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Un progetto lucrativo
di Fernando Sorrentino
Pubblicato su SITO


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Un progetto lucrativo

Titolo dell’originale in spagnolo: “Un proyecto lucrativo”
Traduzione di Enzo Citterio

1. Fuorilegge

Quando traslocai dalla città di Buenos Aires alla località suburbana Martínez, osservai che la maggior parte dei giardini o garage erano posti lateralmente alle case. Molti proprietari usavano lasciare —collegate al rubinetto— le manichette con cui irrigavano il giardino o lavavano l’auto.

Limitandomi a circoscrivere un quadrilatero compreso fra le vie Fleming, Dardo Rocha, Carlos Pellegrini e Paraná, feci un calcolo matematico il cui risultato fu che, in quell’area, ci fossero —considerando l’abituale margine d’errore di ogni statistica seria— 10.920 manichette.

Ora, se consideriamo che il prezzo di una manichetta di qualità media sia, in Argentina, equivalente di trenta dollari statunitensi (l’inflazione m’impedisce di fare il calcolo in moneta nazionale), otteniamo come risultato che l’insieme delle manichette disponibili in quella zona di Martínez rappresenta un ammontare di 327.600 dollari.

Per una persona come me, docente di letteratura pensionato, che è sempre vissuto del suo puro e semplice salario, i 327.600 dollari scatenarono la mia cupidigia.

Le manichette erano molto vulnerabili agli urti: sarebbe bastato introdurmi nel giardino, scollegare le manichette dai rubinetti, e appropriarmi così di quei futuri tesori.

Ma non ero disposto a distruggere la mia reputazione di persona onesta facendomi riconoscere, dal vicinato, come un volgare ladro di manichette. Perciò, una certa notte mi misi in testa un berretto quadrettato che mi calcandolo fino alle sopracciglia e mi coprii gli occhi con una mascherina nera.

Così travestito, all’una del mattino, un lunedì di giugno, iniziai la mia attività di criminale. Devo puntualizzare che, nelle notti invernali, trovare un passante nelle semideserte vie di Martínez è quasi tanto difficile quanto trovare un bidet negli Stati Uniti. Tale solitudine facilitava i miei piani.

E’ abbastanza semplice entrare nei giardini: in alcune case sono separati dal marciapiede solo da un muro che arriva al massimo a un metro d’altezza. In altre basta spingere la porta (spesso chiusa non a chiave). Nel caso più complesso è necessario arrampicarsi sulle inferriate, mai troppo elevate (d’altra parte, conservo, fin dalla mia infanzia, l’abitudine di arrampicarmi sugli alberi o lampioni, una specie di modico alpinismo).

Uscii quella notte, quindi, nella mia via Juncal e iniziai ad appropriarmi del tubo della casa che, a destra, confinava con la mia. Continuai dirigendomi verso la via Fray Luis Beltrán e, con l’avvertenza di non avventurarmi in quelle abitazioni dove un abominevole cane potrebbe emettere un latrato d’allarme, raccolsi altre sette manichette, che appesi alla mia spalla sinistra.

Insomma, feci il giro dell’isolato (Juncal, Beltrán, Córdoba e Pringles) e tornai a casa con trentadue tubi, di qualità quasi simile. Al fine di non destare sospetti, “rubai” anche la mia manichetta. Le trentatré prede di caccia furono alloggiate nella mansarda, attico, soffitta o soppalco della mia casa, abitacolo più conosciuto coll’anglicismo playroom, abbreviato in play.

2. La soffitta

Qualunque sia il suo nome, la mia soffitta è enorme, poiché comprende quasi la totale superficie coperta della casa. Siccome d’inverno filtrano gli aghi del freddo polare e d’estate ruggiscono su lei i fuochi dell’equatore, nessun macchinario per aumentare o diminuire la temperatura produce il minor effetto in quell’area così ampia. Per tale motivo, nella parte che da verso la strada, ho fatto mettere una paratia che, partendo dal suolo fino al tetto, converte questo settore in uno studiolo facile di scaldare o refrigerare.

In questo paradiso dispongo di scrivania, computer, stampante, scanner, libri, carte, forbici, materiale scolare, eccetera. Infine, tutto ciò che è necessario per fare tutte le attività che mi piacciono: per esempio, leggere letteratura e scrivere storie vere che, più tardi, lettori increduli e maligni considerano semplici esercizi di fiction.

