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Doctor U
di Maurizio Cometto
Pubblicato su PBSA2008


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Dedicato e ispirato al
Doctor Who interpretato da Tom Baker,
l’unico mai arrivato in Italia

Jean si avvicinò a quella specie di grande piatto. Non c’erano dubbi : sembrava proprio un Ufo. Spostò lo sguardo dalla scritta all’elica, la quale in quel momento si arrestò ; d’istinto lasciò cadere lo zainetto, sostenendosi alla sua bicicletta.
Il silenzio era quasi perfetto ; si udiva solamente il lontano brusio della statale, dall’altra parte del torrente, e lo sciabordio dell’acqua che scorreva tra i sassi. Era quasi l’una del pomeriggio di una calda giornata di fine maggio ; tornando da scuola, Jean aveva allungato un po’ la strada per passare da lì. Ci veniva molto spesso a pescare le trote salmonate.
Il disco aveva un diametro di circa sei metri e si appoggiava su quattro gambe metalliche. Sul bianco uniforme dello scafo spiccava la scritta ‘BACK TO THE FUTURE IV’.
D’un tratto ci fu come un ronzio : Bzzzzzz. Jean s’immobilizzò, trattenendo il respiro. Sulla sommità del disco, lentamente, si stava sollevando un portellone. Bzzzzzz - TLAC ! : portellone spalancato.
Quasi subito là in cima emerse un uomo. Aveva una gran massa di capelli ricci e un viso dall’aria sorniona ; indossava un logoro cappotto e una sciarpa chilometrica. Jean rimase a bocca aperta.
“Sarah !”, chiamò l’uomo d’improvviso, gettando un’occhiata nell’apertura. “Vuoi sbrigarti, maledizione ? E’ una bellissima giornata, ma proprio non riesco a capire dove siamo finiti”. Volse lo sguardo tutt’intorno. “By Jove !, speriamo solo che non ci siano complicazioni. Non vorrei mai rimpiangere, un giorno, quella dannata cabina telefonica”.
Di fianco all’uomo emerse una ragazza. Aveva lunghi capelli scuri e un bel viso simpatico ; indossava un pull - over grigio sopra una camicetta bianca. Sorrise raggiante. “Beh”, esclamò, ammirando il panorama, “anche se non fossimo a casa, non sarebbe comunque così male”.
L’uomo scavalcò il bordo dell’apertura e poi, afferrandosi ad appositi sostegni, discese cautamente fin sul margine del disco ; dopodiché, proprio in corrispondenza della ‘K’ di ‘BACK TO THE FUTURE IV’, fece un gran balzo piombando sull’erba.
Fu il turno della ragazza. Ripeté i movimenti del compagno, finché non giunse a bordo disco. Di lì a terra c’era un metro di vuoto. “Doctor, ti prego...”, implorò. L’uomo allora le si avvicinò, la prese tra le braccia e, oscillando avanti e indietro e imprecando malamente, riuscì a depositarla sull’erba.
“Sarah, per Dio, ti trovo più pesante del solito. Non sarai mica ingrassata, spero ?”
“Oh, Doctor... Non ricordi da dove veniamo ? Qui sulla Terra la gravità è di almeno due volte superiore...”
“By Jove !, hai ragione. Sempreché si sia davvero sulla Terra, e soprattutto nella nostra cara, vecchia Albione”. Proprio in quell’istante, voltandosi, si accorsero di Jean. Dapprima la sorpresa li immobilizzò ; poi si girarono l’uno verso l’altra, scambiandosi un’occhiata significativa. Infine si mossero verso di lui, lentamente, sorridendo e con le mani bene in vista. “Salve !”, esclamò l’uomo. Jean fece un passo indietro.
“Well, well, hai ragione”, sorrise. “E’ una strana situazione, davvero non posso negarlo. Ma stai tranquillo, non siamo degli alieni in incognito ; siamo uomini in carne ed ossa, noi, così come dovresti esserlo tu. O almeno lo spero...” Jean lo fissava stranito. “A proposito, mi vuoi spiegare dove diavolo siamo ?”
