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Cyberspazio
“Bravo!”
Era la terza volta che una voce elettronica mi incoraggiava ad andare avanti.
Per tutto il pomeriggio ero rimasto incollato alla play station, rapito da una serie di dvd dell’ultima generazione. Erano di mio figlio.
Nel vano tentativo di sopportare i prodromi di un raffreddore che di ora in ora stava prendendo forza come un ciclone caraibico, dopo essermi imbottito di aspirina, avevo cominciato a gironzolare per casa in cerca di non sapevo neanch’ io cosa. In pigiama, con sulle spalle un vecchio plaid a scacchi, pantofole ai piedi, calzerotti di lana, barba lunga e capelli arruffati.
Avevo provato a leggere, ma i libri che avevo tra le mani in quei giorni erano il risultato di un raptus di puro masochismo: “Platone Politico” e “La parola perduta - tra polis greca e cyberspazio”. Quasi illeggibili in condizioni normali, figuriamoci da uno che aveva, quel pomeriggio, appollaiato sul capo, un energumeno che gli martellava senza pietà le tempie. Per cui dopo aver smanettato sul telecomando l’intera gamma dei programmi tv, avevo iniziato in modo assolutamente casuale e senza apparente ragione ad aprire e richiudere cassetti, poi il frigo, poi il pc e poi a passare in svogliata rassegna i 500 titoli della mia collezione di film in vhs.
In nessun caso avevo trovato qualcosa che potesse destare per più di un attimo la mia attenzione.
Entrai nella camera di mio figlio.
Era incredibile come fosse tutto in perfetto ordine.
Mi ricordai che era in “settimana bianca” e che quindi non aveva potuto ancora distruggere il lavoro che Sisifo, come chiamavo la ragazza delle pulizie, intraprendeva ogni mattina.
I libri di scuola allineati perfettamente sullo scaffale… l’antologia di letteratura poggiata sulla scrivania… la sfoglio, svogliato… le medaglie in bella vista ottenute in varie gare sportive – è un bell’atleta mio figlio – … la sua raccolta di dischetti per la play station. Belli!
Più di una volta qualche anno prima ci eravamo cimentati in accese sfide. Però avevo iniziato quasi subito a perdere senza gloria, per cui avevo smesso presto adducendo la scusa che tutti quei giochini non mi divertivano molto. Quando a scuola gli avevano parlato di Fedro, era tornato a casa, mi aveva guardato dal basso in alto e a bella posta mi aveva sfidato ancora una volta. Alla solita risposta, mi aveva sbugiardato immediatamente paragonandomi alla volpe della favola. Non avevo potuto far altro che confessare, contrito, la mia stizza per le continue sconfitte e chiedere pietà per la mia poca destrezza. Aveva fatto una faccia da commiserazione, ma aveva capito e da quel giorno non avevo più preso in mano un joypad.
Quasi per inerzia avevo acceso la play station e inserito il primo dvd che m’era capitato tra le mani.
Bastarono pochi secondi per farmi rimanere a bocca aperta: in pochi anni l’evoluzione della grafica aveva fatto progressi da non credere e mi resi conto di essere rimasto all’età della pietra cibernetica.
Quasi in trance, iniziai a giocare, giocare, giocare, giocare. Con risultati sempre migliori man mano che cominciavo a capire gli schemi del gioco e prendevo confidenza col nuovo modello di joypad.
Per ore aprii porte, eliminai avversari, salii e scesi di livello, fui ucciso e rinacqui, solcai mari e esplorai nuovi mondi.
Nelle poche pause che mi concessi, misurai la febbre: 38 alle quattro, 39 alle cinque: altra aspirina. 37 e mezzo alle sei, 39 alle sette, 40 alle otto: tachipirina.
Stremato, sudato, e con l’energumeno che ora non si accontentava più di suonare il gong che avevo in testa, ma stava tentando di conficcarmi un chiodo tra parietale e frontale, mi alzai barcollante. Non provai neanche a raggiungere il mio di letto: mi buttai subito su quello di mio figlio e chiusi gli occhi.