Lo spazio che non è studiolo è più del triplo di quello. Ci tengo la biblioteca principale, alcuni mobili, un frigorifero, un microonde, tutte le cose che servono per preparare mate o caffè, e altre suppellettili di uso pratico.

E —non per lasciarlo alla fine, come meno importante— in quel settore vivono i miei due anziani gatti: Bam Bam —maschio siamese di diciassette anni— e Kitty —gatta nera e orfana che, diciotto anni fa, raccolsi dalla strada quando aveva ancora il cordone ombelicale—. Nonostante la lunghissima convivenza, entrambi i felini —sterilizzati— non ebbero mai alcun rapporto amichevole e ancora meno avviarono una relazione romantica.

Questa divagazione geografico-storico-zoologica è indispensabile per chiarire che le trentatré manichette furono depositate nella zona più grande, dove vivono i gatti, e non nell’angolo più piccolo destinato a studio.

3. Conseguenze e nuove incursioni

La mattina seguente al primo atto di pirateria, diversi vicini della via Juncal al 1300 commentavano in strada l’ingente furto dei loro tubi. Io, molto preoccupato, mi unii ai colloqui, nei quali, dopo aver introdotto ipotesi errate sulla possibile identità del delinquente, mi accomiatai lanciando pesanti anatemi contro il ladruncolo in questione.

Quella stessa notte feci un’altra incursione, scegliendo nel solito periplo un isolato relativamente distante, dove non sarebbero arrivate notizie del furto della vigilia: quello compreso tra le vie Vélez Sarsfield, Beruti, Santiago del Estero e Necochea. Questa volta il mio raccolto fu più ricco: potei appropriarmi di trentacinque tubi.

Grazie a questa efficacia, al ritorno a casa avevo già accumulato un totale di sessantotto manichette. Alcune attorcigliate, altre distese, occupavano uno spazio relativamente ampio nell’abitacolo dei felini.

Preferisco non abbondare in dettagli aritmetici (e, pertanto, noiosi). Basti dire che, un bel giorno, arrivai ad avere in soffitta 4.937 tubi. Ero lontano, certo, della meta ideale di 10.920, ma mi stavo già avvicinando al cinquanta per cento di quella cifra. Calcolai che, in denaro, quelle 4937 manichette equivalevano a 148.110 dollari.

Allora un momento di repentina lucidità mi avvertì che, nell’impegno di radunare quella quantità di tubi, avevo perso completamente la nozione del tempo richiesto. Indubitabilmente eccedeva il tempo calcolabile in mesi, poiché stabilii che si erano succeduti più di tre inverni.

D’altra parte, ero già abbastanza stanco. Le incursioni notturne mi causavano un gravoso stress, essendo sempre latente la possibilità di essere identificato, arrestato e carcerato e, magari, anche assassinato da qualche vicino collerico. Di conseguenza, decisi di concedermi delle vacanze senza stabilirne il termine e durante quel periodo astenermi dal commettere alcun delitto.

Così feci. Durante il giorno rimanevo nel mio studio, leggendo o scrivendo o, semplicemente dedito al felice connubio fra mate e Internet. Ogni tanto davo un’occhiata panoramica sull’insieme delle mie 4.937 manichette e mi sentivo orgoglioso di possedere, potenzialmente, un capitale di 148.110 dollari.

4. Punto di svolta

Il fatto è che, dalla notte alla mattina (letteralmente), la mia vita subì un frastorno serio.

Era d’estate, non so se dell’anno successivo al successivo oppure del successivo al successivo al successivo. Quella sera lasciai, nella soffitta, tutto in ordine, per continuare con le mie faccende la mattina seguente e mi ritirai camminando con attenzione tra la foresta di quasi cinque mila tubi di gomma che ne occupavano la maggior parte della superficie.

Non so se qualche volta ho detto di avere l’abitudine di alzarmi presto. Quando, verso le sette, andai per salire sulla scala, mi sorprese che entrambi i gatti mi aspettassero all’inizio della stessa, più esattamente dove una porticina di legno e una tenda di plastica segnano il limite fra il primo piano della casa e l’inizio dei gradini che portano alla soffitta. Quella porticina e quella tendina costituiscono una frontiera la cui funzione è impedire che i suddetti felini invadano altre zone della casa.

Per qualsiasi motivo fosse, restano sempre di sopra, ma quella mattina, come dissi, li trovai ai piedi della scala e il loro atteggiamento mi parve strano e timoroso. Anch’io mi spaventai un po’ temendo qualche anomalia ignota: non dimentichiamo che, nelle storie di terrore, cantine, soffitte e le scale a chiocciola sono elementi obbligatori.

