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All’odore soltanto
E’ una puzza che è incominciata ieri.
Una mattina serena, con poco traffico. Gli scarichi a volte oscurano i vetri della cucina e la nostra percezione degli odori, ma ieri no. La puzza c’era, e proveniva da me.
Flavia era a scuola, stavo spugnandomi due frollini nel latte col giornale sulle ginocchia. Masticavo i miei biscotti nel tempo, il solito tempo scandito dai notiziari o dal giornale, finché c’è. Continuavano le esplosioni della rete fognaria, ce n’erano state ventisei solo in centro, in tutto il paese proseguiva la guerriglia. E’ questo il tempo, fin quando c’è. Noi stessi avevamo sentito alcuni scoppi, i tombini esplodevano come per un eccesso di pressione. La TV era spenta. Non stavo pensando a nulla . L’odore è venuto su senza preavviso. Sottile, amaro, di macero appena all’inizio.
Ho controllato in frigorifero, tra le verdure, inutilmente. Saliva da me, non da un punto del corpo ma dal corpo, da me intero, da dentro. Per scrupolo mi sono fatto una doccia. Solo per qualche minuto l’effetto si è attenuato, il bagnoschiuma ha intasato brevemente i pori, o le narici, ma già rivestendomi lo sentivo di nuovo, più forte. Ho chiamato Davide al telefono, “Davide. Ce l’ho, ha preso me…”. Il suo attimo di silenzio mi è parso più di sollievo che d’angoscia. Ha preso me, per un po’ non avranno da temere. “Non muoverti da lì, mi ha intimato, Penso io a tutto”.
Lo abbiamo ripetuto sempre: com’è importante rimanere amici. Anche quando Davide sembrava così preso, come avesse trovato un ruolo che nessuno gli aveva conferito. Mi sono barricato nel soggiorno, infilando dell’ovatta nelle fessure. La televisione l’ho lasciata fuori. Col tempo non c’è da fare accordi, una volta incrinato deve spezzarsi del tutto. Subito ho girato a faccia in giù tutte le foto che teniamo sulla libreria, le gite, i compagni di viaggio. Soltanto quelle di Giovanni e di Rossana le ho lasciate così, al posto loro. Di Rossana avevamo detto che era un bene che non avesse avuto figli, la sua fine era stata lunga, all’ultimo il marito poteva parlarle solamente per telefono. La puzza era tale che avevano evacuato gli alloggi circostanti. Invece di Giovanni non si era saputo quasi nulla, era all’estero, un giorno e mezzo chiuso in una stanza d’albergo senza che nessuno capisse che cosa succedeva.
Dopo un paio d’ore già non avevo altro da guardare. I nostri libri stavano lì, quelli che avevamo letto insieme, quelli che avevo immaginato di rileggere un giorno, “quando sarò vecchio, mi dicevo, quando sarò un altro”. Con gli occhi chiusi non riuscivo a stare, sentivo ondate che mi andavano erodendo dall’interno. Era il tempo a rendere inconsueti i miei oggetti?, i quadri, le pipe che non usavo più ma stavano lì ad aspettare …
Flavia e Davide sono saliti insieme. Devono essersi incontrati per strada e lui averla informata, perché si è accostata alla porta e mi ha chiamato piangendo. Le ho chiesto se si sentiva molto, se era ancora sopportabile. Io quasi non me ne rendevo più conto, ma lei non ha risposto. Poi sono andati in cucina, a preparare il caffè. Ne ho approfittato per uscire a dare un ultimo sguardo a Flavia. Attraverso i vetri opachi della cucina ho intravisto il suo rossetto, il rimmel disciolto intorno agli occhi, e me ne sono tornato dentro piano piano.
“Sei uscito di nascosto, m’ha rimproverato Davide tornando col caffè, Non farlo più, può esserci pericolo”, le reazioni degli estranei potevano arrivare alla violenza, aveva ragione. Ma io ero ormai deciso a non venir fuori mai più dal soggiorno, la camera dei nostri piccoli ricordi.
“Meno male che neanche noi abbiamo avuto bambini”, ho sentito la costernazione di Flavia, ma forse non era vero. “Dobbiamo avvertire gli altri. Me ne occupo io”, Davide era lì per occuparsene, è importante che rimaniamo amici, che non siamo soli quando succederà. L’ho udito trafficare al telefono, radunare le sedie, Flavia e io siamo rimasti soli, divisi dalla porta e in silenzio, non so dire se eravamo insieme o già molto lontani.
Di pomeriggio sono iniziati a arrivare gli amici, di tanto in tanto percepivo dei botti, “Le fognature” ho pensato. Le loro frasi erano scontate, “Mi dispiace che sia toccata a te”, “Come possiamo aiutarti?”, io in principio ringraziavo in due parole, poi ho smesso di parlare. Quando c’è stato da darmi qualche cosa si sono ritirati nelle stanze più lontane, così sono potuto venire fuori per prenderla: qualche panino, fogli di carta e matite, sigarette.
I colleghi sono stati compatti, si sono presentati insieme per farsi coraggio a vicenda, dopo le cinque, quando chiudono gli uffici. A un certo punto ho introdotto un biglietto sotto la porta, “Devo andare in bagno”, il “per favore” mi è sembrato superfluo. Devono essersi smarriti per qualche istante, poi Davide “Va bene, ha fatto, Dacci il tempo di organizzarci”. Già, il tempo, ho riflettuto. Si è avvertito uno scalpiccio frettoloso, dopo un paio di minuti “Vai pure” m’hanno detto, la casa era vuota, sono rimasti tutti sul pianerottolo, in attesa.
