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Mi chiamo Tito…e non ho più alternative. Capita. Una notte di quindici anni fa un uomo saggio mi chiamò a casa sua. Mi fece sedere, mi offrì una birra e poi, fissandomi dritto negli occhi, mi disse: -Ricordati sempre una cosa, Tito, in qualunque situazione tu ti verrai a trovare nella vita, fai sempre in modo di avere già un’alternativa pronta per poterne uscire. Sempre. Un giorno, quell’alternativa potrebbe fare la differenza. Io annuii, con la sfrontatezza di chi la vita la prende a calci in culo tutti i giorni senza problemi. Poi, quell’uomo saggio, prese il telefono, compose un numero guardandomi con l’espressione di chi la vita l’ha invece vissuta già due volte, e pronunciò più o meno queste parole: -Lui è qui, venite a prenderlo e non dimenticate il patto. Riagganciò, sfilò la pistola che teneva dietro la schiena con la nonchalance di una mignotta che ti chiede la marchetta e disse: -Mi dispiace ragazzo ma questa volta la mia alternativa sei tu. Capita. Sta a te, ora, trovare la tua. In una manciata di secondi la mia mente passò dallo stato di ammirazione per quell’individuo, all’elenco di epiteti più o meno volgari nei confronti di sua madre per giungere in fine alla ricerca di una stronza alternativa che, ovviamente, non trovai. Ma l’incoscienza dei vent’anni travestita da coraggio, si sa, può a volte supplire alla mancanza di alternative. Il mio scatto fulmineo lo colse impreparato. Puntai dritto verso la mano che mi puntava l’arma e gli bloccai il braccio. Fu il calcio più doloroso che io abbia mai preso nelle palle. Cadi in ginocchio di fronte a lui che scuoteva la testa. Senza fiato e con lo sguardo annebbiato dal dolore. Rimasi in quello stato per circa dieci minuti, giusto il tempo necessario all’arrivo dei miei nuovi custodi. Erano in due ma la luce della lampada alogena proiettava sulle parerti l’ombra di quattro persone. I gemelli Kasinsky erano la creme della creme. L’elite nel campo del problem solving. Avevano scomodato i migliori. Questo poteva voler dire solamente due cose: 1)che mi tenevano in considerazione e mi temevano; 2) che avevano fretta di ottenere quello che cercavano. Va da sé che in certi ambienti, quando sei molto giovane, è difficile che qualcuno ti tema e ti tenga in considerazione. I gemelli Kasinsky. In giro si diceva che la loro madre li avesse partoriti in coppia nella speranza che insieme potessero avere un cervello normale. Purtroppo la poveretta fallì nel intento pagando il suo errore con un pestaggio a sangue e un furto da parte dei suoi pargoletti sedicenni. I gemelli Kasinsky. Bambini imprigionati nel corpo di due gorilla di montagna, con l’istinto da velociraptor e la capacità cerebrale inversamente proporzionale alla quantità di colla che sniffavano. Si presero cura di me e delle mie ossa per tre giorni, fino a quando non gli dissi quello che volevano sentire (questa mondo non è fatto per gli eroi…). Era stupefacente la meticolosità e la professionalità che mettevano nel loro lavoro. Qualcosa decisamente degno di ammirazione. Una volta ho letto da qualche parte che è una peculiarità dei soggetti autistici eccellere in una qualche capacità. Confermo appieno questa teoria. Si divertivano come ragazzini al Luna park. Il ché sarebbe stato anche piacevole da vedere, se non fossi stato io il luna park. La quarta notte, convinti che non sarei arrivato al giorno dopo, mi mollarono dentro un fosso. Dovetti deluderli mio malgrado e sopravvissi. Immagino che i gemelli ci siano rimasti male una volta saputo. Capita. Non ho un gran ricordo di quelle ore, se non il dolore, il freddo e il mio sapore speciale. Digressione n°1:Il sapore speciale. Il