Jean aggrottò le sopracciglia, senza accennare una risposta.
“Avanti !”, esclamò la ragazza. Si chinò e gli sorrise. “Io sono Sarah e lui è Doctor U, Doctor per gli amici. Un nome strano, il suo, vero ? Del resto è un tipo un po’... ehm... un po’ bizzarro, ecco”, si voltò verso Doctor e gli fece una smorfia. “E tu, invece, come ti chiami ?”
Jean sembrò sul punto di dire qualcosa ; però dovette ripensarci, perché rimase silenzioso. Sarah allora si rialzò, si volse verso Doctor e allargò le braccia, sconsolata. Poi si allontanò, seguendo rapita il volo di una farfalla.
Doctor e Jean rimasero soli, e per qualche secondo si studiarono. “Sei un tipo taciturno, eh ?”, fece Doctor dopo un po’. “Vieni, ti racconto la nostra storia : forse così riuscirai a scioglierti”. Raggiunse un grande salice e si sedette sull’erba, appoggiandosi al tronco con la schiena. “By Jove !, le mie povere giunture. Sarah !”, urlò d’improvviso, “non allontanarti troppo. Non siamo ancora certi che questa sia davvero la Terra”.
Jean l’aveva subito seguito, lasciandosi dietro la bicicletta. Ma rimase fermo in piedi, ad un paio di metri dall’uomo.
“Ah , sapessi quante ne abbiamo passate !”, cominciò Doctor. “Qualche tempo fa, per esempio, l’intera Londra fu messa a ferro e fuoco da una specie di robot impazzito. Forse lo ricorderai, era su tutti i giornali. Well, chi credi sia riuscito a fermarlo ? Io, naturalmente : il grande, l’inimitabile Doctor U. In seguito riuscii a trasformare un’innocua cabina telefonica in una macchina del tempo. Un giochetto da ragazzi, te l’assicuro. Dunque ci mettemmo in viaggio ; ma qualcosa, purtroppo, andò storto. Non sto a raccontarti tutte le peripezie, sarebbe troppo lungo ; sappi soltanto che, grazie a certi difetti della cabina telefonica - funzionava un giorno male e il giorno dopo ancor peggio - e, soprattutto, ad un amico un po’ imbecille - anzi, un po’ troppo imbecille -, finimmo col perderci nei meandri dello spazio - tempo. Non riuscivamo più a ritrovare la strada di casa ; e anzi, quando pensavamo di esser giunti, finalmente, sulla Terra dei nostri giorni, scoprivamo con sgomento che si trattava invece di una possibile Terra dei nostri giorni, differente in qualche particolare - piccolo o grosso a seconda dei casi, ma sempre e comunque stupido - da quella originale. Una Terra alternativa in una Dimensione parallela, insomma. E in tutti questi posti c’era sempre un alieno ostile o un Dio impazzito, da combattere e sconfiggere perché poco disposto a lasciarci ripartire. By Jove !, neanche fossimo stati i protagonisti di una pessima serie televisiva !”. Prese a contemplare, con aria pensierosa, un lembo della sciarpa ; lembo che, mentre parlava, aveva continuato a lisciare senza posa. “Una volta, per esempio”, continuò, “su una stazione spaziale orbitante ci imbattemmo in una specie di epidemia, che trasformava gli esseri umani in schifosi formiconi giganti. Per fortuna riuscimmo a fuggire in tempo, prima cioè di contrarre il morbo anche noi, altrimenti... te l’immagini il sinuoso corpo di Sarah trasformato nell’addome di un insetto ? Dreadful !”, fece una smorfia di disgusto. “In un’altra occasione capitammo in un posto, invece, dove giravano certe mummie da far spavento. Obbedivano agli ordini del gran dio Seth, il quale viveva in un’altra dimensione, raggiungibile attraverso un sarcofago egizio. Dovetti perfino risolvere una sorta di enigma, per salvare l’adorabile