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I
IL PIU’ BELLO DEI MARI
Il più bello dei mari
é quello che non navighiamo.
Il più bello dei nostri figli
non é ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
Nazim Hikmet 1942
Era arrivata inesorabilmente l’estate. Giugno. La sessione d’esami estiva e tutto quello che ne conseguiva; mi ciondolavo tra i libri delle varie materie, appunti, programmi e progetti, prospettando una conclusione positiva di quell’anno.
Ho sempre avuto problemi con il caldo. Il caldo mi atterra, mi toglie le forze e allo stesso tempo mi innervosisce, mi rende suscettibile e irriverente; a volte mi sembra che i vestiti che indosso strangolino il mio corpo... cerco sempre angoli freschi, a volte in casa mi sdraio sul pavimento freddo a schiena nuda, godendo del traumatico impatto dei primi 10 secondi senza fiato, che poi si trasforma in un prolungato e piacevole conflitto con le sensazioni che derivano.
Così, per combattere questo disagio genetico, la sera mi rifugiavo in biblioteca per cercare di studiare; cosa che durante il giorno mi riusciva quasi impossibile.
Quella sera faceva caldo, un leggero e tiepido vento scuoteva l’aria rendendola pesante e opaca. Entrai in biblioteca, mi ciondolai tra gli scaffali dando un’occhiata qua e la alla ricerca di qualche volto familiare... niente... così camminai a passi lenti, il pavimento di legno scricchiolava leggermente e cercavo di essere più felpato possibile nel dirigermi verso il mio solito posto: ultimo tavolo, ultimo posto, lontano da tutto e da tutti, ma una volta arrivato una ragazza lo occupava già. Una sensazione di fastidio mi pervase, mi sentivo quasi derubato, truffato...
Mi sedetti al vertice del tavolo opposto al suo e cominciai studiare.
Dopo qualche minuto mi resi conto nel leggere, o meglio nello scorrere tra le righe, i miei pensieri vergevano in tutt’altra direzione; il senso delle parole che leggevo non era minimamente contemplato dalla mia mente, in realtà mi chiedevo il perché lei si fosse seduta li.
Io avevo un sacco di motivi che mi spingevano a sedermi li! E lei?!? Magari era stata una scelta puramente casuale, ma é impossibile che per puro caso, in qualsiasi contesto e per qualsiasi cosa, per puro caso si scelga un estremo.
Colto improvvisamente da una forza che raramente posseggo, preso forse da un momento di annullamento dei freni inibitori, mi alzai e parti per andare a chiederle come mai si fosse seduta al mio posto.
II
A VOLTE
A volte succede così, si parte per fare un cosa e ci si ritrova senza rendersene conto a fare tutt’altro, ma capita soprattutto quando si va in biblioteca; e così abbandonammo quello che stavamo studiando e ci lasciammo trasportare dalle parole che sottovoce ci scambiavamo, sembrava quasi una gara a chi riusciva a impressionare negativamente l’altro: vinceva chi riusciva a parlare peggio di se stesso...
Inventai un sacco di cose e un sacco di difetti che in realtà non avevo, evitando quelli che possedevo e credo che allo stesso modo facesse lei.
Ancora oggi non riesco a spiegarmi il perché, ma era come se entrambi cercassimo di respingerci, di non farsi piacere, una sorta di corteggiamento al contrario, consapevoli entrambi che non servisse a nulla.
Lei era stupenda e con tutti i difetti che aveva elencato lo era ancora di più. In certi momenti mentre parlava non l'ascoltavo affatto e immaginavo una possibile scena futura in cui lei mi accarezzava la schiena mentre io con qualche difficoltà tentavo goffamente di slacciarle il reggiseno, il quale finalmente si sfilava lentamente da solo con il suo ritirare le braccia verso i fianchi. Poi la porta delle mie fantasie erotiche mi sbatteva in faccia e rientravo nella sala della realtà in cui due occhioni enormi mi guardavano interrogativi e io di soprassalto imbarazzato dicevo: -“Come scusa?!?!-
Che pollo!!! Che stupido!!! Immaginavo di fare l’amore con quello splendore di donzella, ma non me la meritavo affatto e poi quasi sicuramente era già occupata, ma pensai che non toccare l’argomento avrebbe sicuramente prolungato il nostro stare insieme.