Ciò nonostante, facendomi forza, anche se con passi incerti, salii per la scala (che non è a chiocciola) e, appena mi affacciai alla soffitta, ho dovuto mettere in atto una serie di azioni urgenti: scendere a tutta velocità, recuperare i gatti, chiudere la porticina di legno, scendere la tenda di plastica e fissare i suoi estremi inferiori sul pavimento.

5. Polizia aristotelica

Presi il telefono e chiamai il 911.

Mi rispose all’istante una voce femminile:

—Ufficiale Viceispettore Marioni Ortibelli Juana Eduarda. In cosa posso esserle utile?

Procurando non apparire nervoso, intentai spiegarle:

—Ho dovuto recuperare i gatti che avevo in soffitta, erano in pericolo di morte… In soffitta devono esserci circa cinque mila pterodattili famelici…

—Teri… cosa?

“Lo sapevo”, mi dissi, “che un semplice ufficiale di polizia non avrebbe mai sentito menzionare quella parola”. Allora, ripetei, lentamente e scandendo le sillabe che l’avrebbero resa consapevole della sua ignoranza.

—Pte-ro-dat-ti-li.

—Pterodattili? Che cosa sono i pterodattili?

Mi disposi a impartirle una lezione di scienze naturali.

—Sono rettili volanti che…

—Impossibile, signore —m’interruppe—: i rettili non volano ma strisciano…

—Ma questo —obiettai, come argomento decisivo— è un rettile estinto milioni di anni fa.

—Doppiamente assurdo, signore mio. Se è estinto, non solo non può volare ma neanche strisciare. E, se è estinto, come può essere vivo?

—Non ho la minima idea.

—Evidentemente, mio caro amico, lei non conosce la Metafisica di Aristotele, dove si espone il principio di non contraddizione. “Niente”, dice lo Stagirita, “può essere e non essere allo stesso tempo e nello stesso senso”. Orbene, amabile confratello, non sfuggirà al suo elevato giudizio che nessun essere può essere vivo e morto allo stesso tempo.

La mia confutazione risultò molto precaria:

—Lo capisco perfettamente, ma quel che è certo è che nella soffitta della mia casa ci sono quasi cinque mila pterodattili che, in questo stesso momento, stanno vivendo, strisciando, volando gracchiando, gridando e grugnendo, secondo quanto me lo indicano i rumori raccapriccianti che ora stesso perforano i miei timpani.

Ci furono alcuni istanti di silenzio. Poi udii:

—Signore —il suo tono era severo—: so esattamente da quale telefono e da quale domicilio sta chiamando, e posso accertare subito il suo nome e il suo cognome. Ora, ci sono solo due possibilità. Lei può essere un pagliaccio o un pazzo. Nel primo caso, possiamo arrestarla per aver fatto scherzi a un’istituzione pubblica al servizio della legge, l’ordine e la comunità nel suo insieme. Nel secondo, avremmo, per un principio umanitario, il dovere di trasferirlo a una clinica psichiatrica o, in un modo più drastico e degno di lode, rinchiuderla direttamente in un manicomio.

—Ma non era certo mia intenzione…

—Per favore, signore, sull’altare della salute di tutti, della morale e delle buone abitudini, la prego di mettere un punto finale a quest’assurdo dialogo.

Spaventato, risposi:

—Mi scusi, grazie.

E chiusi la comunicazione.

6. Sentieri che si biforcano

Cercai di riflettere. “Quest’Ufficiale Viceispettore”, ragionai, “sarà molto versata in questioni filosofiche, ma ignora completamente gli arcani della zoologia”. Nell’esprimere quest’ultima parola, mi apparve la soluzione.

Cercai il numero sulla guida telefonica e chiamai il Giardino Zoologico, che, da secoli, si trova di fronte a piazza Italia.

Dopo un solo squillo, udii:

“Grazie per aver chiamato il Giardino Zoologico di Buenos Aires. Se desidera parlare con l’Amministrazione, digiti 071; se desidera parlare con Malattie Infettive delle Avi Rapaci, digiti 100; se desidera prenotare una Visita Guidata, digiti 421; se desidera informarsi Sulla Condotta Sessuale dei Monotremi, digiti 762; se desidera…”.

