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"…Io non ho bisogno di fare delle frasi.
Scrivo per mettere alla luce certe circostanze.
Diffidare della letteratura. Bisogna scrivere
tutto come viene alla penna, senza cercare
le parole…" (Jean-Paul Sartre)
Ma perché sono venuto. Il mio VW Maggiolino del 1963 arranca su questa salitina prima del parcheggio. L’unica macchina da pezzente è la mia. Parcheggio tra una Porsche Carrera rossa fiammeggiante e una Jaguar verde prato da golf inglese. Neanche a dirlo, le altre macchine sono della stessa forza, tanto per capirci: Ferrari, Lamborghini, Mercedes SL, Saab cabrio, Jeep altissime, ma per andare dove poi, alla Standa? e ancora Porsche a pioggia. Comunque il mio VW Maggiolino bianco rugginoso è senza dubbio l’auto che si nota di più, tanto per capirci, come uno stronzo sopra una torta di panna.
Questa casa è immensa. Io comunque non dovrei più farmi vedere a questi party. È che bevo sempre troppo e poi mi sento male. Non è che non reggo l’alcool, questo non si può dire, è che ho un limite oltre il quale non dovrei andare. Diciamo che il mio limite è dieci bicchieri, cioè è un esempio, solo per inquadrare la situazione, dicevo? ah si, il mio limite è dieci bicchieri, fin li’va tutto bene, sono solo un po’ più allegro del solito, disinvolto, disinibito, ma basta che beva l’undicesimo bicchiere per rovinare tutto: mi intristisco, mi scendono dei lacrimoni cosi’, mi deprimo all’orlo del suicidio. Beh, una volta, dopo l’undicesimo bicchiere, ma forse i bicchieri saranno stati di più, comunque ero a casa di questo pittore portoghese, e questo tizio aveva un sacco di armi sotto vetro, tutte cariche e ben lubrificate, me lo aveva assicurato lui; per farla breve mi sono impossessato di una Colt 45 e ho tentato di spararmi: la mia mano tremava talmente che ho colpito un altissimo orso bruno imbalsamato. L’orso era come incazzato, come a dirmi ‘Se non posso stare tranquillo neanche qui!’.
Questa casa è veramente grande. Non riesco più a trovare mia moglie, ma quello che mi scoccia di più e che non riesco a trovare il bagno. ‘Nel corridoio, una porta nera sulla destra’ mi ha detto qualcuno. Beh, è una parola. Questo corridoio è lunghissimo e c’è una porta nera sulla destra ogni quattro metri. Ne ho già aperte tre, ma del bagno non c’è traccia.
Apro la porta numero quattro, l’ennesima camera da letto vuota. Richiudo la porta e passo a quella dopo.
Ha dei bei quadri questo Maurizio Consolo, il padrone di casa, è un dentista: i dentisti fondamentalmente sono come i becchini, si arricchiscono sul dolore altrui. La mia non vuole essere una critica, o qualcosa del genere, è solo una constatazione di fatto, tutto qui.
Tipo questo quadro enorme alla mia sinistra: io di Andy Warhol non posso neanche permettermi di comprare un poster. Mio padre me lo diceva sempre ‘Che te ne fai di una laurea in filosofia?’. Beh, lui era un chirurgo, uno di quelli in gamba, sempre in ospedale, votato al lavoro, uno di quelli dalle mani d’oro, la gente aspettava anche un anno pur di farsi operare da lui: è morto di infarto a cinquantacinque anni mentre asportava una appendicite.
Apro un’altra porta nera. Mi ritrovo in una specie di studio-biblioteca. I libri arrivano fin sotto il soffitto. Me lo avevano detto che questo Maurizio Consolo era un gran lettore. È una stanza di lettura, ecco che cos’è: oltre ai libri c’è una scrivania di legno scuro, penso noce, e una poltrona di cuoio altrettanto scuro. Non c’è nient’altro. I libri sono disposti in ordine alfabetico e per nazioni. Allora, questa è la Francia: con la ‘a’ non c’è nessuno, infatti il primo è Balzac, seguito da Baudelaire, Beckett, Breton, Celine, Gide, Proust, e cosi’ via fino a Valery. Questa qui invece è la letteratura italiana: parte da Ariosto, Boccaccio, Cavalcanti, prendendo nel mucchio c’è Calvino, Cellini, De Amicis, De Carlo, Del Giudice, Fenoglio, Foscolo, Goldoni, Gadda, Leopardi, Levi, Manzoni, Morante, Pirandello, Sciascia, Svevo, Tabucchi, dopo il Tasso c’è Alessandro Telamo, che poi sono io. Sulla parete di fianco c’è la letteratura americana: Anderson, Bellow, Bukowski, Carver, James, Fitzgerald, Hemingway, London, Miller, Salinger, Twain e tanti altri. E poi la letteratura tedesca, inglese, russa, spagnola e ibero-americana, portoghese, con tutto il Pessoa possibile e immaginabile, brasiliana, canadese, cecoslovacca, giapponese, con una infinita’ di Kawabata e Mishima, greca, indiana, nordiche, con una bella edizione delle ‘Fiabe’ di Andersen, irlandese, olandese, polacca, rumena, africana e cosi’ via.
