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Growl
di Paola Emma Labate (diana Jett)
Pubblicato su SITO


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Colonia numero: 1X589236
(ex pianeta Terra)

Bella Slade fissava il sole con astio e terrore: da circa dieci mesi sulla Terra non esistevano più le tenebre, ma solo la luce accecante del giorno. Le piante si erano trasformate per adattarsi a quelle temperature estreme ed erano diventate enormi grovigli spinosi, grandi quanto una montagna. I mari, i laghi e i fiumi erano stati prosciugati per permettere ai nuovi colonizzatori del pianeta di far sorgere i loro mastodontici palazzi che dovevano fungere anche da parcheggi per i loro mezzi di trasporto. Anche i pochi sopravvissuti fra gli umani, come gli animali, avevano subìto un sostanziale cambiamento del metabolismo, dovuto all’assenza di acqua allo stato liquido. I reni si erano tramutati in due grosse appendici che pendevano dai fianchi come delle sacche flaccide quando erano vuote, per poi diventare grosse come palloni, una volta assorbita l’umidità atmosferica che veniva immessa da una grossa cisterna di proprietà di uno dei principi giunti da Zeta Reticuli per soggiogare la popolazione terrestre. E ci erano riusciti benissimo. La maggior parte degli umani era deceduta a causa della mancanza di liquidi: gli anziani e i bambini, così come i malati, erano stati decimati e, adesso, le uniche forme di vita umana non erano che poche unità dislocate nei cinque continenti. E presto sarebbero diminuite ancora. Bella si schermò gli occhi con una mano giacché l’intensità del sole stava divenendo insopportabile e un sospiro disperato proruppe dalle sue labbra: i contorni dell’astro stavano assumendo una colorazione rossastra che presto si sarebbe estesa lungo tutto il suo perimetro fino a farlo diventare un enorme disco color rosso sangue. Quando ciò sarebbe avvenuto, il capo dei colonizzatori, un umanoide asessuato dalle fattezze volpine e con due occhi grigi e liquidi, simili a piombo fuso, avrebbe scelto una donna e un bambino per trasportarli in una delle sue dimore dalla quale non avrebbero più fatto ritorno. Nessuno sapeva cosa succedeva ai prescelti, ma era palese che non veniva offerto loro il giro turistico degli edifici abitati dai sovrani! Nathan, il figlio undicenne di Bella, li aveva soprannominati I Castellani e dal momento in cui erano sbarcati sulla terra, si era creato un universo parallelo abitato dai suoi super eroi preferiti. Bella sapeva che la fantasia era l’unica arma a disposizione del bambino per non soggiacere al terrore, eppure non poteva fare a meno di avvertire un groppo allo stomaco quando il figlio iniziava a cianciare di un certo Cavaliere Senza Nome il quale, a suo dire, sarebbe giunto presto per liberarli dagli invasori alieni. Il bimbo trascorreva la sue giornate disegnando forme mostruose sui suoi album da colorare e parlando fra sé. Ovviamente, sentiva la mancanza dei suoi compagni di giochi e a questo, Bella non sapeva come porvi rimedio. Sebbene trascorresse con lui ogni momento libero, era consapevole che Nathan aveva bisogno di essere circondato da persone della sua stessa età e non da una donna che scoppiava facilmente in pianto e non capiva un accidente delle storie fantasiose che lui le confidava. Ultimamente, le era parso che si fosse chiuso nel suo universo e ciò la sgomentava più di quanto volesse ammettere; non erano rare le volte in cui lo sorprendeva con lo sguardo perso nel vuoto a contemplare un punto fisso e bisbigliare parole incomprensibili. Quando lo chiamava, scrollandogli delicatamente le spalle, egli si ritraeva e a la fissava diritta negli occhi e il suo sguardo era duro e freddo come lo zaffiro che portava al collo, appeso ad una catenina d’oro. Ultimo regalo del marito, prima della sua morte.