Aspettai pazientemente che finisse il messaggio di benvenuto, fino a quando udii “O attenda di parlare con un’operatrice”.

E, in effetti, parlai con l’operatore. Appena esposi il problema che mi angustiava, mi passò un interno, da dove un’altra voce femminile disse:

—Dottoressa Daisy Cubelli Crocodile: in cosa posso aiutarla?

Con mio sollievo, non si stupì del sostantivo pterodattilo né mi espose alcun ragionamento filosofico, ma mi fornì il numero del Museo di Scienze Naturali di Buenos Aires.

—Loro sapranno come soddisfare la sua richiesta —aggiunse.

Le feci i dovuti ringraziamenti e chiamai il Museo:

—Ah —mi disse il centralinista (in questo caso, la voce era di un maschio giovane)—, poiché si tratta di un animale estinto, è di competenza del Museo di Scienze Naturali di La Plata, il cui telefono è…

7. Il dottor boitus

Presi nota dell’informazione e chiamai —interurbana— a La Plata.

L’operatrice mi trasferì agli uffici Piaghe Urbane e loro mi passarono a Piaghe Urbane dei Vertebrati. Mi rispose un gentiluomo che si presentò come il dottor Boitus; prima che potessi pronunciare una parola, mi ordinò che esponessi il motivo della mia chiamata.

Così feci, con lodevole esattezza, anche se utilizzando dei sinonimi oziosi riferendomi alla soffitta dei pterodattili.

Dopo una pausa di riflessione, mi chiese:

—Qual è l’habitat dove svolge le sue attività vitali?

Siccome la struttura dell’interrogazione mi parve un po’ barocca, cercai di chiarire:

—Mi sta chiedendo dove vivo?

Nella sua risposta ci fu del disprezzo:

—Certo.

Considerai inconcludente questo dato e, come rappresaglia, risposi vagamente:

—Gran Buenos Aires, zona nord.

—Ossia —specificò Boitus— in qualche punto preciso, o impreciso, della regione che le autorità cartografiche denominano Cono Urbano Bonaerense.

Stimai questo secondo chiarimento ancora meno necessario della prima domanda e risposi con un monosillabo:

—Sì.

—Pertanto —disse Boitus—, mi vedo nel dover portare a sua conoscenza che gli esseri irrazionali che hanno eletto, a mo’ di ostello, la superficie coperta dello spazio domestico che lei denomina ogni volta come attico o soffitta o play, non sono ne possono essere pterodattili.

Il linguaggio arzigogolato di Boitus m’irritava oltremodo.

—Non sono pterodattili…? —dissi, per mettere fine alla questione—. E allora cosa sono?

—Sono ranforinchi.

—Ma…, non so… Mi sembrarono pterodattili…

—E’ vero che entrambe le specie possono mostrare certe somiglianze morfologiche, di carattere solo apparente, che, a una persona come lei, sprovvisto del minimo rigore scientifico e, forse, d’intelligenza, possano indurlo in errore. La prego di sottomettersi alla mia sapienza e accetti di essere l’anfitrione di un insieme di ranforinchi e non di pterodattili.

Queste informazioni mi parvero impartite con autorità, certo, ma quello che avevo bisogno di sapere era cosa fare con i ranforinchi, e lo feci presente al dottor Boitus.

—Prima di tutto —disse— sarà utile stabilire l’origine dell’infestazione… Cerchi di ricordare: lei portò qualche pneumatico di automobile nel luogo invaso?

—Pneumatico…? Credo che mai nella mia vita abbia toccato uno pneumatico.

—Qualche camera d’aria o copertone di bicicletta…?

—No, no, impossibile.

—Qualche elemento che contenga gomma o caucciù…?

—Sì, ho portato su alcune manichette da irrigazione…

—Ecco la chiave! —affermò Boitus—. Cercherò di spiegarle in maniera semplice, affinché lei, con la sua mentalità limitata, possa quasi capirmi.

—Avanti. Sono tutt’orecchi.

—I frammenti di caucciù, trovandosi in ambienti chiusi, con una grande escursione termica (freddo e caldo estremi), subiscono una mutazione, o piuttosto una regressione fitozoologica, che li trasporta o, per meglio dire, li restituisce al periodo giurassico, centoquarantacinque milioni di anni fa, e li fa reincarnare in ciò che erano allora: ranforinchi.

A questo punto Boitus fece silenzio, per cui parve terminata la questione.

