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Pablito mio, tu ancora non mi conosci e forse ti sembrerà strano che sia proprio io a scriverti una lettera d'amore. Già, perché d'amore si tratta, non di affetto, non di amicizia, non di necessità. Io non ho bisogno di te, non ne ho mai avuto. Da trent'anni che vivo, ho condotto questa mia esistenza a volte bianca a volte nera, ma ti giuro mai grigia, senza il pensiero di averti. Non mi chiedevo dove tu fossi, né perché eri così lontano. C'era un tempo Pablo, e te lo racconterò, in cui la vita mi sembrava magnifica, stupefacente, col suo continuo gusto della scoperta, della conquista di nuove verità. In quel tempo ero solo un germoglio, un seme rigonfio di speranze coloratissime, mi lasciavo trasportare da ogni vento ed ero libera. Ma anche tu lo sarai, sarai libero da ogni condizionamento. Ti farò rifuggire l'uomo della “procedura” che si annida insidiosamente nel palmo delle troppe mani che stringerai. Non crederli Pablo, evitali dopo la prima parola che segue il saluto, quello sì, potrai darlo a chi vuoi. Non ti porrò limiti perché te li creerai da solo per poterli abbattere e ridisegnare. Sì, Pablo, ti sembrerò folle, ma scoprirai presto che la normalità da noi è più un concetto astratto che una condizione di vita, un concetto al quale tendiamo e col quale stiliamo classifiche e tracciamo categorie. So già cosa pensi, Pablo! Ti stai chiedendo quando comincerò a parlare dei miei sentimenti. Ebbene sì Pablo io ti amo, ti amo per il cristallino del tuo occhio, acqua marina che ho bevuto a gran sorsi perché tu potessi avercelo nel sangue il sale della vita. Non leggere tutto Pablo, piuttosto viaggia, viaggia per il mondo, scopri cosa si annida all'angolo di un vicolo deserto, scopri il rumore di una piazza troppo affollata, cerca il sorriso della donna sfuggente. Bagnati le ossa, fallo sotto i temporali, sotto le piogge d'aprile, nelle domeniche inopportune. Corri molto, corri sotto il sole d'agosto, prosciugati la lingua, allegati i denti. Sii sfrontato con la vita, chiedile sempre il resto, e lo sconto. Non vergognarti della fame e della sete, non vergognarti d'essere un uomo. Io non ci sarò sempre, tu già lo sai, sai che il mio sguardo ti seguirà come l'aquila dall'alto, sai che sarò gelosa dell'estraneo, della scolaretta imbrattata, dell'animo ingenuo. Sai che ti amerò come la luna di giorno. A volte, non nego, mi sono pentita. Il tuo nome era troppo pesante, la tua presenza incessante, il tuo sangue un veleno quasi mortale. Mi volevi stare accanto, mi afferravi le mani, mi pregavi di non lasciarti, piangevi per il mondo, mi desideravi nel pianto e nel riso. Ho fatto di tutto per renderti selvaggio, poco sensibile agli affetti, ma non ci sono riuscita. Tu me lo leggevi in faccia il sorriso di panica accoglienza, avrei accettato tutto da te, tutto tranne che stupido dolore, inutile violenza, e l'arma doppia dell'ignoranza. Non farti trascinare dalle mode del momento, abbandona tre soldi per strada come se non fossero i tuoi. Lanciati nel mare in tempesta, piangi in silenzio, o nel buio della tua camera affollata di gente. Sii al di sopra delle parti come un giudice imparziale quando non le hanno ucciso la figlia. Non lamentarti troppo, soffri il male, soffri il bene, bevi il calice rosso, sorseggia il bianco. Ti ho perduto quando apristi gli occhi. So che sarà dura la lotta per capirci, sarà dura la battaglia che vado a incominciare; perché sono io Pablo che vengo a disturbare il tuo sonno chiamato niente, sono io a lanciare la sfida. Tu sì, sei nato tempo fa in un angolo della mia mente, sei nato come un desiderio che pian piano è divenuto immagine. Ma non ti bastava aleggiare come una purissima potenzialità, volevi nascere, nascere per forza, nascere nella carne che fa di un uomo un vero uomo. E così eccomi qua, a darti un senso, a darti forma, con un miracolo chiamato amore. Benvenuto figliolo, accomodati alla vita!
©
Daniela Del Core
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