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Fuori Piove
di Fabio Martense
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Un bagliore di lucciola si levava debolmente dall'asfalto battuto dalla pioggia, mentre suole gommate ne tormentavano impietosamente la superficie lurida e amorfa. Non era certamente la serata adatta per una passeggiata con quella penetrante umidità ed il fetido olezzo della periferia,ma certa gente non ha davvero il senso della decenza e tende a trasformare ogni abitudine in un rituale che non ammette variazioni. La deprimente routine che ha ingoiato e uniformato l'umanità civilizzata del nostro secolo ha finito per trionfare sull'istinto e, certamente, anche sul buon senso. La signora Marani è una di queste infelici creature, troppo miope per vedere oltre il suo naso e troppo spaventata per poter prendere anche solo in considerazione la possibilità di provarci. Nessuno si chiede per quale motivo questa nostra sorella barcolli goffamente sulla strada, spingendo avanti le grasse gambe, troppo corte e troppo gonfie per dare quella vaga idea di naturale proporzione che si nota in quasi ogni altro essere vivente. Un passo dopo l'altro,percorre stancamente la lunga via, scivolando come un'obesa pantera dalla penombra alla fioca luce dei lampioni... un fantasma che si staglia sulla sagoma dell'eterna luna piena, viandante venuta da chissà dove, macchina specializzata in fragorosi starnuti e imprecazioni contro quel maledetto cielo che continua a regolare la vita dello stupido pianeta su cui la nostra signora ciondola.

La pungente pioggia invernale non e' una barriera sufficiente a fermare la notturna passeggiatina di Maria ... e' una baleniera tra i ghiacci artici, può cigolare un poco, perdere un po' di petrolio ogni tanto, ma la rigida calotta di ghiaccio finira' sempre per cedere sotto la sua imponente prua, lasciando la strada libera a quell'immaginario percorso segnato con minuziosa noncuranza tra le sue stropicciate carte nautiche.

Suo marito non l'accompagnava più da anni nelle sue uscite in cerca di aria fresca, da quando più o meno il suo sedere aveva cominciato a superare le dimensioni di tutto il resto del corpo, crescendo come un fungo gigantesco che si nutre di arrosto e di delusioni. Non avrebbe saputo dire se si trattava più di imbarazzo o di pigrizia e nemmeno le importava saperlo, è così che vanno le cose e lei lo accettava con stoica indifferenza.

Il vecchio campanile suonò senza troppa convinzione la mezzanotte, andando a scuotere con le sue odiose onde sonore l'immoto e solido gelo della notte. La pioggia si faceva più fitta di minuto in minuto ed il precario ombrello a fantasia floreale, picco d'eleganza dei supermercati Hoener, passò improvvisamente al nemico, lasciando filtrare pesanti gocce di fluido.

Altre imprecazioni sgusciarono veloci tra i denti ingialliti mentre un fazzoletto in seta sintetica accorreva disperato ad assorbire l'acqua insinuatasi tra le grasse pieghe di quel corpo antropologicamente femminile.

"Dannati i temporali, dannati gli ombrelli a poco prezzo e dannati tutti i ciarlatani metereologi, branco di inetti maghi del ventunesimo secolo".

Maria alzò il volto al cielo ignorando le pesanti colate di fondotinta che scorrevano come mefitici torrenti sulle ruvide guance, fissò con ostilità l'immenso buio che aveva inghiottito il tenue pallore delle stelle.

Se ancora avesse posseduto un briciolo di sensibilità, se solo avesse conservato un frammento di quella meraviglia che l'illuminava qualche migliaio di anni prima e che, con l'incedere impietoso del tempo, aveva seppellito lentamente nelle viscere del suo cuore stremato, avrebbe potuto ancora stupirsi, fremere di reverenza, terrore o semplice rabbia per quell'immensità che la sovrastava cinica e indifferente,al cui confronto non era nulla più che un'insignificante, microscopico agglomerato di atomi sovrappeso. invece vide solo il cielo, come se non fosse stato altro che un telone dipinto creato all'unico scopo di evidenziare lo scenario in cui lei goffamente si muoveva, respirava e continuava a vivere con ostinata ottusità.