Temendo che interrompesse la comunicazione e realmente allarmato, esclamai:

—Dottor Boitus! Mi sente…?

—Sì, sì, avanti… Ha qualche altra domanda?

—Per favore, dottor Boitus, mi dica: che cosa devo fare con i quasi cinquemila ranforinchi…? —assunsi un tono di disperazione alla mia supplica—. Occupano tutta la mia soffitta, non mi permettono l’accesso al mio studio, fanno baccano, gracchiano, senza dubbio producono tonnellate di escrementi ed ettolitri di urina, e forse chili e chili di vomito…

—Si tranquillizzi —mi chiarì— e non sia così ridicolo e pessimista. A tutto c’è rimedio, tranne che alla morte. D’accordo?

—D’accordo.

—Le spiego, e la prego di prestare attenzione, perché non mi piacciono i discepoli microcefali, ne tollero essere obbligato a ripetere concetti estremamente semplici.

Non seppi cosa rispondere.

—Dopo questa regressione al periodo giurassico, i ranforinchi iniziano a languire e a sentire una fame intensa. Sono animali esclusivamente carnivori e, senza alcun dubbio, avrebbero finito per assassinare e divorare i suoi due gatti, per cui è da elogiare la sua decisione di recuperarli. Nonostante ciò i ranforinchi non praticano il cannibalismo, e allora, depressi e angustiati, inizia in loro una fase che potremmo definire d’inappetenza prima, di dimagrimento poi e di rachitismo finalmente, processo che, dopo un lasso di tempo da trenta a quarantacinque giorni, culmina nel ritorno degli animali al suo essenziale stato di caucciù. Una volta che i ranforinchi raggiungono questa metamorfosi, iniziano anche a recuperare la sua anteriore, o posteriore, essenza di manichette da giardinaggio. Lei, quindi, dovrà solo aspettare al massimo quarantacinque giorni, e tornerà a trovare in perfetto ordine i suoi quasi cinquemila tubi. Mi sono spiegato con chiarezza ed efficacia didattica…?

—Perfettamente, dottor Boitus, molte grazie. Metterò in pratica il suo consiglio.

—Non è solo la miglior cosa che può fare —rispose Boitus—. E’ anche l’unica.

8. Situazione attuale

E così feci. Eseguii alla lettera le raccomandazioni del dottor Boitus e, in effetti, nel termine pronosticato di un mese e mezzo, riebbi le mie quasi cinquemila manichette.

Allora, esposi sulla cancellata di casa mia, questo cartello:

VENDO MANICHETTE DA GIARDINAGGIO,
A SOLO 20 DOLLARI L’UNA

Passano i giorni ma non sono ancora riuscito a vendere nemmeno un tubo. L’essere umano suole sollazzarsi con la calunnia, e non mancheranno coloro che mi tacceranno di ladro di manichette e, per quel motivo, non vorranno avere alcun contatto con me.

Insomma, le cinque migliaia di manichette sono ancora lì. Non vedo altra soluzione che gettarle, il più presto possibile, in un Centro Raccolta Rifiuti. Prima che tornino a trasformarsi in ranforinchi.



L'autore: FERNANDO SORRENTINO (Buenos Aires, 1942)

Scrittore e professore di letteratura. Ha pubblicato saggi, racconti e interviste. Ha collaborato con molti giornali, fra i quali La Nación e La Prensa. Molti dei suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in più di venticinque idiomi.

Le sue ultime raccolte di racconti sono Los reyes de la fiesta, y otros cuentos con cierto humor (2015) e Para defenderse de los escorpiones, y otros cuentos insólitos (2018), entrambi pubblicati a Madrid da Apache Libros.

Sono stati pubblicati, in italiano, due raccolte di racconti: Per colpa del dottor Moreau, ed altri racconti fantastici, Modena, Progetto Babele, 2006, e Per difendersi dagli scorpioni, ed altri racconti insoliti, Macerata, Progetto Babele / Stampalibri, 2009. 

E’ autore inoltre di Siete conversaciones con Jorge Luis Borges (1974) e di Siete conversaciones con Adolfo Bioy Casares (1992), le cui più recenti edizioni (2007) sono della Editorial Losada, de Buenos Aires. Di entrambe le interviste è stata pubblicata la versione italiana: Sette conversazioni con Borges, Milano, Arnoldo Mondadori, 1999, e Sette conversazioni con Adolfo Bioy Casares, Pescara, Solfanelli, 2014. 

© Fernando Sorrentino





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