Rientrando in soggiorno m’è parso di cogliere un singhiozzo smorzato dietro la porta d’ingresso. Mi son portato la pala per i miei bisogni, non mi disturba tenerla con me in camera, poi ci sarà il problema di vuotarla, ma forse non ci arriveremo.
In serata sono giunti i parenti, che vengono da fuori. Udivo le loro chiacchiere, appena soffocate per non disturbarmi, “Per non distogliermi dall’agonia”, ho pensato. Parlavano di tutto, uno s’era aggiustato la casa, altri progettavano vacanze, qualcuno ringraziava il cielo che per Flavia non ci fossero difficoltà economiche. A volte alzavano la voce, senza volerlo. Quando ho appoggiato l’orecchio alla porta ho captato delle allusioni esplicite, “cerimonia”, “ghirlande”, “chiesa dell’Annunziata”. Il vero guaio, lo so, sarà il cimitero. Dovrà vedersela Ernesto, che lavora al Comune e ha le conoscenze necessarie. Dove si può immagazzinare una salma al giorno d’oggi? Quello che è strano è che mi ponga il problema, mi sono detto.
Annamaria è venuta alle otto, e ha portato una maschera antigas. Sono sicuro che l’hanno guardata tutti storto, “Non è una bella idea”, e poi un oggetto del genere può averlo solo chi è in contatto con la guerriglia. Ma Annamaria non si lascia smontare, “Prendila, ha detto a Flavia, Potrai vederlo un’ultima volta”. Flavia l’ha ringraziata a voce bassa, ma io ho sperato che non avesse intenzione di usarla. Piuttosto che la usasse Annamaria, con lei è diverso, come è stato sempre.
A forza di ciance si è fatta notte, di tanto in tanto mi domandavano se avevo bisogno di niente, ho risposto di no tutte le volte, per iscritto. Dopo ho smesso di rispondere. In molti hanno preso ad andar via, “Deve essersi assopito, bisbigliavano, Per il momento ce ne andiamo, Flavia, chiamaci subito se occorre”.
A lei hanno dato di certo un tranquillante, Davide e Annamaria han sistemato le brande in corridoio. Sentivo i loro fruscii, poi un respiro pesante, di sonno, a un certo punto qualcuno si è avvicinato e mi ha infilato dentro una bustina. C’era una polvere bianca, e sopra scritto “Prendila in un po’ d’acqua, se decidi. Non dà alcun dolore”. Ho riconosciuto la scrittura di Davide, la sua efficienza. Che sapesse che non stavo dormendo era sorprendente davvero.
La notte è stata breve, mi sono accovacciato nella mia stessa assenza, solo col primo chiaro ho avuto voglia di aprire un po’ la finestra. Il colpo di aria fresca mi ha costretto a appoggiarmi al davanzale. Qualche passante ha alzato il capo all’insù, ho dovuto richiudere subito.
Col mattino c’è stata un’accelerazione. “Accidenti, è aumentato” mi hanno informato al risveglio, e si sono tenuti a distanza. I primi arrivati suggerivano di chiamare i muratori, “Si potrebbe alzare un muro davanti al soggiorno, come un’intercapedine, progettava qualcuno, Con una piccola feritoia in basso, davanti alla porta”. “Bisogna chiamare un prete, piuttosto”, ma naturalmente Annamaria si è ribellata, “Non azzardatevi a profittare della sua debolezza”. La loro agitazione acuiva il mio distacco, che è fatto di mancanza, ho ringraziato mentalmente Annamaria, perché la sua fermezza escludeva che mi facessero domande.
Flavia ha detto il fatto suo al preside per telefono, ho capito che quello proponeva di mandar qui gli alunni in visita educativa. Mi sono immaginato la scolaresca disseminata per casa, a vociare “Che schifo…”.
E’ passato un bel po’ di tempo, ma non mi andava di inviare altri messaggi all’esterno. Forse per questo ho udito bussare alla finestra. Dai vetri un tale mi osservava con indosso una specie di scafandro, arrampicato in cima ad una scala. Se non avesse avuto lo stemma dell’esercito avrei supposto che era Davide, mi è parso stupito quando mi sono mosso, fissandolo a mia volta. Un pompiere, forse, o un medico militare mandato su a controllare, erano ore che non davo notizie. Preso atto che era presto, ha fatto un cenno di sotto per farsi calare giù ed è sparito. Ho avuto l’impulso di correre a chiedergli “Perché le fogne scoppiano? Dov’è che infilate le vittime della guerriglia, con la crisi delle aree cimiteriali? Dove mettete i cadaveri?”, ma non ne ho avuto la forza, e della sua risposta potevo fare a meno.
E’ stato allora che mi son visto le mani. Le mie solite mani, con la fede a destra e una piccola cicatrice alla radice del pollice, senza alcun segno di putrefazione. La puzza non la sentivo più, e mi ha preso il panico. Che devo fare? Non ci saremo sbagliati? Flavia deve aver smesso di piangere, e assunto una dignitosa compostezza. Davide avrà già organizzato le esequie, manca soltanto l’orario. Mi guarderebbero tutti con sospetto. So che anche Annamaria sarebbe d’accordo. E se poi dopo un po’ mi ammalassi di nuovo, o avessi un incidente?
Stavo spugnandomi due biscotti nel caffè, è stato ieri mattina. Anche quella di oggi si direbbe una giornata limpida, con la finestra chiusa pure le esplosioni restano indefinite, segnano un tempo incerto, di cui non posso far parte. Mi sono seduto sul divano e ho chiuso finalmente un po’ gli occhi. Non so dire se davvero ero lì o già molto lontano…
©
Nicola Lismo
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