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Birillo
di Andrea Mucciolo
Pubblicato su SITO


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BIRILLO



Mio caro amico dell’uomo,
con pazienza attendi,
il mio rientro,
recriminando tu mai.
In te trovai il conforto,
negatomi dai miei simili.





Quando Birillo morì, mia figlia Sara, di otto anni, entrò in crisi. Lui aveva sette anni, quindi erano cresciuti insieme. Non è facile per un padre crescere una bambina senza la madre, e la presenza di Birillo mi aiutò moltissimo. Aveva una tremenda malattia del sistema immunitario. Avrebbe sofferto pene atroci, perciò lo feci addormentare, senza che la mia bambina ne fosse mai al corrente. Birillo era un meticcio, diciamo una specie di Pastore Tedesco, solo più piccolo, ma lo possiamo chiamare Pastore Tedesco proprio a grandi linee, tanto per farci un’idea. È come dire che io sono uguale a Kevin Costner solo perché sono un bianco come lui. Meglio non potrei descrivervelo. Mia figlia Sara, quindi, si chiuse in se stessa. Non parlava mai, non mangiava quasi nulla, non voleva più uscire di casa e passava le giornate guardando vecchie foto del cane. In una di queste c’era Birillo che, con un parrucchino in testa e un paio di occhiali da sole appoggiati sul suo lungo muso, posava accanto a mia figlia mascherata da fata turchina. Vedendo questa foto, mi si lacerò l’animo. Giuro.

“Non abbia paura, le passerà. Tutti i bambini a cui muore il loro amichetto a quattro zampe si comportano così, ma nel giro di qualche settimana tutto passa, si fidi. Le compri magari un altro cane; ecco, questa sarebbe una bella idea!”. Questa era la sentenza del neuropsichiatra infantile da me interpellato, che più che uno psichiatra, sembrava il tenente Kojak in una casa di riposo.
Le passerà. Intanto non le passava affatto. Di prendere poi un altro cane non ne voleva nemmeno sentir parlare: “Voglio Birillo, non un altro, ma Birillo voglio”. Ma certo, no?
Mia figlia era depressa, ma io non stavo certo meglio. Guardarla in quello stato, mi riempiva di malinconia e, sì, di senso di colpa. Cosa stavo facendo per aiutarla? Nulla, non riuscivo a fare nulla.
Tentavo di farla mangiare un po’ di più, ma lei rovesciava il piatto per terra e scappava in camera sua.
La casa, senza Birillo, sembrava esageratamente enorme. Inutile. Vivevamo in una villetta in campagna, una costruzione su due livelli, con un balcone e un ampio giardino. Quanto correva il cane per quel giardino!
Stavo facendo il mio dovere di padre fino in fondo? Cosa avrei potuto fare di più? Sarei dovuto essere forte per mia figlia, ma non lo ero.
Sara era quasi anoressica, non frequentava più nessuno e io, non riuscivo a fare nulla
Dovevo forse farle prendere dei farmaci? Doveva forse morire anche lei?
Se Veronica fosse stata ancora viva, le cose sarebbero andate diversamente, lo sento. Ma Veronica non aveva in pratica neanche conosciuto Sara. Morì due giorni dopo il parto. Due valvole cardiache non le funzionavano correttamente. I medici le avevano detto che era da pazzi avere una gravidanza in quello stato.
Ora era tutto sulle mie spalle.