A un certo punto arrivò il ragazzo con il carrello pieno di libri raccolti tra i tavoli ad avvisarci che la biblioteca era prossima alla chiusura; così dopo cinque minuti eravamo seduti su un muretto a chiacchierare. La sua voce era diversa ora che non parlava a bassa voce, era piu calda, piena e colorata, assumeva forme con contorni spessi e corposi, dava vita alle immagini che le sue parole creavano nella mia mente...ecco cos'è che mi aveva stregato di lei, fin da subito: quando parlava o spiegava qualcosa lo faceva tramite la produzione di figure che ti scorrevano davanti agli occhi, figure e immagini che si muovevano e attraverso le quali traspariva chiaramente il senso dei suoi discorsi.
A questo punto la voglia di baciarla aumentava a dismisura e dentro di me credevo fosse ovvio che sarebbe accaduto. Questa presuntuosa convinzione cessò quando a un certo punto smise di parlare e si creò il silenzio, subito pensai fosse una pausa di riflessione, ma poi anche il silenzio prese vita e stanco di stare in piedi si sedette sul muretto tra noi due tenendoci a distanza.
Nei miei pensieri, sotto forma di rapidi fotogrammi scorreva una scena del film Pulp Fiction, quella scena in cui Uma Thurman parla a John Travolta dei silenzi che mettono a disagio e non ricordavo bene cos’altro... fui felice perché mi sembrava una cosa interessante da dire, così cercai nel più breve tempo possibile di mettere in fila un discorso sensato, mossa che poi, secondo i miei calcoli, si sarebbe potuta rivelare ottima per attivare un discorso allegro e rilassante a partire dal genere Pulp... film attinenti... ultimo film visto... film preferiti... film tratto dal libro... ultimo libro letto... libro preferito... autore preferito... stile preferito e cazzi vari, e così altre due ore sarebbero passate prima di trovarsi nuovamente di fronte all’ennesimo silenzio, con il vantaggio però che la confidenza era aumentata, il ghiaccio sciolto e il pacchetto di sigarette vuoto.
Così mentre stavo caricando questa cartuccia di infallibile effetto, come un fulmine, sparò lei per prima e lasciandomi senza parole disse più o meno quello che stavo per dire io:
-Sai, questo silenzio mi ricorda una scena di Pulp Fiction; L’hai visto? Quella scena in cui lei, non ricordo come si chiama, dice a John Travolta........-
Non ascoltai nemmeno quello che diceva, tanto già sapevo cosa avrebbe detto, già sapevo cosa pensava, come pensava ed era fantastico sentirmi così simile ad un’altra persona; credetti che lei avesse fatto il mio stesso ragionamento, credetti che avesse i miei stessi gusti e a questo punto credetti anche che dopo le due ore che avremmo passato a parlare di film, di registi, libri, autori, poesie, musica, quadri, eccetera... e dopo che da tutti questi discorsi fatti e rifatti fossero trapelati e sgocciolati ideali politici, morali, religiosi eccetera... ci saremmo finalmente baciati. Nuovamente avevo sbagliato i calcoli, appena finì di parlare di Pulp Fiction io le dissi: -Lo stavo per dire! Lei é Uma Thurman e nel film credo che si chiami...- Ma questa era la frase magica che fece esplodere sul suo viso delicato un sorriso e la fece avvicinare lentamente al mio viso, fu tenera, fu felina, prima strusciò come fanno i gatti la sua faccia alla mia e poi le nostre labbra si incontrarono e affondarono l’una nell’altra, mi sembrava di schiacciare la faccia in un cuscino morbidissimo, di infilare la mano in un ruscello di acqua freschissima, di fare una doccia ghiacciata e poi una sauna, la mia temperatura corporea aumentò a dismisura in modo quasi imbarazzante e mentre le nostre lingue si rincorrevano scoprii la reale e, fino a quel momento solo immaginata consistenza del suo corpo. Era morbida, molto morbida e tonica allo stesso modo.
