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Il mare e la luna
di Michele Capitani
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  Quando don Giovanni Rabelese, sacerdote quarantenne, venne finalmente trasferito in un’altra città (stavolta però sul mare), i primi parrocchiani che ebbe modo di conoscere furono delle ragazze sulla trentina, che animavano e tenevano il catechismo, con un paio di altre loro amiche.  

  Fu stupito che le prime a presentarglisi non fossero le tipiche donne di una certa età, e questo lo rallegrò, gli ci voleva della gioventù per restituirgli le energie che da tempo erano andate scemando nell’abitudinarietà della parrocchia in cui era stato lasciato per troppi anni. Sapeva che nella nuova destinazione ci sarebbero stati solo lui e un altro sacerdote, anche perciò provò un certo sollievo nell’incontrare subito quella gioventù sorridente. 

  Di quelle ragazze lo colpì parecchio lo sguardo di una di loro, la meno ciarliera, uno sguardo intelligente e buono, forse timido, e con una vistosa cicatrice accanto alla bocca, che però a lui non dava nessuna impressione di bruttezza su quel viso, anzi fu la cosa che gli restò impressa anche nelle successive giornate, in cui conobbe gli svariati volti di tutti gli altri fedeli più assidui. 

  Al contrario delle altre del primo giovane manipolo dell’accoglienza, gli restò subito inciso nella memoria, come la cicatrice, anche il suo nome: Marina. Forse perché nell’altra città era un nome tanto raro, così disse a sé stesso don Giovanni.

  Le prime settimane si divise le mansioni con l’altro confratello, prima che questi partisse per una decina di giorni e lo lasciasse davvero solo in parrocchia. “Ma sono appena giunto in città!”, pensava don Giovanni, spaventato dal dover gestire da solo una situazione tanto nuova, anche più del pensiero di resistere al pensiero di quella fanciulla: era consacrato da quindici anni, e avvezzo oramai a non lasciar andare troppo la fantasia su una ragazza. 

  Già il giorno del suo arrivo, un sabato di fine giugno. letteralmente appena sceso dal treno ed entrato in canonica, quelle ragazze, dopo quattro chiacchiere, gli avevano proposto di andare al mare con loro e altri amici, nel pomeriggio, ma don Giovanni poté facilmente declinare l’invito: doveva ancora conoscere il confratello! Né sapeva se nel pomeriggio avrebbe dovuto celebrare messa, eccetera.

  Capitò però che il gruppetto delle “perpetue juniores”, come le aveva presto soprannominate, lo invitarono spesso ad andare al mare, e ciò avveniva tutti i sabati, e anche la domenica:

«Ragazze, vi ricordo che la domenica per noi preti è lavorativa, e soprattutto ora che sto per restare da solo»

«Ma tanto a luglio e agosto non viene più nessuno a messa» 

«Anche qui ci sono quelli che si fanno una “vacanza da Dio”?»

«Ah ah! Sì!»

«Eh, però c’è il corpo di Cristo, lui mica va al mare»

«Ecco perché l’ostia è così bianca!» intervenne Marina.

  Risero tutte, lui si mise una mano sugli occhi, ma gli veniva da ridere. Subito provò a riprendersi:

«Ragazze, dài, torniamo seri, si parla di eucaristia»

«Comunque qualche volta Gesù ci andava al mare, ci ha pure camminato sopra» osservò una.

«Tecnicamente, si trattava di un lago» precisò un’altra.

«Ma dove sono capitato?!», don Giovanni un po’ rideva e un po’ guardava in alto, scherzosamente scandalizzandosi.

«Però dai, don, voi preti giovani siete sempre troppo bianchi, mica ti starebbe male un po’ di colorito»

«E metti che un giorno ti arriva un confratello dall’Africa, al paragone diventi proprio un fantasma!»

  Il sabato mattina, insomma, era subito diventato un rito quell’arrivo delle simpatiche sirene, con caffè, chiacchiere, magari qualche pulizia di squadra, e alla fine l’invito per il mare. Era diventato quasi un rito anche scherzarci sopra, ma non per questo loro avrebbero deciso di demordere, era chiaro a lui e a loro.

