, e le donne mi cadevano ai piedi per il motivo più vecchio del mondo: perché non potevano avermi.

Tutto ciò che desideravo diventava mio. Non era previsto che arrivasse qualcosa a inceppare questo meccanismo perfetto.

Poi, una sera, ti conobbi. Eri bellissima, solare, divertente. Ho cominciato a corteggiarti come un forsennato. Non capivo per quale motivo, ma non potevo non cercarti, non sentirti, non vederti. Appartenevamo a due mondi opposti: la brava ragazza di buona famiglia e il carrierista strafottente; non poteva funzionare. Invece a discapito di tutto e tutti ci perdemmo follemente, l’uno nell’altra. So che non mi credi, ma la nostra è stata la storia più importante della mia vita. Con te pensavo di aver scacciato i miei demoni. Il mio atteggiamento nei confronti del mondo non era cambiato, ero sempre il solito squalo che tutti conoscevano, ma con te ero diverso. Sapevi di che pasta fossi fatto, e nonostante tutto, mi amavi. Perché Penny, lo so che mi hai amato in maniera incondizionata. So che hai difeso il nostro amore da tutti quelli che ti dicevano “Chi nasce tondo non può morire quadrato, stai attenta”, e la tua risposta era sempre la stessa: “Voi non lo conoscete”.

Per un periodo ho sentito di aver trovato la donna della mia vita. Tutto ciò che credevo impossibile per uno come me stava inaspettatamente diventando realtà. Pensare di poter avere un futuro in coppia non mi spaventava più. Ho creduto di essere cambiato, ma la verità è che avevano ragione i tuoi amici. Non ero l’uomo per te, e i fatti te lo ha dimostrato. Io non sono l’uomo per nessuno, né per un amico, né per una donna. Ti amavo, ma non riuscivo ad andare contro me stesso: l’idillio era finito dopo appena due anni. Sono un uomo fatto di niente Penny, e le mie ombre avevano ripreso a inghiottirmi. Ti ho trascinato dentro al mio nulla. Ti ho fatto violenza psicologica scientemente. Ho pian piano minato la solarità del tuo carattere, le tue certezze, la tua felicità; ti ho iniettato sottopelle il mio demone più segreto e temuto: l’insicurezza. Ti ho trasformata in un mio replicante: piena di rabbia, di rancore, incapace di stare in mezzo alla gente. Nonostante tutto però non riuscivamo a lasciarci; io per vigliaccheria, tu perché continuavi a vedere la luce in fondo al tunnel, pensando che ce l’avresti fatta a risalire la china e a salvarci da me stesso. Avevi smesso di ridere. Non eri più tu, e io mi compiacevo con me stesso per essere riuscito a “plasmarti” a mia immagine e somiglianza. Ero un mostro.

La sera in cui mi hai lasciato sono tornato a casa e mi sono ubriacato. Per la felicità di essere di nuovo solo. Per la disperazione di esserlo di nuovo. “Un giorno smetterò di amarti, spero” sono state le tue ultime parole. Mi hai messo una mano sul petto, mi hai delicatamente spinto indietro e guardandomi negli occhi hai chiuso silenziosamente il portone di casa tua. E di colpo, in punta di piedi sei sparita dalla mia vita, così come ci eri entrata. Credevo saresti tornata da me strisciando di lì a poco; non l’hai fatto.

Mi sono spesso chiesto come sarebbero andate le cose non fossi stato l’uomo vuoto che ero e che sono destinato a rimanere. Magari ci sarei io ora con te, a far star buona nostra figlia su quell’aereo. Avrei potuto permetterti di rendermi un uomo migliore. Avrei potuto lasciare che la luce di cui sei fatta distruggesse una volta per tutte il buio della mia anima nera. Sono solo e senza significato Penny. Insieme a quel portone quella notte hai sbarrato anche la mia unica possibilità di avere una vita a colori.

Potrei avere degli amici di vecchia data ora, perché tu mi avresti insegnato il rispetto per gli altri. Potrei sapere cosa si prova quando uno di loro ti citofona e ti fa una sorpresa, così, solo perché passava di lì e aveva voglia di vederti. Potrei aver sentito il cuore esplodermi in petto nell’attesa di vederti arrivare in chiesa, per giurarti amore e devozione eterna di fronte a tutti. Potrei aver conosciuto la gioia di veder nascere nostra figlia. Invece sono qui, a distanza di anni, a fare ammenda per tutto il male che ti ho fatto.

Questo incontro è stata la mia punizione. Potevo salvarmi da questa vita in bianco e nero. Sarebbe bastato credere in te la metà di quanto tu credevi in me, e la vita oggi sarebbe un arcobaleno di emozioni, di amici sinceri e di noi. Merito di essere da solo. Merito la mestizia di questa vita che mi sono cercato.

Hai fatto la scelta giusta quella notte, mentre io commettevo il più grande errore della mia vita. Dovevo buttare giù il portone a calci e prometterti che sarei cambiato, per poi riuscirci.

Ma non l’ho fatto. Ti sei salvata. Hai scelto te stessa, hai scelto la luce.

Tutto questo per dirti “Grazie Penny” per avermi fatto assaporare per un minuto, senza saperlo, la meravigliosa semplicità della vita che avrei potuto avere, ma che scomparve quella notte insieme a te dietro al tuo portone.

Perdonami se puoi. Per tutto.

Ti rimpiango. Ti amo.

Sempre.
Leonardo

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