Mi sudavano tremendamente le mani, un principio arrogante di erezione mi tirava dolorosamente i peli del pube lasciandomi senza fiato e, come accade spesso, avevo un desiderio folle di togliermi le scarpe, di bere una birra, di spogliarla, di scrivere, di musica, di un caffè e una sigaretta, dei miei gatti, di sparire... già di sparire, a volte quando mi trovo in queste situazioni mi capita di sentire il desiderio di sparire... quando la situazione é palesemente a senso unico, quando non resta che tirare il famoso rigore a porta vuota, vorrei non essere li, vorrei essere altrove dove é tutto meno complicato, ma poi il grande capo TESTOSTERONE prende il comando della situazione e il vento dentro la mia testa comincia a soffiare facendomi perdere completamente il controllo.
Di tutte le mie esperienze passate solo alcune e rare volte sono riuscito a isolare completamente i pensieri e a immaginarmi con tutto il mio essere in una persona. Quasi sempre la mancanza d’aria mi faceva riemergere in superficie isolandomi dal momento in cui nuotavo; l’apnea di una unica direzione mi opprimeva e soffocava, rendendomi estraneo a quel luogo.
Una volta riproiettato nel mondo dei vivi le nostre labbra si lasciarono emettendo un suono sordo e umido, ma non sembrava reale come situazione, ansimavo, ansimava, evidentemente l’autentica eccitazione agitava i sensi. MI sembrava di avvertire una attrazione particolare, diversa da quella solita per le belle ragazze, mi sembrava che lei avesse ragione, su tutto, per ogni cosa che pensasse, per ogni cosa in cui credesse; era come quando dici alla tua ormai fissa fidanzata che l’ami, e glielo dici col cuore, perché lo senti, perché ci credi, perché é vero... beh! Se la razionale logica di uomo non mi avesse fermato per ovvie ragioni le avrei detto che l’amavo, ma quante volte al giorno ci innamoriamo? Una volta al bar, una volta a un semaforo e altre quattro o cinque volte nell’arco della giornata, sono amori di una quarantina di secondi circa, sono amori che si consumano in un incrocio di sguardi, sono amori che raggiungono l’apice della passione nell’istante che precede il distogliere gli occhi per proteggerci dalla pioggia di imbarazzo che ci bagna, sono amori leggeri che non costano nulla e che si dimenticano in cinque minuti.
Parole.
Queste non sono che parole.
Parole.
Ma l’amore, qualunque cosa sia, se una malattia o un miracolo, non si nutre di parole; parlare d’amore ci serve solo a renderlo meno complicato, ci aiuta ad averne meno paura. Forse per non parlare a sproposito d’amore come sto facendo io bisognerebbe farlo davvero l’amore, bisognerebbe viverlo l’amore, ma a volte confondiamo l’amore con l’amare... a volte ci innamoriamo dell’amore e ci dimentichiamo di amare.
III
SILENZIO
Silenzio.
Silenzio.
Merda! Silenzio.
Non avevo più film in repertorio sul silenzio e mi trovavo all’angolo. Avevo una buona tattica per arrivare alla meta, ma nulla per il dopo; lei si guardava le scarpe, io la guardavo mentre si guardava le scarpe, ma lei non mi guardava mentre io la guardavo guardarsi le scarpe.
Merda!
Silenzio.
Avessi saputo cosa dire le avrei parlato di niente,
le avrei parlato di tutto,
le avrei parlato di tutto quello di cui non le avevo mai parlato,
le avrei parlato anche di quello di cui le avevo già parlato,
e tutto questo...
solo per poi poterla ascoltare.
Ma questa visione romantica dei dialoghi fatta a posteriori può andare bene giusto in un racconto come questo, dove di tempo per riflettere ce né in abbondanza, ma in certe situazioni non funziona, i meccanismi sono diversi, più complessi, nel tentativo di farsi piacere e di stupire con le parole indossiamo maschere che ci vanno o troppo strette o troppo larghe e prima o poi diventano scomode da portare e siamo costretti a toglierle, l’importante é mostrare con la nostra vera faccia un sorriso, che male non può fare.
IV
STAGIONI
Ruppi il silenzio chiedendole di fare due passi.
-Va bene- Disse - Camminare distende i nervi-
-Quali nervi?!? -
-I nostri nervi-
-E secondo te perché siamo nervosi?-
-Beh! Forse perché ci siamo baciati-
-E allora? Io non sono nervoso, bacio una ragazza che incontro in biblioteca tutte le volte che ci vengo...-
Risate... Passi lenti... Risate.
-Allora ci vieni spesso in biblioteca?!?-
-Si, ma questa sera é andata meglio del solito...-
Risate... Passi lenti... Risate.