sapore speciale è qualcosa che ciascuno ha. Si sviluppa nell’infanzia diciamo all’incirca tra i sei e gli undici anni. E’ unico e, una volta definito, non cambia più per tutta la vita. Il sapore speciale è esclusivo, ognuno ha il suo. Può essere qualsiasi cosa, la crostata di mele di nostra madre, il patè di fegato d’oca della vicina, il gelato del chiosco che si trovava sulla spiaggia dove andavamo in ferie da piccoli, il sapore delle guance della nostra compagna di banco. Non esistono parametri per stabilire quale sarà, se non uno: il ricordo a cui è legato. Il suo unico scopo è quello di apparire nei momenti di disperazione. Non parlo di disperazione di serie B tipo, lo sfratto, la macchina rubata o le vacanze annullate. Parlo di disperazione extralusso. Parlo di quei momenti in cui hai la netta sensazione che la vita ti stia fottendo senza nemmeno degnarsi prima di baciarti. E’ in quei momenti che lui appare. Proprio quando ti sembra che non ci sia più nulla da fare, quando non ti resta che la disperazione e la paura ti torce lo stomaco, il sapore speciale viene in tuo soccorso e ti riempie la bocca. Il mio sapore speciale è quello del pane con le olive che mia nonna preparava ogni domenica. Tutti i sabato sera rimanevo ad osservala in cucina mentre mescolava l’acqua, la farina,il sale ed il lievito. La osservavo snocciolare con calma le olive e poi preparare l’impasto. Guardavo le sue mani sprofondare in quella poltiglia e trasformarla in una perfetta palla di pasta fresca. Era magia. E ricordo il suo sguardo nel mio ed il sorriso mentre lo preparava. Poi, alla fine, mi sussurrava: - Ed ora, i nostri ingredienti segreti. Allora mi chiamava vicino a se, mi abbracciava, mandava un bacio all’impasto e mi diceva di fare altrettanto. Quando, la mattina successiva mi svegliavo, la casa era immersa in un profumo caldo e intenso. Saltavo giù dal letto, correvo in cucina e lei era lì che mi aspettava, seduta al tavolo con davanti un canovaccio che nascondeva qualcosa. Sollevava il canovaccio e io mi tuffavo su quella immensa pagnotta di pane ed olive, sbranandola e riempiendomi la bocca d’amore. A questo serve il sapore speciale: a liberarti dalla disperazione e riportarti a casa. Ovunque essa sia. Fine digressione n°1 Da quel giorno e da dentro quel fosso, promisi a me stesso che avrei sempre avuto un’alternativa, e ci sono riuscito. In questi anni ho saputo crearmi alternative a tutte le situazioni difficili in cui mi sono trovato. A volte onorevoli a volte a scapito di altri (…e gli eroi non sopravvivono in questo mondo). Ci sono sempre riuscito. Fino ad oggi. Oggi, come quella notte di quindici anni fa, non ho nessuna alternativa. Capita. Sono arrivato in questo posto circa un mese fa. Ci sono venuto perché era la mia alternativa. Dov’ero prima non stavo male. Avevo una casa, amici e tutte quelle cose che servono per definire decente una vita. Gli affari andavano bene, in crescita costante. Ho commesso un solo errore: scoparmi la moglie del capo. Una banale ed estremamente eccitante storia di sesso. Lei carina, annoiata e troppo pigra per cercasi un amante, io disponibile e un po’ più decente esteticamente di suo marito. In realtà l’errore non è stato scoparla, l’errore è stato lasciare che il marito venisse a saperlo. Certo, forse avrei dovuto cercare di chiarire la cosa in modo civile ma, in genere, se il tuo capo è un pazzo violento che gira armato accompagnato da tre bestioni costantemente incazzati neri e altrettanto forniti di ferraglia, è consigliabile prendere in considerazione il fatto di andarsene velocemente di notte prendendo solo il necessario. E così ho fatto. Ho scelto questa città semplicemente perché aveva tutto ciò