Non era a questo genere di cose cui pensava Maria mentre prendeva la strada del ritorno, le prediche di don Mario erano già abbastanza astruse per lei senza dover ulteriormente complicare l'ingenua visione che aveva della vita con cervellotiche teorie prive, del resto, di ogni fondamento.Era la cena il suo unico pensiero, i piatti da lavare e quel fannullone di suo marito da rimproverare, all'infuori di questo non esisteva null'altro e se anche il mondo intero fosse consistito in quell'unica, umida strada non glie ne sarebbe importato un fico secco.

Nel giro di mezz'ora la baleniera entrò in vista del suo porto, quello a cui faceva scalo per sempre più lunghi periodi di tempo, per caricare i rifornimenti e appiccicare qualche saldatura qua e là, dove più si facevano fastidiose le infiltrazioni d'acqua.

Il portone di legno del vecchio condominio testimoniava l'ascesa e il declino del fascismo, con particolare enfasi sul secondo periodo, ostentando vigliaccamente un'altro annuncio dell'amministratore che "invitava i gentili inquilini a curarsi maggiormente del giardino".

Non era la prima volta che quei beffardi foglietti accuratamente incellofanati comparivano qua e là sui muri ingialliti del vecchio palazzo, pareva che quel vecchio pederasta si divertisse un mondo a stampare stronzate su stronzate e Maria aveva più volte pensato che erano il modo migliore per compensare le altre mancanze di cui certamente doveva soffrire. Con crudele violenza infilò la chiave nella cigolante toppa della serratura, ottenendone un ticchettio di dolore e rassegnazione, per un momento solo immaginò di aver trafitto il cuore nero e fibroso di quell'imbecille e ne trasse un sadico piacere che le fece emettere un profondo sospiro di sollievo.

L'interno riusciva nell'impossibile impresa d'esser ancora più squallido dell'esterno, che perlomeno poteva utilizzare la scusante delle intemperie e delle pallonate della selva di marmocchi ghignanti che si assembrano in ogni quartiere povero dall'alba della discutibile civiltà umana.

Gocciolando attraverso viscidi rigagnoli di acqua e sudore, Maria compì la quotidiana (ma non per questo meno eroica) impresa di salire le scale di quella babele moderna, arrivando ansante e terribilmente incazzata all'ultima porta, l'obbiettivo finale, colei che sola può schiudere i peccaminosi piaceri di un morbido divano e di una confezione doppia di gelato di seconda qualità.

Così come alice passò attraverso lo specchio,la nostra signora varcò senza esitazioni quella soglia ricca di promesse, ma non c'era nessun Bianconiglio a condurla e certamente lei non sarebbe stata in grado di stargli dietro per più di due secondi; nemmeno il mondo fatato c'era, e nessun Cappellaio Matto a prendersi la briga di preparare un tè caldo. Trovò solo una fioca oscurità, infastidita dalle luci artificiali della città addormentata.

Gettò distrattamente le chiavi sul comodino in raffinato stile Mercatone Uno e cominciò a riempire i grandi polmoni per la battaglia che l'aspettava.

"Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarturooooooooooooooooooooo".

Se gli addestratori avessero interesse ad espandere la loro arte all'antropologia e agli studi comportamentali degli esseri umani, troverebbero molte analogie divertenti tra i rapporti affettivi che un uomo può tenere con un cane e con un essere umano. Nel nostro caso specifico potrebbero notare come l'uso del suono e delle sue tonalità per comunicare con specie inferiori sia il medesimo che si può utilizzare tra una moglie e un marito. L'avvertitivo costituito da quel vigoroso grido e' necessario per mettere in attenzione il soggetto ricevente del menzionato messaggio: lo mette all'erta, gli permette di capire che e' il momento di ricevere il comando che sta per giungere subito dopo e che se non lo fara' cominceranno per lui i problemi, come uno schiaffetto sul muso, un fetta di prosciutto in meno o una moglie di 130 chili in piena carica attraverso la savana del salotto.

Maria ovviamente non aveva mai saputo queste cose, non e' questo che insegnano alla scuola pubblica,e anche se fosse lei era stata comunque troppo occupata a scrivere bigliettini colmi di amore a Piero (il quale, peraltro, non ricambiava) per poter prestare attenzione al funzionamento meccanico del pianeta o alla storia di quei mucchietti di polvere che sono stati i suoi lontani antenati.

Ciononostante comprendeva inconsciamente l'utilità del gesto, allo stesso modo di uno scarafaggio stercoraro che sa qual è il modo migliore per maneggiare il suo puzzolente fardello.