Quando avemmo raggiunto il fondo, scendemmo ancora più in basso.
Mia figlia Sara, iniziò a parlare da sola. Un giorno passavo vicino la sua camera e sentivo che bisbigliava qualcosa. Aprii poco poco la porta, e la osservai mentre diceva qualcosa al muro. Non ebbi il coraggio di domandarle nulla, richiusi la porta e me ne andai in cucina. Perfetto, ora parlava anche da sola! Fosse stato solo il parlar da soli passi pure, i bambini a volte lo fanno. Ma a questo seguirono altri eventi che mi fecero venir voglia di sotterrarmi.
Sara, giocava a palla. Che c’è di strano? C’è di bizzarro che non si limitava a tirare la palla in aria per poi riprenderla come fanno tutti, no, lei la tirava in fondo al giardino, e poi aspettava che qualcuno gliela riportasse. Qualcuno? Ma la palla non le veniva mai riportata, così lei diveniva tutta rossa, e sbottava dicendo: “Uffa! Ma perché non la riporti?”.
A volte poi correva per il giardino ridendo, come se stesse scappando da qualcuno. Si nascondeva magari dietro un albero, per poi uscir fuori di scatto e ricominciare la sua corsa solitaria.
Che voleva dire tutto questo? Che fingeva che Birillo fosse ancora assieme a lei? Beh, ci sarebbe voluta una bella dose di immaginazione. E quindi? Che volevo dire con ciò? Volevo forse dire che…
’Ma certo, tua figlia sta nell’anticamera della schizofrenia e tu, invece di mantenere la tua sanità mentale, ti viene voglia di pensare che il cane sia veramente con lei! Bravo, 10 e lode! Se per favore mi dici la tua taglia, ti faccio preparare una bella camicia…’
Io sono un uomo razionale, rifletto sugli eventi che mi si presentano…
‘Sì, sì, bravo, continua a riflettere, fino a che il cervello non ti marcisce… intanto tua figlia non si sa bene dove collocarla…’
Allora mi feci coraggio, e andai da Sara: “Sara, mi dici con chi parli e giochi tutto il giorno?”
“Ma con Birillo no!”. E certo, potevo anche capirlo da solo, no? E che diavolo!
Bisognava comunque dire, che mia figlia, da quando parlava da sola, era molto migliorata. Mangiava con appetito e rideva sempre.
Un giorno mi disse: “Papà, ma perché non compri mai da mangiare per Birillo? Lui ha tanta fame, corre tutto il giorno”. E così, comprai da mangiare per Birillo! Solo che lui non mangiava mai e io, la sera tardi, buttavo tutto il contenuto della ciotola nella spazzatura.
Una volta, ero esasperato al punto tale che mentre mia figlia lo stava ‘accarezzando’, mi avvicinai ed esclamai: “Fammi un po’ toccare questo cane!”
“Papà! Gli stai ficcando un dito in un occhio!”. Scappai via come un contestatore disperso dalla polizia.
Quando la osservavo, sembrava tutto così reale, sembrava come se il cane fosse stato veramente lì con lei. Era ciò possibile? Qualche fatto soprannaturale?

‘Ancora? Ah ma allora insisti? Tu non sei normale sai… avrai di sicuro un serio problema di capoccia perché…’
Bastaa!! Zitta, devi stare zittaa!!

Si era azzittita. Si può far tacere la coscienza?


……………………………….



Un pomeriggio di giugno, stavo sul balcone pulendo le tegole del tetto dagli aghi di pino, l’aria era calda, afosa, le cicale si stavano svenando in un canto senza note, un canto di morte premonitrice. Ero da poco salito sulla scala, quando un Mastino Napoletano scappato da non so dove, si introdusse nel mio giardino e puntò, non so per quale assurda ragione, al collo di mia figlia.

Non gli fu concesso di avvicinarsi a meno di dieci centimetri dal collo di Sara perché, non appena raggiunta detta distanza, venne, non è dato sapere in base a quale legge fisica, scaraventato indietro. Tentò nuovamente una seconda volta ma, non solo fu di nuovo buttato all’indietro, ma questa volta, non appena fu a pancia all’aria dopo la caduta, rimase immobile, con le zampe verso l’alto. Io, da consueto imbecille pusillanime, non ebbi neanche il nerbo o la prontezza di scender giù, ma rimasi col volto sbiancato, ad osservare la scena.
Il mastino giaceva sempre immobile mentre mia figlia, rimasta a pochi metri dal cane, urlava frasi a me incomprensibili. Il mastino cominciò ad emettere dei latrati strazianti. Ogni tanto il suo corpo sussultava. Dopo un po’, dal suo collo cominciò a fluire sangue. Il cane ululava in maniera tale da far capire che era allo spasimo. Ormai dal suo collo zampillava così tanto sangue da sembrare la fontana delle Novantanove Cannelle. Finalmente, il cane si placò. Ora era inerte sul serio. Con le gambe all’aria, aveva un’aria quasi comica, sembrava un insetto morto stecchito. Alla fine, trovai la forza di muovermi, e scesi giù quasi volando, verso mia figlia.
Giunto sul luogo del delitto, in preda a un delirio di probabili spiegazioni, lo vidi.
Era fermo, accanto a mia figlia, che lo stava abbracciando accucciata per terra. I suoi occhi, occhi quasi umani, penetravano i miei. Mi avvicinai. Avevo paura. Sollevai una mano e… lo accarezzai sul muso. Percepii un corpo solido, reale, vivo. Riuscii a sentire il suo tartufo umido, proprio come doveva essere. Ad un tratto il cane si fece traslucido, e attorno a lui si levò una luce azzurra. Si fece via via più cristallino e, prima di dissolversi del tutto… mi sorrise! Lo so, i cani non sorridono, ma lui sorrise!

Birillo era stato fatto tornare per aiutare mia figlia, e aveva trovato la forza e il coraggio di lottare e sconfiggere un cane grande il doppio di lui. Una grande prova d’amore e d’altruismo.

Di tanto in tanto, sento ancora mia figlia parlare da sola. Ma in realtà, so che non parla da sola. SO che non è pazza.
Forse non mi crederete, penserete che io sia veramente alienato, ma io so di aver visto Birillo. Lo so perché…vedete, io… ho sentito il suo tartufo umido!

© Andrea Mucciolo





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