Ritorno ad Alessandro Telamo, il mio libro, tiro fuori il volume, lo sfoglio, c’è una mia dedica che dice ‘A Maurizio con amicizia e stima’, non è che mi sforzo molto nelle dediche. Forse il vero problema è che non mi sforzo più di tanto in nessuna cosa.
Sulla scrivania c’è una bottiglia di whisky e quattro bicchieri. Ne riempio uno a meta’ e lo sorseggio lentamente. Poso il mio libro ‘La notte e le sue stellè e ne prendo uno di Bukowski ‘Compagno di sbronzè. Leggo un racconto brevissimo, finisco il mio whisky e ritorno alla ricerca del bagno. Mi viene l’impulso irrefrenabile di pisciare sopra tutti questi libri, anche il mio, specialmente il mio, ma lo trattengo, me ne vado.
Apro quest’altra porta nera. È una camera da letto. È occupata da questi due tipi che scopano. Sto per andarmene, quando da quel groviglio di membra umane, appare il volto di mia moglie. Ci guardiamo. ‘Lui’, che è sopra di lei e ha due spalle cosi’, non si è accorto della mia entrata, e continua a fottere come nulla fosse, lei continua a guardarmi, ma adesso sta venendo, stringe forte la montagna che ha sopra di lei e sospira forte, chiude gli occhi e anche ‘lui’ ansima rumorosamente, lei spalanca la bocca dal piacere, io richiudo la porta.
La porta dopo è quella del bagno. Entro e chiudo con due giri di chiave. Mi avvicino al lavandino, mi tolgo gli occhiali, osservo la mia immagine riflessa nello specchio, apro l’acqua e vomito. Mi sciacquo la faccia, la bocca, gli occhi, mi bagno i capelli. Finalmente piscio.
Apro la finestra e butto un occhio verso la piscina, verso il rumore del party, dove la gente beve, mangia, fuma, parla, fa il bagno, si annoia, si diverte, pensa di scopare con la moglie di qualcun altro, magari con la moglie di uno scrittore squattrinato, che non dovrebbe mai bere più di dieci bicchieri, che dovrebbe smetterla di andare a questi party del cazzo, che dovrebbe scrivere qualcosa se vuole essere considerato uno scrittore. Che poi uno è scrittore perché ha scritto qualcosa o perché’ sta scrivendo qualcosa? Cioè, che cosa vuol dire essere uno scrittore? Forse leggere una novella di Bukowski mentre una montagna di muscoli ti fotte la moglie nella stanza accanto? O pisciare sopra un mucchio di libri? O vomitare senza ritegno? O sparare ad un orso imbalsamato tentando di sparare a se stessi? Forse essere uno scrittore non vuole dire niente, nel senso che aveva ragione mio padre quando diceva di iscrivermi a medicina e non a filosofia, che poi l’università non centra un cazzo col fatto che scrivo, cioè io avrei potuto benissimo studiare economia, o ancora meglio avrei potuto studiare niente, e il risultato sarebbe lo stesso.
Apro la porta del bagno e nel corridoio, di fronte a me, c’è mia moglie. Si riassetta la gonna, bianca, molto lunga. Mi guarda con i suoi occhi verdi spalancati, respirando lentamente col naso. Io me la vedo ancora a letto con quel tizio, la bocca spalancata dal piacere. Rientro in bagno e chiudo la porta a chiave. Corro al lavandino e vomito ancora. Il problema è che non ho più niente da vomitare: vomito l’anima e sto male come un cane lebbroso.
Mia moglie bussa alla porta, dice qualcosa ma non riesco a sentirla, forse non voglio sentirla, non ha importanza, il risultato è il medesimo. Mi siedo sul water e chiudo gli occhi per un attimo, copro le orecchie con le mani.
Mia moglie smette di bussare, di parlare, magari di esistere. Allontano le mani dalle orecchie: si sente il vociare alla piscina e niente altro. Mi avvicino alla porta del bagno, ma poi cambio idea ed esco dalla finestra.
Raggiungo il gruppo rumoroso della piscina, bevo un bicchiere di una cosa rossastra, ne bevo un altro e un altro ancora.
“Tutto bene?” mi chiede Maurizio Consolo, il padrone di casa.
Io sorrido annuendo in progressione, come se fosse vero che va tutto bene.
“Tua moglie è sempre bellissima” afferma lui guardandosi intorno, in cerca di conferme.
“Si, bellissima” dico perdendo il sorriso, e forse per sempre.
“Un giorno o l’altro devo farti vedere la mia biblioteca” dice Maurizio appoggiandomi una mano alla spalla destra.
“Si, mi farebbe piacere” dico pensando a Bukowski.
©
Roberto Saporito
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