Arturo era ovviamente il marito di Maria, don Mario li aveva formalmente uniti in matrimonio nel 1972, presentandoli personalmente a Dio e ottenendo la sua approvazione per via telepatica, come si usava allora, e da quel momento avevano sempre tenuto fede ai loro sacri giuramenti, in salute e in malattia, in ricchezza e povertà (sebbene avessero testato unicamente la seconda), in qualcosa e qualcos'altro erano rimasti l'uno accanto all'altra, in senso fisico e spirituale. Avevano affrontato coraggiosamente il lento disfacimento dei loro corpi consumati dai tarli degli anni compensando ognuno a modo suo: Arturo sbirciava di soppiatto le sinuose forme delle ballerine nei quiz televisivi, spacciandosi miserabilmente per grande appassionato di nozionistica, mentre Maria viaggiava in mondi più sopportabili facendo uso della sua limitata fantasia, divorando come una gigantessa insaziabile pile e pile di romanzetti rosa e fantasticando sulle illustrazioni ad acquarello che raffiguravano coraggiosi capitani pirati, adorabili gaglioffi dalla chioma ribelle che non perdevano occasione in ogni loro scorreria per rapire una qualche giovane e avvenente puledra, che avrebbero subito provveduto a sedurre con il loro rozzo idealismo e gli attillati pantaloni all'ultima moda vittoriana.

Da anni non si toccavano nemmeno con l'immaginazione, ma nei loro sogni avevano ancora vent'anni: Arturo era ancora il rude eppur gentile operaio che tanto successo riscuoteva tra le lavoratrici del settore imballaggio e Maria ancora quell'ingenua e solare gazzella che saltellava di bancale in bancale cercando di coglierne la sottile sagoma avviluppata nella tuta blu, era questo che i complicati processi biochimici del suo costipato cervello chiamavano "amore".

Ma di quell'amore non era ovviamente rimasto nulla, si era consumato lentamente in una straziante agonia e, in un giorno terrificantemente qualunque, aveva cessato di esistere, li aveva abbandonati, senza nemmeno prendersi la briga di lasciare un biglietto, qualcosa tipo: "siete diventati vecchi e duri, me ne vado nell'ipotalamo di qualcuno più accogliente e vi pianto in asso. Adieu bastardi!". Ci vollero un paio d'anni perchè se ne rendessero conto e quando finalmente realizzarono quanto era successo, erano ormai troppo abbruttiti dalla vita per dargli peso.

Erano state le bollette a soffocarne anche gli ultimi sentimenti, il chiasso dei vicini, la piccola cella che fungeva da appartamento, i volti grigi e spenti di chi aveva già percorso quella strada ed ora li fissava senza interesse, mostrandogli senza l'intenzione la verità su quello che gli stavano facendo. Nessuno aveva raggiunto il Nirvana fuori dagli schermi televisivi o dalle copertine di Famiglia Cristiana, la vita non era una giostra e la felicità non era la coda di procione che fa vincere un altro giro; tutte stronzate, nella migliore delle ipotesi. La verità è che erano stati derubati, qualcuno li aveva distratti e si era fregato quel poco con cui erano venuti al mondo: meraviglia, innocenza, speranza, spregiudicatezza, passione.. era tutto rimasto indietro, là dove le cose sono irraggiungibili, dove lo sguardo neanche più arriva e dove il buio è così fitto da divorare i sentimenti oltre che le persone.

Della giovane Maria restava solo un involucro spesso e morbido di carne appassita, competentemente diretto da un cervello proveniente da decine di migliaia di anni di evoluzione umana, che ora se ne stava lì, ansando come un mantice tra cucina e salotto, fottendosene della felicità, dell'amore che aveva provato per quel povero vecchio spelacchiato incastonato nel divano e per ogni altra questione non riguardasse l'immediato presente., era diventata una donna pratica Maria, un meccanismo ben oliato che avrebbe retto ancora a lungo, a discapito di tutto.

Arturo era lì, dove l'aveva lasciato, come i piatti e il centrino di pizzo sul tavolo, apparentemente non si era mosso di un millimetro, era rimasto puntato come un setter irlandese verso le luci intermittenti della televisione, allenando alternativamente i neuroni e gli ormoni sopravvissuti.

