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Nome?
Nadia Sacchi.
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Lavoro come attivista per Greenpeace.
Conoscitrice mnemonica della poesia “A mia moglie” di Umberto Saba, rimpiango di non esser mai stata paragonata – per nobiltà d’animo – ad una gravida giovenca o ad una pavida coniglia. Senza minimizzare la lunga cagna e la bianca pollastra.
Sono avvezza alla parlata irritante, colma d’elocuzioni rabbiose sui gas nervini che alcune fabbriche – il cui fatturato stimo a casaccio – emettono; incuranti delle balene, del bisonte europeo, della foca monaca, del gatto selvatico, dello scoiattolo rosso e degli esseri umani.
Le mie abilità retoriche hanno fatto sì che potessi sensibilizzare pubblicamente le menti.
Ho passato un mese ad abbordare gente per strada, chiedendo offerte, ma premettendo ogni volta che Greenpeace è una grande barca e tutti, ma proprio tutti, dobbiamo remare.
In quei trenta giorni, diciotto persone hanno pensato di accoltellarmi.
Una sola l’ha fatto.
Nome?
Preferirei rimanere anonimo.
Descriviti.
You are the sun, you are the only one.
Ero in ufficio, intento a navigare sul web, con l’armageddon nel cervello ed il fuoco sacro nelle vene. Mi stavo appassionando – lo ammetto – al blog di una tipa anoressica, figlia di un padre arido e di una madre succube.
Quando t’appassioni a robe del genere, dovresti capire che è giunto il momento d’alzarsi ed uscire. Ed io l’avevo capito.
Così, poco dopo, camminavo per il centro con l’Ipod spinto al massimo. Avevo messo in repeat la mia canzone preferita. Una di quelle che ti gasano, che ti fanno montare la scimmia di diventare rock star e riempirti d’eroina.
My heart is blue, my heart is blue for you.
Ad un certo punto s’avvicina una donna – più che donna, una massa di capelli color terreo/fango abbinata ad un giubbotto verde trifoglio/irlandese – e mi domanda qualcosa. Avendo le cuffie, percepisco solo una massa di parole che, se unite, formano un’astratta metafora su di una barca, dei remi ed il dovere di remare.
Ho sfoderato il taglierino dell’ufficio ed ho tentato di tagliarle la gola, riuscendo solo ad asportarle una minuscola porzione d’orecchio.
Be my, be my, be my little rock and roll queen.
Be my, be my, be my little rock and roll queen.
Nome?
Guglielmo Donati.
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Ho assistito all’accoltellamento.
Se ripenso all’aggressore, crollo in gioiosi singulti d’ammirazione.
©
Iacopo Barison
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