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Al tvajol ed furmajin
di Roberto Vaccari
Pubblicato su PBUNIBOOK2009


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Questura di Modena, 1938

 

Brigadiere, risponderò alle sue domande soltanto se potrò poi sapere perché sono trattenuto contro la mia volontà!

Chi sono dunque io?

Sono colui che è: esiste forse risposta meno scontata? Sono l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine. Da ciò, la luce beffarda che noto nel suo sguardo, brigadiere, mi fa supporre che lei non creda affatto alla mia affermazione. Eppure, ho a bella posta evitato inutili perifrasi che rendono la vita di un pubblico funzionario tanto grama. Meglio affrontare la realtà: sicché mi lasci continuare, non si ribelli alla verità lampante! 

Se vuole, mi chiami semplicemente Signore, semmai calcando sulla maiuscola come fanno certi preti che dispongono come pochi gli umili alla trascendenza tramite l'uso della inflessione vocale. Esatto, poco prima che lei entrasse in questa sala, un medico mi ha trovato in ottima forma.

Ah, quanto vorrei che evitasse di alzare gli occhi al cielo! È forse il mio aspetto un po' dimesso a farla dubitare? Cosa vi aspettereste, un terremoto ogni volta che esco di casa? Ascolti la voce del cuore invece del pregiudizio che tutto scolora! Insiste che dovrei usare il voi previsto, attenendomi a uno dei Suoi comandamenti, non certo compresi nei miei, che, largheggiando, potrebbero al massimo suggerire rispetto per il suo Duce - la sente la maiuscola? - e il suo Re.

Se so che giorno oggi sia? Come no! Il ventinove novembre dell'anno di grazia 1938, l'era del figlio mio.

Pensa forse che mi sia perso nel ghirigoro del tempo che io ho stesso creato? Insiste nel ritenere fuori luogo le mie dichiarazioni? Sostiene che mi è stata trovata addosso un documento dove risulta, oltre a un nome e un cognome piuttosto comuni, che io sarei ammogliato e residente in questa città di Modena, nella cui Questura ci troviamo?

Approssimazioni propalate dal maligno, l'angelo del male che creai a mia immagine. Non insista con domande vane, né si atteggi a saputo. Stia attento, quindi, perché non si scherza con l'ira dell'onnipotente... Non la sto minacciando! Pensi a quando persi davvero la pazienza, debellando ben altre male piante. Mi riferisco a Sodoma e Gomorra, alle mura di Gerico, all'esercito del faraone che inseguiva il mio popolo sul fondo sabbioso del Mar Rosso! Non che oggi la fede sia al centro degli insegnamenti popolari. Altri culti hanno preso il suo posto, qui come altrove. Croci uncinate dell'antico culto solare oscurano i cieli della civile Europa, la stessa che pretenderebbe di sollevarmi come incombente castigo, confondendo Odino con il dio dell'amore. In questa Modena, dove tutto si stempera nelle acque dei suoi due fiumi, v'è tendenza a confondere sacro e profano, lo posso ben dire dall'alto della mia conoscenza. Come? Dovrei limitarmi a raccontare l'accaduto, invece di blaterare a vanvera, e spiegare perché mi sono opposto alla forza pubblica, obbedendo semmai alla mia natura? Mi sta dicendo che, sulla carta che già mi ha mostrato trova scritto che la mia professione, prima della pensione, era di professore di liceo. Pertanto, le parole difficili che mi sfuggono di bocca sono tali sol perché pronunciate da un intellettuale. Non delle parole deve aver paura, ma del loro senso! Viviamo in un periodo oscuro, in cui forze maligne e potenti sono giunte per la prima volta all'interno della matrice del potere.

Torniamo al nocciolo, va bene.

L'inizio? L'inizio è lontano miliardi di anni, quando la mia solitudine era al colmo. Per atto d'amore infinito, creai tutto ciò che vedete e anche buona parte di ciò che neppure immaginate: mondi lontani, incorrotti, dove il bene è padrone di casa. Ah, lei vuol sapere di stamattina, di ieri al massimo. A volte per capire la realtà bisogna risalire molto addietro. Tuttavia l'accontenterò, anche perché mi sento stanco.