pelle di Sarah ; enigma che pareva uno di quelli che tanto appassionavano Lewis Carroll. Fu la mia vittoria più bella, la ricordo ancora con piacere. Seconda soltanto, forse, a quella contro il mostro di Loch - Ness ; il quale non era un dinosauro sfuggito all’estinzione, ma bensì il giocattolo di certi alieni venuti dallo spazio”. Fece una pausa, durante la quale si immerse le mani nella gran massa di capelli crespi, come per frugarvi in cerca di qualcosa. “Dopo tutta questa serie di avventure”, riprese, “cominciavamo a sentirci un po’ stanchi. Avevamo nostalgia di casa, della nostra cara Inghilterra. E finalmente la fortuna si decise ad aiutarci. Un bel giorno, infatti, finimmo su un pianeta stranamente pacifico ; sembrava proprio la Terra, e ricordava l’America del vecchio West. Conoscemmo un signore dall’aria stralunata, un certo dottor Lloyd, che di mestiere faceva l’inventore ; e, by Jove !, quando gli parlai della macchina del tempo non si stupì per niente ! ; anzi, crollò le spalle con aria modesta, dicendo che lui l’aveva già inventata e pure costruita. Inventata e costruita, ti rendi conto ? E oltretutto in diverse versioni ! Non ho mai capito come abbia potuto fare, con i pochi mezzi che aveva a disposizione. Comunque, mi mostrò l’ultimo modello : è quello che vedi lì a fianco, con cui siamo giunti fin qui. E’ una macchina a flusso canalizzatore ; come carburante utilizza semplici rifiuti organici. Davvero un genio, quel dottor Lloyd. Proposi un baratto : la mia cabina telefonica per il suo ultimo modello. Ovviamente non accennai ai difetti ; ma del resto che bisogno ne aveva, lui, di una macchina in buono stato ? Per fortuna accettò. Ripartimmo subito, giusto il tempo di salutare ; e adesso eccoci qua, finalmente a casa. Abbiamo tarato le coordinate di arrivo sull’Inghilterra del 1978 dopo Cristo. E’ dove siamo adesso, no ?” Doctor si rialzò, stirandosi con fare gattesco. Nonostante il caldo continuava a tenere il cappotto, e la sciarpa gli pendeva giù dal collo come un boa.
“Allora, piccolo, vuoi farci strada verso il paese più vicino ? E dimmi un po’, è tanto distante da Londra ?”
Per tutta la durata del racconto Jean era rimasto immobile. Ora parve raccogliere le forze ; e con l’aria di chi ha preso un’importante decisione, si avvicinò a Doctor e finalmente parlò.
“Je n’ai pas compris vos mots”, disse. “Je suis anglais. Vous etes en Angleterre, ici on parle anglais”. “Non ho capito le vostre parole. Sono inglese. Siete in Inghilterra, qui si parla inglese”.
Doctor strabuzzò gli occhi. Prima di rispondere si grattò a lungo la testa, le labbra tirate in una smorfia che mostrava tutti i denti.
“Comment ?”, proruppe. “En Angleterre ? Tu veux dire en France, plutot, ou on parle francais...”. “Come ? In Inghilterra ? Vuoi dire in Francia, piuttosto, dove si parla francese...” Doveva essere anche poliglotta.
“Non, non : en Angleterre, ou on parle anglais. L’Angleterre !”. “No, no : in Inghilterra, dove si parla inglese. L’Inghilterra !”, Jean fece un gesto molto vago con le mani, come a indicare la forma di qualcosa. Poi parve colto da un’idea. Si volse e raggiunse lo zainetto, che aveva lasciato sull’erba poco indietro. Ne tirò fuori un grosso volume con la copertina cartonata : un Atlante. “Voilà !”, esclamò sorridendo. Doctor l’aveva già raggiunto. Jean aprì il volume ad una certa pagina e poi, con aria di superiorità, fece segno a Doctor di chinarsi a guardare.