Sole accecante.
Al fondo della valle la diligenza fugge tentando di raggiungere il Pecos. Gli Indiani le sono al fianco vocianti. Ringo Kidd spara all’impazzata, Doc Boone è ubriaco e Dallas perduta e bellissima.
Ringo finisce le cartucce. Si butta sul cavallo di destra della terza coppia. Come un acrobata salta poi sul secondo e infine sul primo. Strappona la redine di lato. Gli indiani di fianco sono travolti e la diligenza e’ a ridosso di un dirupo. Si ferma.
Geronimo organizza l’attacco: e’ quello decisivo.
Uno strano richiamo sibila nell’aria e un enorme masso si stacca dalla vetta del picco.
“Beep beep” si ode ora distintamente e Willy Coyote sul masso che travolge gli indiani, impettito, saluta come il capitano che affonda con la sua nave. E si schianta per terra.
Una nuvoletta di polvere si solleva e al suo diradarsi Willy Coyote su una scombiccherata catapulta e’ già pronto a tagliare la fune per lanciarsi imperterrito all’inseguimento di Road Runner.
Devo assolutamente aiutarlo. Ha salvato Dallas, me e tutti gli altri!
La calma e’ irreale.
Raccolgo il mio cappellaccio e mi scuoto di dosso la polvere con gesti misurati. Controllo se tutto e’ a posto: camicia bianca e panciotto di pelle, jeans con gambali sfrangiati di cuoio, gambe ad arco, stivali con speroni stellati, cinturone con la colt a destra. A sinistra un kriss seghettato, mitra a tracolla, zainetto e bandana in fronte.
Road Runner non hai scampo!
Mi avvio lentamente. Accelero. Corro e hop: doppio salto mortale e sono insieme a Willy Coyote sulla catapulta. Taglio la corda con un colpo secco del kriss e veniamo lanciati nel cielo.
Bella parabola!
Lui piomba a terra di schianto a un metro dal Road Runner che strafottente riparte. Io scendo lentamente, salvato dal paracadute dello zainetto.
Allo schianto di Willy Coyote si alza la solita nuvola.
Mentre sono a qualche volteggio da terra la polvere si dirada e Lara Croft fa segno di sbrigarmi. Precipito. Che botto!
Mi libero del paracadute e lei mi prende per mano. Sono intontito.
Risaliamo, io faticosamente lei leggera, una duna di sabbia rossastra, increspata da piccole onde. Sullo sfondo un cielo azzurro sovrastato da una grande luna piena.
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle…”
“Rambo, ma ti pare il momento?”
Cerchiamo di raggiungere un immenso suv nero che avanza lento sul filo dell’orizzonte. Ci avviciniamo, io scivolo.”Porc…Stai attento!” La armi che ho indosso cadendo mandano rumor di ferraglia. Il suv ci guarda con occhi di fuoco, ha un sussulto: si trasforma in serpente e scompare nella sabbia.
Siamo ormai sulla cresta.
Controluna avanza un vecchio biplano rosso.
“Sono innocui, Lara, hanno solo l’anfora a bordo”
E’ sopra di noi e sgancia una cassa.
“A terra, cretino!”
L’esplosione è tremenda: siamo pieni di sabbia, ma salvi.
“A buon rendere, Lara”. “Andiamo, pivello, senza di me saresti in ‘game over’”
Zot!
Un raggio spaziale avvolge Lara e la risucchia in un’ immensa astronave che ci sta sorvolando.
Mi sento perduto senza di lei e mi nascondo aspettando la notte.
Sono mimetizzato in una pozza di fango, mi si vedono soltanto gli occhi sbarrati iniettati di sangue.
Alla mia destra una lunga fila di zombies avanza intonando “Pape satan, pape satan aleppe”. Mi passa a pochi metri. Provo a stenderli. Inutile: cadono e si rialzano. Li lascio sfilare.