"Non hai sparecchiato.....non ti sei nemmeno alzato scommetto!" .

Era quello che diceva tutte le sere da approssimativamente dieci anni, non aveva più nemmeno bisogno di pensarci o di fare attenzione all'argomento in questione, aveva un disco preregistrato per ogni occasione la povera Maria, questo le risparmiava abbastanza energie per poterle permettere di concentrarsi su cose piuù importanti, come cucinare, spazzare, sognare, impedirsi di sognare eccetera, eccetera.

Intanto sul monitor correvano colori viscosi, incomprensibilmente falsi e inconfutabilmente veri.

"Era un po' pazzo Michelangelo a dipinger Adamo con l'ombelico eh?..un po' pazzo eh? ehehe", disse l'omino sorridente con in mano l'abbagliante cartelletta coperta di strass. Dentro il mondo fatato un'altra cicciona stava appollaiata mollemente su un comodo sgabello rivestito di tela,un sorriso aperto da una coltellata in quella bocca sottile e un po' untuosa, aspettando impazientemente la prossima domanda. Tutti i suoi sogni erano nelle mani del burattino che riteneva Michelangelo un pazzo, l'omino dal viso radioso che stirava ogni secondo per imbottirlo di suspance, ben determinato a rendere più esplosivo quell'orgasmo di bacarozzo, il surrogato di sorpresa di cui "gli amici a casa" sentivano tanto il bisogno.

Gente comune i suoi ascoltatori, gente che era appena tornata dal lavoro, vampirizzata da catene di montaggio infinite e uffici in bianco e nero, gente da pastasciutta e pollo malcotto, con gli occhi di robot e il cuore di stoppa, gente tenuta appesa alla vita dalla defibrillazione di quei pochi attimi di incertezza, dalla fame di sogni, di denaro, di una vita diversa che non avevano mai visto, ma in cui credevano ancor più che nei crocefissi e nelle madonne di coccio sadicamente impiccati sui loro sempre ordinatissimi letti.

Gente come tutti quella, gente come Arturo, che ancora non si era mosso, che non aveva battuto ancora ciglio e se ne stava abbandonato sul divano come un bambolotto senza sorriso.

Furiosa e incarognita Maria decise di passare all'azione: si spinse fin difronte alla tv, oscurando a suo marito la visione di quel mondo fantastico di chissadove, ponendo in atto un'eclissi totale. Ventiquattro pollici di schermo non potevano reggere il confronto col suo girovita e Arturo si trovò a fissare i rozzi fiorellini campestri pressati sulla vestaglia di quel mastodonte, non meno imperturbabile e apatico di prima.

"Insomma, cellai ancora le orecchie? eh?.. ci senti??"

La faccia di Arturo era come un ritratto ad olio lasciato a marcire in soffitta, il volto di un ragazzo spalmato di patina e polvere, corroso dagli anni e mangiucchiato dai topi: non era uno bello spettacolo Arturo, ma aveva un bel naso, una bella proboscide sottile e ben disegnata, con una curvetta da dolce pendio, si sarebbe detto un naso da poeta folle, o da Michelangelo, quel gran pazzo fottuto di Michelangelo.

Maria lo fissava ben bene quel naso ora, aspettando che la puntina dello stereo situato nella sua eclettica testona facesse partire la traccia numero tre del ben noto disco, ma Arturo in quel momento alzò gli occhi, senza muovere nessun altro muscolo roteò lentamente le pupille fino a incontrare quelle di lei, il bambolotto vecchio e rappezzato ebbe un guizzo di vita e parlò come mosso da un ventriloquo, uno mutilato probabilmente, che poteva solo muover pateticamente quelle labbra inaridite e screpolate,mentre il resto ancora giaceva spezzato sui cuscini imbottiti.

"Sono stanco, Maria... me ne voglio andare... me ne sto già andando... mi dispiace... mi dispiace davvero..." e poi si mosse. Alzò la mano logorata dai calli di una vita di inutile prostituzione per indicare un barattolo sul portabibite... quello di legno invecchiato, che avevano comprato due secoli fa, quando tutto era ancora sopportabile e nessuno si era accorto di quanto gli fosse stato già rubato.