Cosa ci fa Dio in una cittadina come questa? Anche questo può essere un inizio, certo. Vede, da qualche parte dio la deve pur vedere la sua creazione. Sono qui da un tempo sufficiente per rendermi conto di come vadano le cose, e nella mia costernazione infinita discerno il giusto dallo sbagliato. Una volta preferivo starmene in cielo, non intervenire, questo mai, amico non mi confonda per l'idea che ha di dio, non ho fulmini al mio comando, per questo ho creato le leggi della natura! Quando percorsi strade mai battute, gli uomini se ne rammentano ancora: fermai il sole sulla piana di Gerico, feci cadere la manna, mutai in statue di sale chi ebbe l'ardire di disobbedirmi. Stavo dicendo? Ah, vi stavo parlando di come decisi l'anonimato del corpo, rinunciando al mio splendore divino per cercare d'afferrare la mia creazione. Non è semplice, sapete? Questa cittadina tra due fiumi, mesopotamica oserei dire, mi offrì un rifugio tranquillo, un angolo dove una fede cieca alla divinità s'accompagna a un distacco laico che ha del paradossale. Anche i moderni riti pagani qui s'annacquano come vino da poco, le aquile dorate sui cappelli sembrano merli, le cupe vesti di cui s'ammanta la gioventù scoloriscono nelle nebbie autunnali. Qui il mare magnum dell'idolatria si appaga di stracci di prova: un comizio, qualche battuta contro nemici secolari, un prete che benedice uno stendardo polveroso, rilucente d'odio stantio, neppure tanto convinto. Così, trascorro le giornate tra la gente. M'alzo presto, preferisco la primavera e non disdegno l'estate, divento triste nel vostro inverno grigio. Prendo per le stradine anguste, mi perdo per le calli e le rue, mi fermo agli incroci per guardare le donne e i vecchi, arrivo in piazza Grande e lì prendo un caffè, poi mi perdo tra le bancarelle del mercato che strabocca di donnette e di soldati: la città ha un cuore in quei pressi. Mi piacciono gli odori di frutta, l'umanità che si pasce del rumore, i prezzi gridati e la pesa mai perfetta. Mi piace Piazza Grande quando la nebbia si offende di quella punta di marmo che la sovrasta, o un mattino di gennaio, quando il gelo crocchia sotto le scarpe. Provi ad arrivarci da Corso Duomo, di mattina presto, e, alzando gli occhi al cielo, lassù il marmo si mostra rosa o forse arancio, non saprei dire. Così, attento a non far rumore, aspetto che la piazza s'animi di mediatori e fannulloni, di gerarchi e di avvocati che si recano al tribunale. A volte prendo per Piazzetta delle Ova, entro nella Piazza prospiciente per osservare la Sinagoga, luogo d'elezione di una religione aborrita, io e lei sappiamo bene, ma che, debbo ammettere, fece del mio culto un'univoca esperienza storica, sì che il successivo deicidio parve un tradimento, mai perdonato, ci mancherebbe, sebbene... come? In questa Modena d'accatto, di ebreucci ne avevamo un tot, gente di grido, avvocatoni, dottoroni, chi ne ha più ne metta e, per porre limite a tutto ciò, ci avete pensato voi, con queste leggi nuove. E però integerrimi lo erano davvero, non c'è che dire, legati col fil di ferro all'idea salvifica del regime vostro, come non poteva essere? Quelli, dove vanno si attaccano, non gli pareva vero di avere un Duce che promettesse, vantasse e giurasse, per poi mettergliela nel culo, mi sia concessa la metafora, bellamente.  

Brigadiere, vorrei fosse chiaro che esser dio non comporta ripensamenti ma l'azione, come al cinematografo, ha bisogno d'un sintomo, d'un prodromo e d'un postumo. Siamo seri, se vi svelassi il semplice svolgimento d'un fatto durato pochi istanti, anche voi restereste delusi. Così, lasciate che continui a descrivervi la mia giornata! Se ho creato tutto e ho scelto di viver qui, una ragione deve pur esserci! Era l'aria leggera che si respirava un tempo, temprata dallo spirito degli abitanti che neppure il deleterio influsso delle idee balzane del potere terreno può ottenebrare. Bastava passeggiare sotto i portici del Collegio, perdersi dietro Piazzetta dei Servi, percorrere sino in fondo Sant'Agostino per vedersi sbarrare il passo e poi ritrovar la strada, come in un labirinto! Insomma, signori, star qui era come aver trovato la miniera della mia creazione: gente cordiale, disponibile, pur se grande bestemmiatrice.

