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Conosco la storia di un vecchio mago, un uomo tanto potente quanto subdolo che per gelosia, per errore, o forse chissà, così dice la leggenda, avido di un potere oltre i limiti, un giorno trasforma un ragazzo, il suo giovane servitore, in un Angelo della Morte.
Le creature muoiono.
Gli oggetti che sfiora invecchiano di secoli.
Fiori e piante appassiscono.
Re Mida non perdona.
Confuso, spinto dal dolore, torna a casa ad abbracciare la premurosa madre.
Amore e conforto diventano polvere e fango sotto le lacrime del nero angelo.
Rapito da un’oscura spirale senza ritorno, in compagnia della solitudine, il giovane dannato si rende conto di essere un Dio.
Lui decide.
Nessuno può opporsi. Nessuno può sfuggire.
Compare alle spalle, silenzioso, felpato come una pantera in agguato sulla preda, a portare il suo dono, il castigo per alcuni, la beffa per altri.
Il tempo e la distanza non contano.
Il giorno e la notte sono nulla.
Impara a pianificare, calcolare, combinare gli eventi del destino guidandoli ad incastro come i pezzi di un puzzle dal suo limbo di sospensione tra al di qua e al di là.
Si diverte a saltellare da un’anima all’altra, da un inferno all’altro, come salterebbe un clown da una gamba all’altra, destra e sinistra e di nuovo destra e infine sinistra, roteando nell’aria tante sfere colorate per la gioia di grandi e piccini.
E’ forte. Implacabile. Un abile guerriero a cavallo del suo destriero chiamato eternità.
Il suo cuore riarso non pulsa più vitale sangue rosso da irradiare in ogni tessuto, ma velenoso liquido nero denso come petrolio. La pelle è ingiallita e raggrinzita, la schiena incurvata e gli occhi bui e vertiginosi.
Due cerchi bianchi, lunghi e scheletrici, forano l’oscurità, afferrano la loro vittima conficcandogli affilate unghie nere nella carne viva e la trascinano via, urlante e rassegnata.
La Morte non ricorda nulla del ragazzo che era stato, del suo aspetto, quanti anni aveva o cosa aveva fatto , conserva solo l’immagine sfocata della donna che aveva tanto amato e mai posseduto.
Ripensa alle lunghe passeggiate, i bei momenti trascorsi con lei a guardare le stelle, abbracciati, pensando al futuro.
Quando non era Morte.
Quando poteva toccare senza uccidere.
Tornò a prenderla un giorno.
Condannata, da una morale servile, per stregoneria.
Si dibatte e urla, legata come una fiera selvaggia, avvolta dalle fiamme purificatrici innalzate per lei al centro della piazza. Malediva.
Esamine, lo riconosce confuso tra la folla. E’ lui.
Gli disse “Andiamo, portami via da qua.”
La morte aspetta sempre il momento giusto, l’esatta frazione di secondo per mostrarsi agli occhi sperduti e dilatati di chi, di lì a pochi minuti, sarebbe evaso da quella gabbia di ossa e carne troppo legata alla terra per riuscire a non crollare senza l’anima.
Sono tutti in fila davanti al suo cospetto, una lunga, interminabile coda dove nessuno timbra il cartellino prima di un altro.
Ognuno aspetta il proprio turno. Senza eccezione.
E il turno arriva anche per quel vecchio e famelico mago che muore tradito e consumato dal suo stesso potere, troppo grande per un insulso mortale.
Lo ritrova nello stesso luogo dove l’aveva lasciato l’ultima volta, una stanza grigia, l’aria viziata impregnata di fumo, mobili appesantiti da fragili oggetti ricurvi e bombati, libri e pergamene.
E’ smunto e inaridito, gli occhi infossati.
“L’immortalità terrena, ciò che cerchi, non ti è dovuto, vecchio. Avresti dovuto calibrare meglio le tue scelte. Magari ora saresti tu a prendere me.”
“Lo so.” disse il mago tendendo la mano al suo destino.
“Errare è umano non divino e la Morte non lascia nulla in sospeso.”
Angelo Nero.
©
Cinzia Ceriani
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