che mi serviva per ricominciare; una zona industriale, una periferia abitata da gente al limite della povertà, una zona residenziale, un centro con dei locali notturni e soprattutto, una alta concentrazione di esseri umani vuoti e disillusi avidi di finte emozioni da poter rinnovare ogni sera a prezzi modici. A volte mi sono chiesto perché, alla fine, scelgo sempre luoghi così squallidi. A volte mi sono risposto che il motivo è che scelgo posti che hanno lo stesso odore e lo stesso colore della mia vita. Altre volte, invece, mi sono risposto sinceramente. Sono arrivato di notte, come sempre. Quando arrivi di notte, nessuno ti nota, nessuno percepisce il cambiamento. La città ti assorbe in silenzio nei suoi meccanismi. Nessuno scompenso. Nessuna alterazione nel suo metabolismo. Diventi semplicemente parte integrante di un immenso organismo. E, il giorno dopo, per tutti ci sei sempre stato, sei lì da sempre e, in quanto tale, non sei motivo di alcuna attenzione o curiosità. Mi limito a mimetizzarmi nell’indifferenza. Questo mi consente di lavorare e vivere più tranquillo. Il primo giorno l’ho dedicato alle esigenze primarie: trovare un alloggio e conoscere la città. Dal secondo giorno ho cominciato a guardarmi in giro, a prendere informazioni sulla situazione locale in modo da potermi scegliere un capo che corrispondesse il più possibile alle mie esigenze. Sono sempre stato molto professionale e corretto nel mio lavoro (se escludiamo qualche stronzata), lo so fare bene e riesco a guadagnare discretamente. Questo è importante in certi ambienti perché, come si dice: “la tua fama ti precede”. In tutti gli incontri avuti nei primi quattro giorni, le persone che mi sono trovato di fronte sapevano già tutto di me, a volte anche più del previsto (contavo sul fatto che il mio ex capo avesse evitato di far trapelare la notizia che non era l’unico a scoparsi sua moglie.) Al termine del quinto giorno non avevo ancora scelto con chi lavorare. I colloqui non mi avevano convinto. Alcuni li avevo scartati dopo pochi minuti, altri mi soddisfacevano solo in parte. Questa è una fase delicata del mio lavoro. La scelta della persona con cui farai affari determina se, nel periodo successivo, la tua vita sarà piacevole oppure un inferno e a me l’inferno non è mai piaciuto. La sera del sesto giorno mi sono accordato per un vicolo poco lontano dal centro. Ho atteso qualche minuto, poi mi si è avvicinato un uomo. Stranamente da solo. Era poco più alto di me, completamente rasato. I vestiti sobri ma eleganti che indossava mettevano in risalto la struttura fisica di un individuo atletico e decisamente in forma. La vistosa cicatrice sulla fronte e i tatuaggi sparsi tra le braccia ed il collo stridevano un po’ con l’abbigliamento ma, nell’insieme, il tutto aveva una sua armonia. Ciò che mi colpì fu lo sguardo. Uno sguardo, duro, attento, decisamente pericoloso, ma sincero. Si chiamava Tarek ed era ciò che cercavo. E così, dopo circa una settimana, ero di nuovo in affari. Lavoravo per un immigrato tunisino laureato in legge, pericoloso ma sincero e con il senso degli affari di un broker di wall street. Gli ho chiesto carta bianca fin dal primo giorno ( a me piace condurre le trattative a modo mio) e lui me l’ha concessa ( a lui piaceva come conducevo le trattative a modo mio). Nel giro di qualche giorno lavoravo già a pieno ritmo. La zona era tranquilla e i clienti pure. Gente con i soldi alla mano che si ferma solo il tempo necessario e non fa storie. Un contesto ideale. Solo una volta ho avuto un problema di poco conto con uno stronzetto che pretendeva di andare a credito in quanto figlio di non so quale cazzone. Si era alterato sentendosi dire di no. Aveva