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Il farmacista
di Helga Dusetti
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Lo chiamavano dottore, e gli pareva strano. Suonavano il campanello, con insistenza anche, se tardava a raggiungere la finestrella sbarrata, pesticciando sul marciapiede come a ribadire la loro urgente presenza lì, nell'ora destinata al riposo di tutti, che per Alberto era l'ora del lavoro.

" Dottore volevo un succhiotto, sa, mia moglie non lo trova, l'abbiamo cercato dappertutto...Robertino tiene sveglio tutto il condominio, non s'addormenta senza, tra un po' ci mandano i carabinieri!!"

"Dottore mio papà ha finito la bombola d'ossigeno...lo so, è tardi, è che me ne sono accorto solo ora, che vuole, corro tutto il giorno..."

"Dottore, è venuta la guardia medica...una colica...si, ho la ricetta...".

Lui l'etichetta di dottore mica la voleva. Lo sapeva che quell'appellativo era valido per tutti i laureati, ingegneri elettronici compresi, ma che c'entrava l'elettronica col termine "dottore" proprio non arrivava a concepirlo. Non curava nessuno, lui, figurarsi l'ingegnere elettronico.

Gli piaceva invece, e molto, la definizione della sua professione che aveva trovato su una pagina web, accanto all'immagine dipinta da un bravo pittore tedesco, Carl Spitzweg, farmacista anch'egli, citazione di tale Teofrasto Paracelso, che argutamente sentenziava: "L'alchimia serve a separare il vero dal falso".

Perciò ne aveva fatto la sua missione.

Aveva scelto il turno di notte per stare da solo, si guadagnava bene e a casa non c'era nessuno che poteva lagnarsene.

Nel silenzio del suo ufficetto, su quella strada di paese che di giorno brulicava di popolo e di notte lasciava udire solo il ripetuto passaggio d'auto frettolose, attendeva, con un libro in mano, o navigando in Internet, nell'unica luce del monitor a schermo piatto. Certe notti non veniva nessuno, ma lui restava sempre sveglio, pronto all'eventualità di un cliente improvviso.

Una sera, verso mezzanotte, suonò il campanello Marino il carrozziere. Alberto aggirò la scrivania e s'avvicinò alla finestrella. Dopo averla aperta disse: " Si?"



"Eh...volevo...mi servirebbe una confezione di...di...profilattici, ecco."

" Ha preferenze per la marca? Per il tipo? La confezione la vuole da dodici o da ventiquattro?"

Snocciolò la sua raffica di domande prestabilite con naturalezza, restando in attesa delle risposte, con gli occhi puntati negli occhi dell'interlocutore.

Quello invece si contemplava le scarpe:

" Eh...no, no, una confezione qualunque, faccia lei..."

Alberto si divertì ad insistere:

" Si, ma, da dodici o da ventiquattro?"

Il carrozziere farfugliò che dodici andavano bene e il farmacista andò nel negozio retrostante, passando per il laboratorio.

Senza accendere la luce, soltanto grazie a quella dei lampioni, trovò il cassetto giusto ed estrasse una scatolina.

Gli veniva da sorridere. Era un lavoro interessante, il suo. La moglie del carrozziere stava in ospedale, dopo il laborioso parto del terzo figlio...con chi li doveva usare, quei benedetti profilattici?

E siccome la sua missione era "separare il vero dal falso" e a seguire, "il giusto dallo sbagliato", si fermò un istante in laboratorio, aprì la scatola con un temperino, e scappucciato un ago sottile da una confezione già aperta sul banchetto, praticò un microscopico ma profondo forellino su alcune  delle bustine che racchiudevano i profilattici. Non in tutti, perché il destino è destino, e ad ognuno il suo.

Con una rapida passata di colla stick richiuse la scatolina e l'infilò in un sacchetto di carta bianco. Fu costretto a tornare in farmacia per battere lo scontrino alla cassa e finalmente si riaffacciò dalla finestrina con le sbarre, porgendo la merce imbustata.

" Ecco, signore, sono nove euro e cinquanta.".

Marino il carrozziere si frugò in tasca del giaccone, guardandosi intorno più volte, pescò una banconota da cinque e una manciata di monetine e lo pagò.

" Grazie e...buonanotte", aggiunse Alberto, con un sorrisetto.

" Eh...si, si, buonanotte..."



Il cliente si allontanò in fretta, stringendosi nelle spalle, con le mani piantate nelle tasche del giubbotto, il sacchetto rapidamente occultato in una di esse.

E voilà.