A volte, il mattino passa che è un piacere. In primavera mi fermo nel Parco a leggere il giornale: notizie trite, senza costrutto, guerre lontane, ritorni di fiamme, gente che soffre. Questa società perfetta che avete realizzato, confesso non mi piace, ecco, qui veniamo al punto. Non che non apprezzi l'ordine in sé, le strade pulite, come dice? Ah, i treni in orario, le galere svuotate, la fine dei suicidi... pardon. Un appoggio totale al regime, l'impero, la legge! Ecco, la legge, quelle leggi! Abomini! E fatti in mio nome, pure.

Stamattina, dunque, ero intento alla solita passeggiata, nel freddo torpore d'un giorno qualunque, l'inverno penetrato nel corpo coriaceo della città.

Piazza Grande la conoscete, l'acciottolato di sassi di fiume cementati, gli alti e i bassi, l'ondulazione che ricorda un mare appena mosso, il grigio della selce e il bianco rosato del marmo di Carrara, il freddo che alita, e io al centro della spianata, alle mie spalle la Bonissima assisa all'angolo di Via Università, in faccia la Porta dei principi, con i leoni di granito rosso. La piazza par deserta a quell'ora, ma un pubblico si acquatta nei bar e sotto i portici. Il grigiore d'un tratto mi mostra l'arido sentore che aleggia sui ciottoli della piazza. Sì, Brigadiere, in quel momento una premonizione mi fa girare il capo.

Lo vedo per la prima volta quel mattino, lui, l'angelo che m'impediste di salvare, l'angelo che come dio, suo creatore, potevo portare nell'alto con me. Se l'avevo già veduto, se per caso lo conoscevo? Di aspetto lo conoscevo: modenese singolare, incerto persino sul suo esistere, saldo di principi, fascista, non è strano, ed ebreo? Ne avevo letto le poche opere filtrate dal mondo dei suoi sogni. Ora non importa come l'avessi conosciuto, e ammirato quel poco che conta in questa piccola piazza, dove dimentichi saltimbanchi si perdono, figurarsi se ebrei e pensatori! Importa che lui fosse lì a tagliare di sbieco la piazza, mentre io stavo fermo al suo centro, come pignone di tutta la mia creazione, a confrontare l'angolo acuto che il suo adire creava. Vidi l'angelo venire, curvo su se stesso, infagottato contro il freddo: un uomo davvero distinto, fronte spaziosa, da genio, barba ministeriale, l'elettrico vizio di vedere le cose e studiarne la minuzia. Certo che era ebreo, forse troppo ebreo per i miei gusti, complice degli uccisori di mio figlio, ma in quel momento l'ho dimenticato. Molti secoli sono passati, chissà quanti ne passeranno prima che decida di annullare la condanna che di recente qualche zelante s'è preso la briga di saldare con il potere di Cesare, rendendola, bianco su nero, a uso generale.

 

Né ferro, né piombo, né fuoco

posson salvare la libertà

ma la parola soltanto

Questa il tiranno spegne per prima,

ma il silenzio dei morti

rimbomba nei cuori dei vivi.

 

Non conosce questi versi che paiono piuttosto un'epigrafe che quell'angelo inquieto aveva scritto in estate. Sicché, lasciatemi dire, è parsa anche a me una stranezza ch'egli mi sia apparso così, attaccato a quella terra che amò anzitempo, dandole un nome e un cognome, da ebreo. Lo veda con me, brigadiere, incedere lento, scrutandosi attorno per cogliere nel gelido amplesso invernale una ragione alla sua scontrosità. Cosa lo turba? Mi passa accanto, i nostri occhi s'incrociano un istante, forse mi fa un cenno. Taccio, lo lascio sfilare, come una nave che scorre accanto al molo. Mentre lo vedo percorrere la piazza sono tentato di rincorrerlo, di fermarlo, sapendo cosa compirà. Ma mi placo, pensando a quanto questa città sia amara e ingrata, come l'indifferenza sia messaggera dell'odio.