L’urlo di una sirena lacerò l’aria e le penetrò nel cervello come la punta di un trapano: era l’ora dell’immissione di umidità che dovevano assorbire per non morire soffocati. Nathan le posò una mano sulla schiena e, quando la donna si girò, le sorrise. E il suo era una sorriso così bello e così sincero, che le fece dimenticare ogni cosa. Andrà tutto bene, pensò lei, l’importante è rimanere uniti. Bella e Nathan si avviarono presso il luogo di raccolta scelto da quei mostruosi esseri quale punto per immettere acqua allo stato gassoso nell’aria. Tanto tempo prima, esso era la piazza antistante il municipio di Corintho, antica cittadina del Wyoming, adesso ridotta a lingua di terra brulla e bruciata dal caldo costante e asfissiante che soffocava il pianeta; per uscire, gli sparuti abitanti, dovevano bardarsi di tutto punto con speciali tute realizzate da sottili strati di una stoffa simile alla seta, ma ruvida al tatto e resistente alla trazione. Erano stati I Castellani a fornirla e Bella dubitava che questo gesto fosse dettato dalla compassione. Quasi certamente, essi erano oggetto di studio e, una volta terminati tutti gli esami sul corpo umano sottoposto a condizioni estreme, sarebbero stati eliminati come delle cavie da laboratorio. La grossa cisterna era enorme e nera e sui stagliava contro il cielo azzurro, come un gigantesco e malevolo Golem. Gli addetti all’ossigenazione erano due e guardavano verso la piccola folla con un’espressione di cupidigia dipinta sui loro volti giallastri in cui stazionavano due piccoli occhietti neri e luminosi, simili a quelli dei ratti, e una apertura al centro del viso, rossa e umida dalla quale spuntavano piccoli e numerosi tentacoli che frustavano l’aria al pari delle antenne degli scarafaggi. Non possedevano narici o qualcosa di simile, quindi era chiaro che non avevano bisogno di aria per sopravvivere. Comunicavano fra loro per mezzo di gesti e, saltuariamente, adoperavano un linguaggio arcaico e primitivo che a Bella, ormai ex logopedista, ricordava un penoso tentativo di lallazione. L’immissione dell’umidità interruppe il flusso dei suoi pensieri e dopo aver aiutato Nathan a riempire le sacche, anche lei fece altrettanto. Il tempo in cui si udivano le risate dei bambini che giocavano nel parco poco lontano dal Municipio, sembravano lontani anni luce, anche se erano trascorsi solo pochi mesi dall’atterraggio di quelle creature ripugnanti. Era incredibile il lavoro di pulizia etnica (si, bisognava chiamarlo con il suo nome. Quella perpetrata dagli alieni era stata una vera e propria pulizia etnica, volta a sterminare i terrestri.) svolto in così poco tempo. Dopo averci riflettuto un po’, Bella alzò le spalle e concluse che non doveva meravigliarsi più di tanto dato che gli invasori non ragionavano egoisticamente come gli umani, non cercavano di usurpare denaro e beni ai fratelli o agli amici. Essi erano compatti, come api in un alveare, dove si lavora per il bene comune e non per il mero ed egoistico accrescimento personale. Riguardo a questo, I Castellani erano molto più evoluti di noi, capaci solamente di distruggere e riempirci le tasche. Quando tutti si furono riforniti, uno degli addetti, soprannominato da Nathan Mr. Bronto per via della sua abitudine di produrre suoni con la lingua simili ad un sommesso brontolio, allargò le braccia e indicò il sole ormai quasi simile ad un grosso disco insanguinato: il momento del tributo stava per giungere. Gli astanti chinarono il capo e si diressero verso i propri bungalow. Nella mente di ognuno si affollavano i più disparati pensieri che avevano un comune denominatore: la paura più nera. Bella e Nathan consumarono la loro cena che consisteva in tavolette di verdure e riso pressate, simili a figurine di plastilina, nel più assoluto silenzio: entrambi avevano la mente occupata da assillanti pensieri che non permettevano loro la benché minima distrazione. Bella stava pensando a quale strategia adottare nel caso in cui Nathan fosse stato il nuovo prescelto, mentre il ragazzino si chiedeva perché i suoi amici dai super poteri non fossero ancora intervenuti per mettere fine quella dittatura aliena. Doveva fare qualcosa, ma cosa? Ah, se solo suo padre fosse lì! Lui avrebbe sicuramente trovato il punto debole di quei mostri e li avrebbe rispediti nel loro mondo a calci in culo.

