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Zaira e il fiore degli abissi
di Fabio Orefice
Pubblicato su SITO
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Zaira riguarda distratta i piccoli e leggeri passi appena lasciati sulla battigia dietro di lei. Il suo spirito adolescente è stato scalfito dal tempo molto più profondamente di quanto ella stessa possa aver appena lambito l’umida sabbia. "Il tempo è come la risacca marina" considera adesso Zaira, sfiorando appena con le dita la bionda e docile fiumana di capelli che scende ad aggraziarle il volto deciso e dall’incarnato avorio immacolato. "Mentre sei intenta a costruire i tuoi fragili castelli di sabbia…" prosegue errante il pensiero di lei "… ecco che il mare si alza, si rigonfia e… BOOM! Spazza via tutto come farebbe la mano di un dio capriccioso: senza preavviso, senza spiegazioni apparenti. Infine, quando esso si è ritratto, dei tuoi castelli non restano che macerie, pezzi di frasi balbettate mai approdate a nulla, come aspettative infrante. Il problema è che quel maniero di granelli in frantumi sei tu, e non resta altro che aspettare una nuova onda fatta di anni, minuti o giorni, pronta a finire il lavoro, o l’eutanasia… ". Da troppo, in effetti, Zaira vive − o meglio sopravvive − come in attesa di un ultimo pietoso flutto che si porti via i brandelli offesi e strappati di ciò che lei era ed avrebbe voluto essere. I lunghi capelli chiari come spighe esauste all’imbrunire avrebbero dovuto essere lisce messi da sfiorare e carezzare per gli spasimanti, non un copricapo ingannevolmente languido che cela ricordi più grandi di lei. Le insenature d’acqua verde che porta incastonate tra le lunghe ciglia dovrebbero incantare i poeti e vincere gli amanti, e non far da specchio alla memoria della mano ferina d’un padre violento. Il corpo discreto, così acerbo eppure già levigato dal soffio malizioso di Venere, era per lei la promessa di palchi su cui volteggiare, ove poter danzare sull’orlo del precipizio per saltarlo a volo d’aquila senza mai guardare in basso… Ma la gravità pesa come la più definitiva delle sentenze su questa terra. Le sue esili forme avrebbero potuto essere approdo di carezze, essere contemplate come un lungomare colorato di tramonto. Mai il corpo di Zaira avrebbe dovuto conoscere la claustrofobia ed il tremore glaciale di chi DEVE celare un segreto: il suo segreto erano quelle irsute braccia adulte; quelle labbra importune ed acri di fumo e birra; quel viso tagliente e ruvido di barba incolta; quel sesso vendicativo, rabbioso, profano e dall’ ineffabile incedere che le faceva così male… troppo! E così, dopo aver usato i suoi piccoli piedi danzanti per piroettare via lontana da quell’ incesto di sangue che l’aveva annullata, Zaira, ancora poco più che quindicenne, trascina i suoi anni stanchi sulla spiaggia più remota. Sua madre sapeva ormai tutto da tempo; i piedi che le sostenevano l’anima, tuttavia, non erano mai stati minuti ed agili come quelli della figlia, e quando il palco della vita ha preso a scricchiolare implacabile sotto di lei, quel suo cuore anziano ha smesso di resistere sulle punte, così che un’onda di rimorso se l’ è portata via. Soltanto un fruscio sugli alluci riesce adesso a fermare l’ostinazione masochista della memoria: Zaira strofina col gomito la maschera di lacrime dal viso per poter individuare l’origine di quella sensazione di solletico; un anemone, almeno a prima vista. "Ma cosa ci farebbe un anemone, un fiore che vive radicato sott’acqua, qui fuori all’aria!?" si domanda la fanciulla, sorpresa ed ancor più compiaciuta dalla bellezza di quella creatura sradicata e muta. Per qualche frazione di secondo la ragazza si sorprende a provare solidarietà per l’anemone naufraga, anch’essa lontana da casa, in fuga, senza radici e soprattutto anche lei trascinata via dalle sue onde. Il fiore assume tutti i colori dell’iride, riflettendoli sul viso meravigliato di Zaira luminosi e carichi di speranze apolidi come fossero il bacio di un arcobaleno. Raccogliendo la creatura nel salvifico palmo della sua mano infantile, ella si accorge di un fatto assai strano: i petali tentacoliformi dell’anemone si muovono sinuosi e vitali, come fossero ancora nelle profondità degli abissi a fendere l’acqua circostante. Mossa da uno slancio di umana solidarietà, Zaira s’incammina impavida col suo lungo vestito di seta color crema, dritta verso il mare aperto, decidendo di restituire l’anemone al suo habitat, di fare in modo che almeno lui ritorni a casa. Non appena riprende contatto con l’acqua, però, il fiore degli abissi assume una forza incontrollabile, attaccandosi al braccio della ragazza come una ventosa e trascinandola giù, verso la barriera corallina! La fanciulla non fa in tempo a dar’ voce al panico attraverso le grida che già si ritrova sommersa, sopraffatta dalla vegetazione subacquea! In meno di un secondo, così come si sono disciolti i rumori del mondo emerso, svanisce anche la paura; Zaira si rende conto di poter respirare. Solo adesso l’anemone si stacca da lei. Fluttuandole attorno come un derviscio delirante si trova all’ altezza dei suoi occhi; pare quasi voglia parlare con lei. Ma, si sa, un fiore non può parlare. Eppure ella avverte qualcosa; sente che in qualche modo l’anemone sta cercando un contatto. E forse se ne convince al punto da vedere attraverso il corpo colorato del fiore tutta la sua esistenza. Vede immagini nitide del suo vissuto, perfino dei sogni e dei quotidiani incubi che li hanno tarpati; osserva tutto come da una sfera di cristallo, visioni deformate solo dalla sagoma della creatura marina. Che l’anemone abbia trovato la sua anima? La risposta a questa domanda stava per giungere da una voce subacquea e leggera che il suo cuore danzante può adesso udire distintamente: "Avevi ragione quando mi hai raccolto sulla spiaggia; siamo due fiori strappati che hanno cercato di fuggire danzando, ma l’onda ci ha sospinti e strattonati. Eppure − pensaci un attimo Zaira − su di noi si riflettono ancora i colori dell’iride. Sono secoli che vago da un mare all’altro, rimandando a chiunque mi trovi l’aspetto della propria anima, raccontandogli l’immagine di come essa sia davvero. Tutti i tuoi predecessori erano troppo concentrati sul proprio dolore, e dunque vedevano solo se stessi. Tu no; ciò che hai subito non ti ha tolto la capacità di guardare oltre il tuo male, l’ha semmai acuita. È per questo che tu hai visto il mio spirito; sei tu, Zaira, ad aver trovato me". Nell’indifferenza brutale del mondo emerso, nel frastuono polifonico e distratto di violenze ordinarie, ovattate solo dalle distrazioni prive di aspettative della TV e dei messaggi da cellulare, qualcuno sta ancora cercando Zaira. Ma lei ora è al sicuro; può ancora danzare, fluttuare realizzando sogni di cartapesta che nessuno può più strappare; ora solo il mare la carezza. Ora lei sa di essere un fiore degli abissi.
©
Fabio Orefice
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