Taglia per il Duomo. Ora è tardi, mi dico, ma mi affretto ugualmente, perché quell'angelo mi stava a cuore: di colpo nel cuore di dio s'affaccia la pietà per un singolo uomo. Lo vedo sortire nella porticina che dà alla Ghirlandina, a quest'ora già aperta. Siete mai saliti sin lassù? Avete mai rivisto Modena dall'alto? Le case schiacciate al suolo, le altane che si stagliano ora alla tua portata, le chiese e i campanili, la lista sfrontata della Via Emilia da Porta Bologna a Sant'Agostino? I modenesi sembrano teste che rotolano sull'asfalto. Mi blocco davanti alla porta. Mi dico, ricordando l'espressione di quegli occhi che m'hanno appena sfilato: quest'angelo ha una missione. Debbo fermarlo, perché di angeli come questi ha bisogno il cielo, invece non faccio nulla.

Se già sapevo cosa avrebbe fatto, se ero d'accordo con lui e se fosse premeditato quanto sarebbe accaduto di lì a poco? Sapevo, pur non potevo mutare i fatti. Solo gli sciocchi pensano che dio possa surrogare gli atti umani, se gli bastò un fiat per dare inizio a tutto. Sapevo e non potevo. Sicché, con il cuore in tumulto ho percorso i pochi passi che stavano tra me e Piazzetta Tassoni, sotto la Torre. Attendo.

La via s'è animata. Un cavallaro percorre la strada. Le ruote cerchiare rotolano sul porfido. Un tram sferraglia, una combriccola di studenti s'affretta sotto i portici. Qui e là occhieggiano passanti. Un prete traversa la via. La città s'è fermata nell'attesa, eppur continua a muoversi, dilatando all'infinito il gesto disperato di un angelo. Poi lo scorgo, il mio angelo, mentre si affaccia, altissimo, lo scruto nel grigiore senza contrasto: bianco il marmo della torre campanaria, bianco il cielo, bianco il volto baffuto. Ma quando si distacca dal precipitante baratro, si staglia nero sul cielo. Perché non l'ho salvato, lei chiede? Perché, io che tutto posso, non ho agito nel nome dell'estremo bene! Anche dio ha momenti d'apnea, quando l'idea si sottrae all'azione e il peso dell'onnipotenza si palesa.

Il mio angelo s'avventura nell'aria, e non essendo un uccello cade, s'avventa senza un grido, ma chi grida allora? Chi interrompe l'infinità sospesa? Se nessuno avesse parlato, se nessuno avesse alzato gli occhi, il mio angelo avrebbe volato per sempre, planando sulla selce e per riprendere il cammino interrotto. Invece, è forse quel prete che traversa la strada o la combriccola di studenti, o una resdora che torna dal mercato: alzano la testa, vedono l'angelo staccarsi dalla Ghirlandina e riempire il precipizio, l'acqua non sostiene più la barca, l'aria le ali. Basta un istante ed eccolo ai miei piedi, a dieci metri, forse meno, un suono secco, unico. Ciò che sino a pochi istanti prima era un corpo vibrante d'intelligenza, servo d'una religione aliena - no, non l'ebraica, signori, bensì quella più insensata della ragione! - non è che un ammasso di sangue. Il mondo s'affaccia al balcone dei fatti. La città sonnolenta, la periferia testarda, l'arretrato candore, la nebbiosa giocosità di Delfini! Mi avvicino, lo guato, le braccia aperte nel perfetto volo. Il prete si china e sta per dare l'estrema unzione, anche altri si appropinquano, insani!

Già, brigadiere, è stato allora che cominciai a recalcitrare, proprio allora mi sono opposto a che il sacrificio fosse cancellato dall'ignavia, che l'angelo sacrificale fosse tolto dalla croce e che il Golgota restasse invitto sul futuro di questa città che, frettolosamente, vuol già dimenticare. Anche in seguito, quando è arrivata la forza pubblica e una ambulanza accorse dal vicino ospedale, ho fatto il possibile per ostacolare ogni intervento, ho gridato, forse ho usato la poca forza che un dio vecchio poteva disporre! Ho calciato, ho picchiato, ho lanciato sassi e gridato parole blasfeme, forse ho sputato e morso, chi lo può dire? Il bernoccolo che porto sulla testa è prova che, per porre fine alla piazzata, come lei l'ha chiamata, non è stata la mia arrendevolezza umana, ma un manganello usato con perizia. Ho un ricordo che marchierà questa città, mentre steso al suolo con un ginocchio d'un milite piantato nel costato. L'occhio libero scorgeva due infermieri che nascondevano il corpo benedetto nell'ambulanza, e subito uno scopino dall'aria cominciava l'opera di ripulitura del selciato, il suo compito terribile: lavare quel sangue, cancellare il sudore dell'angelo sacrificale, ogni traccia della tragedia consumata. Anche il prete è scomparso, il silenzio è disceso sui mortali. Infine eccomi qui, ad attendere la celebrazione del martirio.