“A calci in culo!” ripeté ad alta voce.

“Nathan! Non ti permetto di usare queste parole in mia presenza.” Lo rimproverò Bella, sottolineando il suo disappunto con un sonoro ceffone che fece più male a lei che al figlio.

“E chi ci sente? Gli alieni, forse? Ma non lo hai ancora capito che ci uccideranno tutti?” Nathan le scoccò uno sguardo carico di odio e se ne andò nella minuscola camera da letto, chiudendo la porta dietro di sé e lasciando la madre in preda allo sconforto. Ma cosa le era saltato in testa di picchiarlo in quel modo? E per cosa, poi? Solo per aver pronunciato la parola culo? E da quando si scandalizzava per una parolaccia? Lei che sciorinava bestemmie dall’alba al tramonto? Nathan aveva ragione: presto o tardi sarebbero stati sterminati, quindi a chi cazzo poteva importare se lui usava un linguaggio colorito? Bella si passò una mano fra i lunghi e lisci capelli neri e si lasciò sfuggire un gemito disperato. Andy, suo marito e padre di Nathan, le mancava terribilmente. Il suo compito di proteggere e educare il figlio sarebbe stato meno gravoso con lui al suo fianco. Si abbandonò sulla piccola sedia e lasciò che ip ricordi della sua vita precedente avessero la meglio sulla realtà .
Ricordò i baci infuocati e le sensuali carezze che costituivano il piatto forte della loro vita sessuale, immancabilmente seguite dalle parole dolci che si sussurravano dopo le ore dell’amore. Un turbine di sensazioni sembrò avvolgere il suo corpo, simile ad una tempesta di fuoco. Qualcosa iniziò a sciogliersi nel suo corpo, qualcosa che le provocò una corrente estatica che la portò a gemere e a dimenarsi, mentre la sua mano esplorava quel mondo onirico che aveva quasi dimenticato.