“Ici c’est la France, ici l’Angleterre, tu vois ?”, spiegò, viaggiando con l’indice su una carta dell’Europa. “Qui è la Francia, qui l’Inghilterra, vedi ?” E la Francia era proprio la Francia, e l’Inghilterra proprio l’Inghilterra. Jean ripose l’Atlante nello zainetto.
“Sarah !”, chiamò Doctor.
La ragazza, a poche decine di metri di distanza, era china sul prato ; pareva intenta ad osservare alcune margherite. “Cosa c’è ?”, strillò. Doctor le fece bruscamente segno di raggiungerlo. “E subito !”, ululò.
Sarah accorse in fretta. “Che succede ?”, chiese. Aveva le guance leggermente arrossate.
“Che succede ? By Jove !, e ha anche il coraggio di chiedermelo ! Invece che saltellare gioconda come una quindicenne innamorata, potresti almeno esser presente nei momenti più opportuni, no ?” Prese a camminare avanti e indietro, sguardo verso il basso, le mani immerse nella selva di capelli. “Lo sapevo, io, lo sapevo che non c’era da fidarsi di quel pazzoide di un dottor Lloyd. Del resto, in cambio di una lurida cabina telefonica, che si poteva pretendere ?”
“Mi vuoi spiegare, accidenti ?”, protestò Sarah.
“Well, well, ti accontento subito”. Si fermò e posò sulla ragazza uno sguardo limpido e infuocato. “Dovevamo arrivare, finalmente, nella nostra beneamata Inghilterra del 1978, no ? Beh, eccoci qua : Inghilterra del 1978, pronti e serviti. Ma... c’è un ma. Perché si tratta di un Inghilterra in cui si parla il francese !”. Un alito di vento fece dondolare i lembi della sua sciarpa. “E ci scommetterei la testa che in Francia, invece, si parla un inglese in puro stile cockney”.
“La solita Dimensione parallela ?”
“Proprio così : la solita, maledetta Terra alternativa di un’altrettanta solita, stramaledetta Dimensione parallela !”.
Calò un breve silenzio. Doctor si sedette sull’erba, con fare molto tranquillo. D’un tratto una vespa cominciò a ronzargli intorno : pareva incuriosita dalla gran massa di capelli. Doctor sembrò non badarvi ; poi, con un gesto improvviso ed inconsulto, la mandò al tappeto con una potentissima sberla.
“Quel dottor Lloyd...”, fece Sarah dopo un po’.
“Già, quel furbastro di un dottor Lloyd. E dire che pensavo di averlo fregato...” Si alzò tutto d’un tratto, corse verso il disco e prese a tempestarlo di pugni. “Maledetto catorcio !”, urlava. Ce l’aveva in particolare con la ‘B’ di ‘BACK TO THE FUTURE IV’. Quando si fu sfogato abbastanza si allontanò di qualche metro, così da poterlo contemplare nella sua interezza. “Certo, certo, maneggevole e confortevole fin quanto ti pare”, proferì. “Anche economico, non voglio, anzi, non posso negarlo. Ma riguardo l’affidabilità...”.
Sarah lo raggiunse e lo cinse in un abbraccio : “Su, su, non prendertela così”. Doctor appoggiò la testa sulla spalla di lei, la faccia inespressiva rivolta verso Jean. “In fondo ci siamo abituati, no ?”, continuò Sarah. “E poi non vedo né mummie né formiconi, in giro, per una volta possiamo stare tranquilli. Perché non ne approfittiamo, invece, per una romantica gita a Parigi ?”
“Una romantica gita a Parigi ?”, Doctor alzò il capo e la guardò.
“Beh, visto che in Francia si parla l’inglese...”
“Oh la la, mademoiselle, non conoscete il francese ? Da una gentildonna come voi, tanto comme - il - faut, non me lo sarei mai aspettato”. Si staccò da lei. “E’ soltanto una mia ipotesi, comunque, che in Francia si parli l’inglese. Sai, queste Dimensioni parallele hanno in genere caratteristiche di simmetria. E, by Jove !”, prese un’aria perplessa, “non mi stupirei se, per esempio, in Italia si parlasse il tedesco e in Germania l’italiano...”