Ah, buongiorno a lei. Che sia augurante il arrivo, e che, insieme alla mia messa in libertà, sia decretato che quest'oggi sia celebrato da ogni modenese dal proprio orgoglio cittadino, non la sua vergogna! Che dice, signore? Che non capisce di cosa stia parlando? Lei che è appena giunto e che mi pare persona ammodo, non indossa divisa e quindi potrebbe esser portato a maggiore libertà di vedute. Signore, la mia pazzia non potrebbe cancellare l'aggio morale, l'ovvio pretesto d'aver vissuto almeno un minuto accanto al giusto! Egli vivrà oltre il ludibrio e la disapprovazione, la scuola che non inganna, poiché come mio figlio ha sacrificato se stesso nella benevolenza, non odiando né danneggiando il prossimo, ma cercando il conforto della irragionevolezza nel sacrificio! Mi sto già calmando. Guardatemi, signori, ditemi che sto sbagliando, ditemi che non cercherete di nascondere ogni cosa, che Modena saprà, che il mondo sarà messo a conoscenza! Perché ho la sensazione che vogliate nascondere tutto, e che la mia testimonianza non sarà tenuta in considerazione? Sì, sono calmo. Altro non posso fare. Voi siete testimoni. Siate dunque miei apostoli nel propagare la verità.

 

Dunque, che ne facciamo commissario?

Portatelo all'ospedale dei matti. La moglie dice che ha spesso crisi del genere. Un matto, niente di più.

Eppure ha visto tutto, potrebbe parlare coi giornalisti.

Brigadiere, non conoscete i giornalisti di questa città! Tutto è già stato chiarito. Sui giornali non si parla di suicidi, il regime non tollera neppure che esista un lemma con questo suono! In fin dei conti, è morto un ebreo e di questi tempi la vita di un ebreo... Non lo conosceva nessuno, questa città ha la memoria corta.

Però, ci vuol coraggio a gettarsi dalla Ghirlandina! E per cosa, poi? Per un'idea?

Brigadiere non siate sciocco! Questa gente è sudicia, rancorosa, getta la propria vita al vento. Per ciò li dobbiamo temere: un'idea, una sola, un dubbio, uno solo! Noi siamo qui per cancellare dubbi e idee, non per chiederci il grado del coraggio dei nemici. Strisciano nell'ombra, tramano e crescono, rimandano e tramandano, non ci sono fogne capaci di tenerli. Per questo io vi dico che anche voi cancellerete il ricordo di quest'oggi.

Silenzio.

Pensa il brigadiere senza potersi esprimere: non solo i conoscenti e i famigliari, ma anche i compagni d'idee. Quelli, conclude, ne avranno sempre un peso in fondo al cuore, che alla lunga ci condannerà.

 

Il 29 Novembre 1938 Angelo Fortunato Formiggini, ebreo ed editore modenese, scelse una via senza uscita per manifestare contro le leggi razziali promulgate dal regime fascista. Salì sulla Ghirlandina, la torre campanaria del Duomo, e si gettò sulla piazza sottostante. Nulla trapelò dell'incidente. La stampa, asservita al potere, ignorò il fatto. Ai piedi della torre, a pochi passi da dove il corpo di Formiggini si schiantò, sorge il sacrario dei caduti della Resistenza, dove centinaia di giovani sono accomunati non solo idealmente al sacrificio del loro antesignano.

Su un lato della piazza è stato apposta una lapide che ricorda come Formiggini avesse chiesto che il lembo di piazza dov'egli doveva cadere fosse intitolato Al Tvajol ed furmajin, il tovagliolo del formaggino, di Formiggini, com'era chiamato, in dialetto, dai concittadini.

Tutto è dimenticato perché nulla sia come prima, dimenticato.

 

I versi dell'epigrafe di Formiggini sono tratti dalla introduzione al volume: 30 anni dopo, edito da Ricardo Franco Levi Editore, Modena 1977

© Roberto Vaccari





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