  Don Giovanni rifletteva che non era tanto inibito dal fatto di aggregarsi a delle fanciulle in costume, bensì dal biancore di cui lo accusavano: questa era la novità, nessuno gliel’aveva mai fatto notare, anzi lui stesso non si era mai guardato, non solo da quella prospettiva, ma proprio non aveva mai fatto troppo caso al suo corpo, forse perché Dio gliel’aveva sempre mantenuto asciutto e in salute, figurarsi dunque se avrebbe badato al biancore della sua carnagione; e se anche vi si fosse soffermato lo avrebbe considerato nient’altro che uno dei molti e normali segni e conseguenze del suo essere prete, uno cioè che “è nel mondo, ma non è del mondo”, come spesso aveva convintamente affermato anche lui.

  Un paio di volte la Marina, lei da sola, gliel’aveva proposto, e lui aveva declinato asserendo più che altro che il mare non lo amava, ma poi capì che alla ragazza quella risposta non bastava, e capì anche che lei aveva ragione a pretendere di sentirsi rispondere altro, poiché lui il mare effettivamente non poteva dire di non amarlo: il fatto era che semplicemente ne era stato sempre lontano, nella città dov’era nato, poi in quella dove aveva studiato al seminario, infine nell’altra dove era stato lasciato nei primi quindici anni di sacerdozio. Il mare gli era rimasto sempre talmente remoto da esercitare un richiamo flebilissimo, pressoché astratto, tanto poco se ne parlava e lo si conosceva.

  Qualcosa insomma di distante, e che tale gli sembrava continuasse a essere anche ora che era stato assegnato a una parrocchia che ne distava solo pochi isolati, finché appunto il gruppetto, o quella ragazza da sola, non avevano cominciato a proporglielo.

  Meno male che, il giorno che avesse ceduto a Marina, ci sarebbe stato comunque qualcun altro, parrocchiani o amici. Comunque rimaneva una risposta che don Giovanni non riusciva a darsi: per quale ragione, pensando a Marina, gli veniva in mente più la cicatrice che non quei suoi occhi attenti, né la sua bruna carnagione, né le sue gambe dritte e il suo passo elastico?

  Accadde infine che, dopo una mesata, lei gli si presentò, offrendogli:

«Se vuoi ti porto al mare di notte. L’acqua è tiepida, e poi di notte mica ci avrai impegni»

«Di notte? Uh, questa poi…»

«Vabbe’, notte… diciamo sera tardi»

  Don Giovanni sperò che Marina scherzasse, perché, guardandola in quei suoi occhi che attendevano una vera risposta, comprese che ormai non avrebbe potuto dire di no, semplicemente perché avrebbe voluto dirle di sì.

  Gli sembrò che lei sapesse giù tutto, infatti proseguì:

«Facciamo mercoledì»

«Perché mercoledì?»

«Perché ci sarà luna piena, così forse non sembrerai tanto bianco!»

«Non sarà il contrario?»

«Sotto la luna sembrerò bianca anche io. E poi, giovedì mattina mica c’è la messa»

  Ormai partito il confratello, nei giorni che lo avvicinavano a quell’imprevedibile sortita gli vennero in mente I promessi sposi, quasi che si cospirasse per una notte degli inganni, pur non essendoci tutto sommato nessuno da ingannare: non aveva mentito, giacché nessuno poteva chiedergli conto di niente in quei dieci giorni al centro dell’estate, nei quali era stato lasciato solo lui a presidiare la parrocchia. Uscirne insomma era facile, semmai non era sicuro di come sarebbe tornato, dopo quella stramba esperienza di mare, e di uscita notturna con una ragazza. Ma di qualcuno doveva pur fidarsi, in quel luogo così nuovo per lui, quindi, non sentendosi più sicuro di fidarsi di sé stesso, decise di fidarsi di lei.

  La notte convenuta, mentre sgusciava via da una porticina laterale pensò “Quando mai avrei immaginato di gioire per la mancanza di vocazioni… Perdonami, Signore”, si riprese subito dopo, per quel pensiero, mentre già un altro pensiero più sottile gli diceva che forse gli veniva da chiedere perdono anche per qualcos’altro.

  Oltretutto, anche non farsi vedere in giro era facile, in virtù del buio di quell’ora, “Ma allora perché mi sento come un ladro nella notte?”