Adesso sembrava un affresco Arturo, la creazione di Michelangelo il pazzo subnormale: l'uomo che protende l'indice verso l'infinito di Dio, sdraiato o prostrato sul finito della sua pidocchiosa terra, e forse era davvero un po' Dio quello che indicava o ,almeno, il mezzo più rapido e indolore per raggiungerlo.

Il fegato di Maria si bloccò... i reni si inchiodarono.. il cervello prese a esplodere come un fuoco d'artificio, lanciando spruzzi di luce tutt'intorno.

Non si aspettava che da sotto quei baffi maltenuti uscissero quelle parole e non era sicura di aver ben capito cosa voleva dire, ma non era quella la sera in cui avrebbe dovuto sentir dire da suo marito una cosa del genere, non era il momento giusto, non era il posto giusto, non era giusto nemmeno il pianeta e nemmeno le parole lo erano, non era possibile e forse non era così, era tutto uno sbaglio, e pregò Dio e Gesù e una mezza dozzina di santi, che poteva chiamare per nome, perché non fosse così, spremette fino all'ultima goccia il suo cuore soffocato di colesterolo e pregò che nonono doveva essere ubriaco o drogato, l'avevano drogato certamente o era impazzito senza un perché, senza avvisare e senza telefonare,senza abbracciarla e senza lasciarla addormentare.

Era scomparso tutto, non c'era più niente davanti a lei, solo un telone bianco e l'uomo con cui viveva da trentotto anni, una sagoma scura e disarticolata sparsa alla rinfusa nel nulla .

Arturo oddiomio arturo, non poteva fare una cosa del genere, era un bravuomo lui, era una persona normale, che cavolo era successo al mondo? Cosa c'era adesso nel corpo infiacchito e distrutto di suo marito? Del veleno per la vita, dell'insetticida per i giorni lunghi e inutili che dovevano ancora venire.

Non si suicidano mai i corsari ribelli dai pantaloni attillati e le loro pulzelle, pensò Maria, non si imbottiscono mai di pastiglie per spegnersi l'anima, non le fanno queste cose, non ci pensano alla morte, non restano su un divano sgualcito ad indicare un barattolo di oblio, non lo fanno mai, mai e mai ancora.

Maria aprì i boccaporti e sparò nell'aria quelle braccia enormi e flaccide, le fece atterrare con tutto il loro peso sul torace rinsecchito di suo marito, scuotendolo e percuotendolo selvaggiamente, con ira e con amore, con la disperazione più grande che avrebbe potuto mai sentire nel suo cervello fino ad ora infrangibile.

Urlava e piangeva senza respiro, chiedendo un miracolo impossibile, ancora incapace di capire perché Arturo stava scappando, perché la stava lasciando sola proprio adesso che ne aveva più bisogno. Adesso,dopotutto,ricordava di volergli ancora bene, stava ritrovando tutte le loro vecchie fotografie sparse alla rinfusa in qualche angolo dimenticato di sè e c'erano loro due insieme, loro due soltanto, fregati e fanculizzati dalla vita dal primo all'ultimo giorno.

L'ultimo giorno era adesso, nell'appartamento semibuio folgorato dalle luci abbaglianti della televisione.

Non si muoveva più Arturo.. non si era mai mosso in tutta la sua vita forse, ma ora era l'Immobilita Eterna, l'affresco senza vita che sbianca e scolorisce lentamente.

Maria crollo esausta accanto a quel corpo inutile e con le ultime forze lo prese tra le braccia, lo avrebbe voluto cullare come un bambino, dirgli che andava tutto bene, che non c'era bisogno di morire proprio adesso e che la mamma avrebbe risolto tutto, ma non c'era niente che potesse fare e lo sapeva, se n'era andato Arturo, si era fottuto la vita con venti pastiglie gialle e solo lei poteva piangere adesso.

Lo affogò di lacrime, mentre guardava in quegli occhi che non avrebbero visto mai più e mai più, lo baciò mentre urlava al cielo sopra il soffitto, se c'era un cielo oltre quel soffitto, se ci fosse stato un cielo.

Adesso Maria era la Pietà di Michelangelo, quel folle bastardo di Michelangelo...

"Chi vuole essere milionario? chi vuole cambiare la sua vita?" gracchiava la marionetta nella televisone.

Era un po' pazzo Michelangelo a dipingere Adamo con l'ombelico eh? Ehehe

Fuori pioveva ancora.

 

© Fabio Martense





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