Chiuso nella stanzetta, Nathan, aveva recuperato uno dei vecchi racconti scritti dal genitore quando ancora le cose andavano bene e quasi cadde dal letto: per quanto incredibile potesse sembrare, egli aveva previsto ogni cosa in un romanzo breve intitolato Growl e scritto circa venti anni prima, epoca in cui le colonizzazioni aliene erano roba creata da “scribacchini di poco valore”, secondo la definizione ben poco lusinghiera contenuta nella lettera di rifiuto standard degli editori. Suo padre ne riceveva parecchie, tante quante i romanzi che inviava per l’agognata pubblicazione. Ne aveva circa cinquanta e tutte facevano bella ( o brutta, a seconda dei punti di vista) figura appese a un grosso chiodo nello studio del padre. Andy sfornava almeno tre romanzi di fantascienza all’anno e nessuno di essi aveva mai visto la luce. Solo un editore si era mostrato interessato, ma pretendeva che gli autori della sua scuderia si accollassero le spese di correzione bozze che ammontavano a centocinquanta dollari, ragion per cui Andy aveva rifiutato…non prima aver fatto sapere a quella persona che lo riteneva “Un editore del menga!” Nathan non sapeva come funzionava il lavoro di scrittore, capiva soltanto che era una professione fantastica e tanto gli bastava. Bella, invece, era convinta che il padre stesse solo perdendo tempo a scrivere tutte quelle bazzecole sugli alieni e le guerre galattiche doveva sfruttare il suo talento in un altro campo. Glielo aveva ripetuto anche la sera prima dell’incidente alla fabbrica, quando Andy era stato schiacciato dalla pressa. Quando ripensava alle parole della madre, dure e denigratorie nei confronti del lavoro del padre, veniva assalito dal rancore verso la donna, colpevole di averlo fatto sentire una nullità perfino la sera precedente la sua tragica morte. Voleva tanto bene a sua madre, ma non la sopportava quando dava ordini a tutti dall’alto della sua cattedra e pretendeva che ognuno esaudisse i suoi voleri. “Non erano cazzate, era tutto vero!” Urlò, pronunciando con enfasi la parola cazzate per essere sicuro che lei lo sentisse. Se fosse entrata nella stanza, le avrebbe gettato in faccia il manoscritto e gli appunti per Growl e poi sarebbe uscito, lasciandola sola a leggere il capolavoro di quell’uomo, suo padre, che lei trattava come un povero grullo illuso. Nathan scosse la testa dai folti riccioli castani e tese l’orecchio per udire il rumore dei passi di Bella. Appoggiò l’indice della mano sinistra sul mento, come faceva sempre quando era perplesso, e si avvicinò alla porta, socchiudendola leggermente. Possibile che non avesse sentito? Aveva urlato, altra abitudine riprovevole che Bella cercava di eradicare dal suo comportamento, e doveva averlo sentito. Abitavano in un minuscolo bungalow, mica nella reggia di Versailles! L’alloggio non aveva finestre per proteggere gli occupanti dalla luce di quel sole perenne, quindi intorno a lui vi erano solo fitte tenebre e silenzio assoluto. Si incamminò cautamente verso la cucina pur sapendo che non avrebbe trovato nessuno, lì. Era solo in casa, solo come non mai, e cominciò a piangere. Grosse lacrime gli scivolarono lungo le guance pallide, mentre sentiva affondare le viscere. Cosa era successo alla sua mamma? Lei non sarebbe mai uscita senza di lui. E se fosse stata rapita? No, impossibile. Avrebbero preso anche lui. Loro prelevavano adulti e bambini, preferibilmente legati da forte parentela. Si morse un labbro, costringendosi a pensare che Bella era lì in giro e presto sarebbe tornata. Purtroppo questa ipotesi si rivelò infondata allorquando scorse lo scafandro della madre appoggiato di traverso sul divano, come un cane girato a pancia in su. Senza quello, nessun essere umano poteva avventurarsi all’esterno se non voleva finire come un galletto amburghese, e lei non faceva di certo eccezione. Il cuore gli batteva all’impazzata e sembrava che gli occhi stessero per schizzargli fuori dalle orbite per l’angoscia e il terrore. Un rumore furtivo e un bagliore rossastro, simile ad un lampo, lo fecero girare di scatto verso la camera di Bella. Un gran sorriso gli illuminò il visetto, spianando le rughe di preoccupazione che gli increspavano la fronte. Di sicuro sua madre voleva riappacificarsi con lui e, per fargli capire che la bufera era roba passata, aveva tirato fuori la spada laser per giocare assieme a Guerre Stellari; quello era anche un modo per ricordare il padre che amava la saga creata da George Lucas. Nathan si asciugò le lacrime e si diresse verso la camera. Tuttavia, nonostante