Così le nostre voci cominciarono a gonfiarsi, sempre più sicure come vele investite dal vento, le assi di legno vergine sulle quali poggiavano i nostri piedi presero a scivolare veloci e fluide nel mare di parole in cui eravamo a mollo e tutto era più facile, più mite; quel bacio che aveva assunto per qualche istante le vesti di un errore o un evento di poco significato riprendeva gradualmente importanza e spessore mentre l’aria tornava a sorridere.
Parlammo di tutto e di niente, cose profonde e superficiali, di arte, di musica, di film, di sport, di amori ed odi, di viaggi, parlammo d’amore e di sesso... e qui la mia mente si perse, si creò un punto di rottura tra di noi, probabilmente dovuto alla mia non chiara distinzione tra le due sponde del fiume che costeggiano l’argomento...
per me a volte il sesso non é un capriccio,
come mangiare un gelato...
non é che una sensazione di vertigine nonostante la quale ci ostiniamo a guardare verso il basso per il puro piacere della paura,
non é che una increspatura tra le lenzuola scomposte,
non é che un neo sulla pelle,
una perfetta imperfezione che la rende unica,
non é che il saper distinguere il giorno dalla notte,
non é che una domanda,
non é che una risposta,
non é che un patto col diavolo,
non é che una mano vinta e non é che una mano persa,
non é che una verità raccontata come una menzogna,
non é che una carezza nel buio,
non é un lasciare scorrere l’acqua di un rubinetto di sensazioni,
non é che una foto tagliata a metà,
non é che una mano tremante,
non é che un accettare il piacere per mezzo del piacere fine al piacere,
non é che amore travestito da se stesso che gioca a nascondino coi sensi di colpa, con la paura, con le regole e l’amor proprio,
non é che una concessione,
non é che una proibizione,
non é che la goccia di sudore che scivola dal naso e finisce tra i seni e scivola lenta verso l’infinito di un momento che volteggerà nell’aria per sempre se solo non lo atterreremo con le nostre solite domande utili solo a farci sentire più sicuri, ma che in realtà ci sbilanciano solo verso l’esterno del nostro essere, allontanandoci da come siamo, spontanei e naturali,
non é che la fine di un racconto mai cominciato o l’inizio di una storia che mai finirà.
Sorrise quando le spiegai questo, mi baciò e di nuovo risate... passi lenti...
risate... passi lenti.
I nuovi silenzi che si creavano diventarono incentivi ad argomentazioni sempre nuove e diverse, interessanti e stuzzicanti, ma a volte avevo l’impressione di dover dire tutto quello che che potevo nel più breve tempo possibile, mi sembrava di avere una maledizione cenerentoliana alle spalle, sebbene la mezzanotte fosse passata da poco e la mia macchina non si fosse trasformata in una zucca, mi sentivo rincorso dal tempo, come se stesse per scadere.
Forse era proprio così, la cosa si sarebbe esaurita in quella stanca serata di inizio estate e allora pensai che non valeva la pena di correre, anzi, più tardi saremmo arrivati al traguardo e più piacere avremmo potuto assorbire l’uno dall’altro.
Arrivammo nei pressi di un bar dalle sembianze accoglienti, con tanto di tavolini e soprattutto con pochissima gente.
-Beh!! Che facciamo? Ti va un caffè?- le chiesi con mezzo piede dentro al bar.
e lei secca rispose -No, preferisco un te caldo-
-Un te caldo?!? Ma siamo in estate!!-
-Lo so, ma per me bere una tazza di te é arbitrario quanto fare l’amore... trascende dalle stagioni..-
Sorrisi... l’amavo... sorrisi.
Bevemmo un ottimo te caldo, sudai in modo indescrivibile e ci incamminammo nuovamente...
passi lenti...
silenzi...
le strade apparivano ai miei occhi luminose e morbide, facili al tatto, quasi di cartone.
Un abbraccio...
Un morbido bacio...
Non perse nessuna scarpetta di cristallo nell’allontanarsi da me.
Fra le mani non mi rimaneva che un nome...
niente più che un’amore che si consuma tra passi lenti e risate...
niente più che un’idea...
niente più che un sapore dolce di un tè preso in modo arbitrario che, come l’amore del resto, trascende dalle stagioni.
©
Marco Attinà
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