Alberto riprese posto alla scrivania, le spalle curve, classica postura di sempre. Forse sua madre non aveva tutti i torti quando lo rimproverava:

" Albè, stai su dritto, che mi pari un corvo!"

Del corvo aveva un po' anche la faccia, con quel naso adunco, le guance scavate e i capelli neri neri che spiovevano lisci e lunghetti, da tutte le parti.

C'era un mondo, sporco e bugiardo, fuori da quella finestra e dentro il monitor, davanti a lui. Lo guardava ma ne restava fuori, nel nido semibuio del proprio ufficio, irraggiungibile e incontaminabile.

Il gioco di poco prima era uno dei modi che aveva trovato per interagire con quel mondo, frapponendosi tra le strane cose che lo popolavano e che trovava moralmente ingiuste. Non credeva in Dio, perché nessuno glielo aveva insegnato, ma non per questo mancava della capacità di distinguere i modi corretti da quelli che non lo erano.

Lo disturbavano la scortesia, la menzogna, il sentore d'iniquo dentro le vite umane...lui non si considerava uno di loro, era piovuto per caso, su quel pianeta, alieno ai biechi costumi dei propri tempi, costretto a vederli ma non a subirli, destinato alla missione di riparare torti, quando possibile.

Non era difficile, infondo, affidare a se stesso un tale compito. Non ne aveva  altri.

Vissuto con la madre sino alla sua morte, abitava ancora nella vecchia casa, nella vecchia strada, e il vecchio gli era entrato dentro, a volte non ricordava quanti anni aveva, gli pareva d'essere al mondo da un'eternità. Le facce ai davanzali che sbirciavano i passanti, tra le piantine di salvia e basilico, si coprivano di rughe, giorno dopo giorno, qualcuna spariva, ne giungevano di nuove...non accadesse mai che la platea di non paganti spettatori della vita altrui restasse vacante...di cosa avrebbero parlato poi, le vedove, incontrandosi sull'irta salita che conduceva al camposanto?



Il sommesso brusio di tutte quelle voci lo irritava almeno quanto le ingiuste cose che tentava di commentare. Era fine a se stesso, perciò inutile, come la macina che gira ancora, e ancora, quando il grano da macinare è ormai terminato.

Probabile, anzi certo, che fosse anch'egli oggetto di quello sterile sciabordio di commenti.

Non che gli importasse, in realtà. Era vaccinato contro le stronzate. Aveva

sempre ben fisso in mente chi era, cosa rappresentava, tutto il resto era...noia, come nella canzone.

 Superata quella, giungeva l'ora dei torti da riparare, Alberto strisciava fuori dal proprio lindo universo ed incontrava i morti viventi...lo incuriosivano ma non riusciva proprio ad ignorare l'orrore di ciò che vedeva, perché per quanto apparissero viventi, sempre morti erano, infondo.

Ad esempio, in passato gli era capitato di dover "punire" un'arrogante signora sulla cinquantina, una persona dall'apparenza sin troppo cortese ma intimamente sgradevole e invidiosa. Disprezzava l'immagine intrisa di buonismo e pietà che elargiva di sé, nell'evidente certezza che ella era tutt'altra cosa. Conosceva da fonti sicure ( se stesso) quello di cui era capace. Era riuscita a sabotare l'azienda del cognato, provocandone il fallimento, senza farsi il minimo scrupolo della sorte della sorella e dei nipoti, naturalmente a causa dell'invidia che provava nei suoi confronti, la quale andava consumandola fin dall'infanzia. Nonostante tutto riusciva ancora a fingere, perfino con se stessa, di non essere responsabile di quanto successivamente accaduto.... Il lassativo nelle gocce di sedativo per la tosse di certo aveva svolto il suo ottimo, mirato compito, ponendola sul water, con la livida faccia contratta per il resto della nottata.

Le aveva regalato una cosa molto, molto preziosa: tempo per riflettere. Ma ella ne aveva fatto buon uso? Dubitava.

Probabile avesse impiegato anche quello ad invidiare, magari i propri più stretti familiari che, nelle loro stanze da letto, ai suoi occhi, erano colpevoli di dormire  immeritati sonni tranquilli.

Il farmacista non era per niente un illuso. Alcune persone, rifletteva, nascevano maligne e cieche ai bisogni altrui, e nulla poteva cambiarle. Punirle poteva servire a ristabilire un equilibrio, come porre un sasso sul piatto della bilancia del bene, rimasto asimmetricamente più alto, con la consapevolezza però, che tale equilibrio non sarebbe durato.