“Ho capito che vuoi dire. Nelle colonie il russo e a Mosca l’inglese d’oltreoceano...”
“Well, ogni tanto dimostri un barlume d’intuizione”. Sorrise esaltato : “Propongo una gita a Londra ! Che ne dici di un giretto per la Torre modulando La Marseillaise ?”
“E tu che ne dici, invece”, incalzò Sarah, “di quattro passi sur les Champs - Elysées intonando a squarciagola God Save the Queen ?”
Si guardarono negli occhi e ruppero in una sonora risata.
Jean li stava osservando con aria divertita. Faceva molto caldo ; Sarah già da un po’ s’era tolta il pull - over grigio, e adesso lo teneva annodato in vita. Doctor, invece, non accennava né a sbottonarsi il cappotto né a sciogliere un poco la morsa della sciarpa. La sua fronte era cosparsa da un velo sudore.
“Well, sarà meglio che torniamo al disco, allora”, disse dopo un po’. Per primo s’arrampicò lui ; e ci fu un momento, mentre tentava di issarsi sullo scafo, che a causa della sciarpa, d’evidente impiccio, non ruzzolava per terra. Fortuna che Sarah gli era dietro ; in quell’occasione, infatti, lo sostenne dicendogli : “Eh, caro Doctor, viaggiare nel tempo significa invecchiare !”, e Doctor di rimando : “Après moi le déluge...”.
Raggiunsero la cima del disco e si calarono nell’apertura. “By Jove !”, esclamò Doctor, “non abbiamo neppure salutato Jean ! Sai qual è la cosa che più mi ha fatto imbestialire ?”, si volse verso Sarah. “L’aver raccontato le nostre avventure ad un moccioso che non stava capendo neppure una parola. Ah !, queste Dimensioni parallele !”.
Doctor sventolava i lembi della sciarpa, Sarah si sbracciava in segno di saluto. “Adieu, mon ami. Et rappel : tu as rencontré le légendaire Doctor Ou... Tu aura quelque chose de conter à tes petits - enfants”, urlò Doctor. “Addio, amico. E ricorda : hai incontrato il leggendario Doctor U... Avrai qualcosa da raccontare ai tuoi nipoti”.
Scomparvero nell’apertura. Bzzzzzz, lentamente il portellone si andava richiudendo. Ma le loro voci, sempre più fievoli, filtravano ancora.
“Andiamo a Parigi, allora ?”, Sarah.
“J’ai dit Londre, et Londre sera !”, Doctor.
“Les Champs Elysées !”
“La Torre di Londra, e questo è quanto”.
“La marsigliese !”
“Sbagli, cara, sbagli. Dovevi dire : Que Dieu Sauve la Reine...” ...bzzzzzz - TLAC ! : fine delle voci.
Si udì un rumore sibilante, sordo ; l’elica cominciò a turbinare, sempre più in fretta, vorticosamente. Jean, ritto di fianco alla sua bicicletta a una decina di metri, fu investito da una raffica d’aria calda. FrrrrrrrrRRRRRRRR !, il disco traballava tutto ; fremeva e vibrava come una pentola in ebollizione. D’un tratto parve che l’aria lì attorno, divenuta come palpabile, fosse percorsa da frammenti di cenere. Poi ci fu l’esplosione, e mancò poco che Jean non finisse disteso sull’erba ; e dove c’era stato il disco adesso c’era solo più erba in fiamme, fiamme che ben presto si esaurirono sotto gli occhi sbigottiti del ragazzo.
“Doctor Ou...”, pronunciò Jean, come recitando a memoria. “Doctor Ou... Doctor Ou...”. Poco dopo era già in sella, a rotta di collo verso casa.

© Maurizio Cometto





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