Al di là del picco è atterrata l’ astronave che ha rapito Lara. Sembra ancora più grande.
Devo salvarla!
Esco dal fango urlando come un ossesso e sparando all’impazzata. Mi faccio strada abbattendo come birilli centinaia di E.T. . Mi accorgo solo dopo che erano disarmati. Ma Rambo e’ Rambo! E non c’e’ trippa pe’ gatti!
Mi butto sulla passerella presidiata da Vietcong che continuano a spuntare come misirizzi da botole invisibili. Non ne lascio venir fuori uno! “Fanculo! Giap”
Finalmente entro nell’astronave.
Ho tre scelte: un corridoio a sinistra, uno a destra, uno al centro.
A sinistra!.
In fondo, due porte con rispettive targhette: P.D. sì, P.D. no.
Scelgo ancora la porta a sinistra.
Al di la’, a far da parete, una grande ruota si e’ messa in moto e sta lentamente prendendo velocità. Dapprima è formata da quattro spicchi. Mi rendo conto che con l’aumentare della velocità i quattro tendono a trasformarsi in otto, poi in sedici.
Se non mi sbrigo a sceglierne uno, rischio di non avere lo spazio sufficiente per attraversarli e passare oltre.
Mi butto a caso e centro lo spicchio del “Partito Marxista Leninista di ispirazione Confuciana” . E’ uno dei sedici, ormai.
“Ma dove cazzo sono finito?”
“Che ti frega, Rambo, vienimi a salvare, sono qui!”
Travolgo con il lanciafiamme quattro guardiani gelatinosi, con le orecchie di Mastella. Sono le stesse della finta nonna di Cappuccetto Rosso o quelle di Spock ?
“Finalmente libera!”
Affiancati saliamo al sesto livello.
Lara mi da’ da masticare una capsula Matrix.
I guardiani del modulo di comando dell’astronave sono una compagnia intera di Super Mario Bros. Si scatenano.
Vedo arrivare le pallottole ad una velocità incredibilmente lenta e, mentre rispondo con mini bombe ai neutroni, mi bastano un po’ di contorsioni per schivarle.
L’intera compagnia e’ sgominata.
Lara inserisce il suo bancomat nella la porta della sala comandi e in un batter d’occhio siamo dentro.
Ci sediamo su due postazioni di pilotaggio al centro della grande sala a volta.
Allacciamo le cinture, pronti ad accendere i motori.
Le cinture diventano due… tre… quattro e si fissano automaticamente.
Siamo intrappolati.
Il Dr. Szell si avvicina minaccioso con strani arnesi in mano.
“Rambo, se non passiamo al livello successivo, siamo fritti”
“Questo e’ l’ultimo, Lara, non ne conosco altri!”
“C’e’ il settimo: il surreale. Non servono armi per conquistarlo, basta l’immaginazione. Vaiii!”
Partono i motori e il modulo si stacca, con un boato, dalla casa madre.
“Dove andiamo, Lara?”
“Guarda giù Rick, siamo già in un altro mondo. E’ Nexus 6”
Prati, ruscelli, alberi, vette innevate e noi che ci passiamo sopra. Dobbiamo soltanto scegliere dove fermarci.
Guardo Lara, le sorrido, ma improvvisamente capisco: “Lara, tu sei una replicante! Che ci faccio, io, con te?”
“Oh Bellezza, anche tu lo sei. Per cui tutto e’ possibile tra noi”
“Ma quanto ci rimane da vivere?”
“Siamo dell’ultima generazione, Rick. Immortali!”
Le molecole di Tachipirina stanno entrando in circolo…
…devo disattivare la play station…
“David fermati …
…So che qualcosa in me non ha funzionato bene…
…Ho paura David…
…Giro giroo toondoo…
…giiirooo giiirooo tooondooo…”
Tilt.
Buio.
Game over.
©
Alessandro Berardelli
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