Essendo quasi giunta l'ora di andare a casa, si alzò stiracchiandosi, dalla poltrona della scrivania e cominciò a sbottonarsi il camice. Qualcosa di piccolo e metallico cadde sul pavimento, di fronte a lui, così Alberto si chinò a recuperarlo: Si trattava della spilla che tutti i farmacisti usano appuntarsi addosso, quella rappresentante il caduceo. La raccolse e prese a girarsela tra le dita, ammirò i serpenti intrecciati al bastone, simbolo della mitologia magico/medica di lotta ed equilibrio, di energia vitale che si articola intorno alla materialità mostrata dal bastone. Ai suoi occhi ciò rappresentava tutto quello che poteva essere duplice, dalla natura umana al doppio significato della parola farmaco, derivante dal greco, alla quale si poteva associare sia il termine "medicina" sia "veleno". L'unica discriminante era costituita dalle dosi, ma questo non era certo un  problema per lui. L'aveva sempre affascinato, il grande potere di tutte quelle boccettine colorate, al punto di desiderare iscriversi alla facoltà di farmacia perché quel gingillarsi proseguisse in eterno e diventasse il suo lavoro.  

E così era stato.

Uscì con calma, chiudendo porte e finestre, ma lasciando acceso il computer, che di lì a poco sarebbe servito ai suoi colleghi che lavoravano di giorno. Erano due ragazzi ed una ragazza, sufficientemente cortesi da non aver mai meritato nessun tipo di "scherzo" da parte sua. Fino ad allora.

Lo stesso poteva dire del suo principale, Sandro Corsini, un tipo gioviale ed espansivo. Lo incontrò sul marciapiede proprio mentre s'incamminava verso casa.

" Alberto! Tutto a posto, stanotte?"

" Certo, signor Corsini, come sempre."

" Ah, bene, bene, io vado dentro, ho avuto proprio una nottataccia...magari mi faccio una mezz'ora di sonno sul divanetto dell'ufficio, prima di aprire..."

Alberto lo guardò, interrogativo.

" no...è che stanotte è venuto il maresciallo Borgo a svegliarmi, saranno state le tre, tre e mezzo...è successa una cosa, Alberto, ma una cosa..."



Sandro Corsini gli mise il braccio sulla spalla, avvicinò la bocca al suo orecchio e bisbigliò: " Tra qualche ora lo sapranno tutti....hanno trovato il fruttivendolo, Piero...si è suicidato con i sonniferi...che tragedia, che tragedia, l'ha trovato la sorella..."

Finalmente Alberto trovò qualcosa da dire:

" Nooo! Ma perché sono venuti a svegliare proprio lei? Non potevano chiamare l'ambulanza?"

" Il fatto è che la sorella si è messa ad urlare che lui non li aveva mai presi i  sonniferi, per dormire, allora il maresciallo ha voluto sapere da me se di recente glieli avevo venduti...non mi ricordo di averlo fatto, in ogni modo controllerò se ci sono ricette di quel genere a suo nome...a te viene in mente nulla?"

Alberto guardava dall'altra parte della strada. S'era sollevata poco poco una tapparella al primo piano. Dall'altra parte un orecchio indiscreto cercava di intercettarli. Abbassò ulteriormente la voce:

" No, proprio nulla, di notte non l'ho mai visto..."

Si salutarono, scuotendo alternativamente le teste e  commentando "mah" e "boh"quel tanto che li fece sentire a posto, poi ognuno andò per la sua strada.

Qualche negoziante ciondolava verso il bar per il primo caffé della giornata, Alberto salutava ciascuno con il suo anonimo sorrisetto. Avrebbe voluto dire loro: " So tutto, si, so tutto, che credete.".

Ma era più divertente fingere d'ignorare.

Al momento giusto, ce n'era sempre uno, bastava aspettare.

Anche Piero aveva avuto bisogno di un po' di tempo, prima di decidersi. La prima lettera anonima gliel'aveva recapitata un mese e mezzo prima. Non era accaduto nulla. La seconda l'aveva ricevuta quindici giorni fa. L'ultima era di tre giorni addietro. Bastava avere pazienza, una boccettina nella cassetta della posta, qualche buon consiglio e voilà: un pedofilo in meno sulla terra. Se non era magia quella.

Immaginò Hermes, psicopompo alato, nell'atto di condurre l'abominevole anima di quell'uomo verso l'oltretomba. Lo spingeva innanzi, verso la tenebra eterna, impugnando il caduceo come un forcone.

© Helga Dusetti





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