il sollievo che gli rinfrancava l’animo, un inspiegabile senso di coercizione gli impedì di proseguire. Perché era stato assalito da un terrore così repentino? Un attimo prima toccava il cielo con un dito, felice di sapere che sua madre era in casa e ora perché aveva paura di lei? Sia il bagliore che il suono non si ripeterono più e il ragazzino pensò che, dopotutto, a Bella doveva essere passata la voglia di giocare. Era ancora arrabbiata con lui per il tono arrogante con cui le aveva risposto e anche per quell’ occhiataccia carica di risentimento con cui l’aveva trafitta. Lui e Bella avevano avuto altre liti, da quando era iniziato l’incubo alieno, ma nessuna poteva essere paragonata a questa. Era stato davvero ingiusto con lei: quella poveretta faceva di tutto per renderlo felice e lui la ripagava con male parole. Le lacrime, di pentimento stavolta, presero a scorrergli sul viso e decise che doveva gettarsi fra le sue braccia, implorando il suo perdono. Corse fino alla stanza da letto, spalancò la porta e…la parola “mamma” gli morì in gola. No, quella non poteva essere la sua mamma. Accovacciata in terra, stava un’orrida creatura con gli arti piegati nella tipica posa della mantide religiosa. Essa muoveva di continuo la testa, piccola e raggrinzita, e Nathan si accorse che gli occhi emanavano una luce rossastra. Dunque era stata quella cosa a provocare il lampo di poco prima. Altro che la spada laser di Guerre Stellari ! Doveva fuggire, correre via…ma dove? Dove poteva rifugiarsi? Lì fuori gli alieni stavano facendo la ronda per assicurarsi che nessuno violasse il coprifuoco e lui era intrappolato con quel mostro che aveva sicuramente ucciso Bella. Le sue membra sembravano un tutt’uno con il pavimento e gli impedivano di muoversi. La bestia, intanto, girava e fletteva il collo di 180 gradi e Nathan iniziò ad osservarla poiché gli era parso di averla già vista da qualche parte. Il cuore che, gli batteva a precipizio, si calmò un poco giacché gli parve plausibile credere che non lo avrebbe assassinato, per il momento. E se sua madre fosse imprigionata nel corpo di quell’essere? Un po’ come quel film L’invasione degli Ultracorpi , ma al contrario? A poco a poco, il terrore e il disgusto provati fino a pochi minuti prima svanirono, come se fossero stati dei guanti che aveva indossato e sfilato. Azzardò persino un passo verso di essa, per poi ritrarsi in fretta. La creatura alzò la testa, annusò l’aria e girò il grugno verso di lui. A Nathan si strabuzzarono gli occhi quando capì dove l’aveva vista. Quando capì davvero chi era. Avvertì un leggero peso al ventre e sia lo sfintere che la vescica cedettero all’improvviso. La cosa strisciò verso di lui – le gambe erano unite in unico blocco, come un piedistallo- e fletté la lingua nerastra e pelosa che saettava da una bocca oscena. Quando gli fu abbastanza vicina, si erse come un serpente e circondò il ragazzino con due tentacoli flaccidi e viscidi a causa di un essudato denso e biancastro. Nathan la guardò in volto e, in quella, le mascelle della creatura si allargarono all’inverosimile e con un movimento fulmineo si chiusero sulla testa del bambino che venne sollevato in aria e sbatacchiato come una bambola di pezza prima di venire ingollato tutto intero. Prima di morire, i suoi occhi registrarono un particolare che gli fece rimpiangere di non aver infranto il coprifuoco. Si era sempre chiesto chi fosse la musa ispiratrice del padre, il quale a questa domanda rispondeva sempre in modo vago e dopo aver visto lo zaffiro che pendeva da uno dei tentacoli che ricoprivano il muso del mostro capì il perché.

Bella Slade aborriva la fantascienza. Bella Slade non aspirava a diventare la musa di chicchessia. Bella Slade anelava solo una vita tranquilla con la sua famiglia. Dopo la morte di Andy aveva sviluppato un attaccamento morboso al figlio, testimonianza vivente del suo amore perduto e aveva giurato che nessuno li avrebbe separati. Lesse tutti i libri del marito e capì cosa doveva fare per impedire a quegli extraterrestri schifosi di separarla da Nathan e mise in pratica ciò che vi era scritto. Dopo aver ingoiato il piccolo, fletté un tentacolo fino a che dalla sua estremità non uscì un appuntito aculeo che essa si conficcò nel cuore. Un attimo prima di esalare l’ultimo respiro, essa iniziò a muovere le labbra da cui proruppe una voce cavernosa e a stento intelligibile e che pronunciò una sola parola. Growl

© Paola Emma Labate (diana Jett)





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