  Mentre aspettava che arrivasse Marina, continuò a dirsi: “Qui è il difficile: non essere ipocrita, don Giovanni, sai benissimo che non sei mai uscito a quest’ora della notte, tantomeno da solo con una donna, e per andare a metterti in mutande in chissà che luogo nascosto” (solo il giorno successivo avrebbe ammesso a sé stesso che anche lasciare deserta la parrocchia non è che si potesse definire una bella azione).

  Non lo stupì che la sua notte dell’innominato, più che degli inganni, sarebbe stata tanto placida e senza vento, poiché era da tantissimo tempo che tutto, in realtà, gli cadeva in un’indifferenza vuota, per quanto  indolore: celebrare, pregare, confessare e confessarsi, vivere coi confratelli in comunità sempre più desolate: prima in quattro, poi in tre, come i briganti sui somari, infine in coppia con un altro, adesso, con cui vivevano praticamente separati in casa. 

  Infine da solo, adesso, in quel vicolo notturno.

  Insomma la sua vocazione si poteva definire in crisi da tempo, ma una crisi che era una potente bonaccia, una sorta di palude immobile già un poco marcescente, non certo il mare tempestoso in cui aveva veduto altri preti dibattersi e invocare Dio, più e meno giovani, tra dubbi, tentazioni, frustrazioni, sensi di colpa.

  Don Giovanni no. Ecco perché all’invito della voluttà il suo istinto si era per un momento risvegliato, più per indole che per vera difesa dalle tentazioni, e difatti solo un attimo, quando la Marina lo invitava, il suo vecchio e stanco istinto era in piedi e in guardia, per tornare subito a riaddormentarsi, e cedere il campo e i sensi e la ruota della vita all’istinto di seguire la voce della dolce sfregiata.

  Lei arrivò in auto, e in pochi minuti lui si ritrovò su una spiaggetta, ancora con quei suoi pensieri lucidi ma che non avevano la forza di distorglielo dal desiderio di trovarsi proprio lì e non chiederle di riportarlo a casa. Sapeva bene che da tempo non seguiva più una rotta sulla navicella della Chiesa, si sentiva decisamente spiaggiato su una sua interiore battigia, che ora udiva realmente a pochi metri dai suoi piedi e dai piedini di lei, a lasciare  che le onde giungessero per poi ritrarsi, all’infinito.

  E cos’altro mai poteva invitarcelo se non gli occhi di una donna e il suo incarnato, e la voce delicata e piena, proprio come quella risacca, e la luna, in quella notte?

  Poggiati assieme i suoi abiti neri e il vestitino di lei, a formare un indistinguibile mucchietto bruno, sotto il biancore lunare parevano simili in tutto la pelle di lei e la sua…

  Ora sì che capiva la lontananza del mare dalla vita di prima: ora che era al capo opposto di quella lontananza la contemplava e la capiva in tutta la sua smisuratezza. Adesso, con le parole dolci di Marina, e il dolce sciabordìo della risacca, quel ritornello che mai aveva sentito tanto da vicino, si ricordava a malapena del mondo di prima, divenuto lontanissimo, anzi quasi astratto in quella notte solitaria fatta di poche cose, ma enormi, che valevano tutto.

  Tutto dei suoi timori si sfarinò, poiché uno solo, in fondo, gliene era rimasto: lo sciocco timore di risaltare col suo pallido corpo, come negativo d’una foto, accanto al corpo abbronzato di lei. Tutto il resto, cioè la castità, l’obbedienza, la tensione di ingannare il suo voto, insomma la sua vita, era rimasto talmente all’indietro, immobile e impallidito nella memoria, che quando lei lo baciò, a lui parve soltanto che così doveva essere.

  Due ore dopo, lui e lei, ancora un poco ansimanti, di nuovo sdraiati e appaiati a guardare in su, ammirando il tondo specchio argenteo viaggiare ancora in cielo con incantata lentezza.

  Non si vedevano l’un l’altra, però si sapevano paralleli, bianchi, rilasciati, felici. 

  Uguali.

  Perciò, allorché lei infine gli rimise la mano sopra la sua, a lui venne solo da pronunciare, sussurrando:

«Amen»

 

© Michele Capitani





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