cominciato ad alzare la voce,a minacciare. La gente si stava incuriosendo e questa non è una buona cosa. Fortunatamente la situazione si è conclusa in modo veloce ed indolore. Indolore per me. Giusto il tempo di chiarire la situazione rigando la carrozzeria della sua macchina extralusso con i suoi denti extrafinti . Quella è stata l’unica sera in cui Tarek si è permesso di redarguirmi. L’ha fatto in modo molto gentile e ha terminato dicendomi -Tito,stai attento a non sottovalutare certe persone. Cerca di affinare sempre più il tuo istinto di sopravvivenza. L’istinto di sopravvivenza si sviluppa anche con esperienze del genere. Io, come sempre, mi sono limitato ad annuire evitando di contraddirlo esponendogli il teorema degli otto secondi. Digressione N°2: Il teorema degli otto secondi. Tutte le persone, indipendentemente dal tipo di vita che conducono, hanno una loro personale idea su cosa sia la capacità di sopravvivenza. In certi ambienti la capacità di sopravvivenza è tenuta molto più in considerazione che non in altri, per ovvi motivi. La maggior parte degli individui considera questa capacità un qualcosa che si affina nel tempo e che si manifesta con astrusi metodi di comportamento nei confronti del pericolo, quando questo si manifesta. Tale teoria, purtroppo, si basa su una errata interpretazione del concetto stesso di capacità di sopravvivenza la quale non è la capacità di affrontare un pericolo una volta che questo ci si pone davanti, bensì la capacità di prevenirlo ed evitarlo. Il ché ci porta al teorema degli otto secondi. Ogni qual volta si viene a creare una situazione potenzialmente rischiosa, la nostra possibilità di sopravvivenza è legata ai primi otto secondi. Se in questo lasso di tempo noi riusciamo a dedurre l’eventuale pericolosità della persona che abbiamo appena incontrato, o a capire con uno sguardo, entrando in un locale, quali siano le persone che potrebbero darci problemi,allora la nostra incolumità è sostanzialmente al sicuro (salvo eccezioni…). Oltre gli otto secondi la probabilità di sopravvivenza precipita inesorabilmente. Stabilizzandosi intorno al cinque percento passati quindici secondi. Io riesco a farlo in sette secondi. Fine digressione n°2 Se escludiamo quella volta, grossi problemi non ce ne sono più stati. Le cose sono filate quasi sempre lisce, a parte qualche piccolo contrattempo di poco conto. Lavorare con Tarek è decisamente un piacere. Lei, invece, l’ho incontrata qualche tempo dopo, circa due settimane fa. Stavo tornando a casa dopo un’intensa serata di lavoro. Erano circa le quattro di mattina. Il parcheggio sotto casa era vuoto tranne che per una macchina con il cofano aperto. Mi sono avvicinato attirato dai borbottii che giungevano dalla parte anteriore. Erano parole incomprensibili ma dal tono si intuiva che si trattava di imprecazioni. Ho dato un’occhiata e ho visto una chioma di capelli ricci color rosso castano, china sul motore. Era chiaro che era la chioma ad emettere imprecazioni. -problemi con il motore?- ho chiesto. -no- mi ha risposto la chioma, stazionando sopra il motore –mi capita certe volte. Sai, mi prende una voglia irrefrenabile di fermarmi nel mezzo della notte, meglio se d’inverno con la nebbia e in un posto isolato, scendere, aprire il cofano della macchina e cominciare a smontare il motore. Cosa ci vuoi fare, ognuno ha le sue manie. Hai altro domande del cazzo da fare o posso andare avanti? Coglione. Credo di essermi innamorato di lei al “no” e di aver consolidato il mo amore a:“coglione” Mi sono offerto di darle una mano. Lei ha accettato. Dopo circa mezz’ora ho preso in considerazione l’eventualità di chiamare un carro attrezzi e di invitarla a scaldarsi facendo colazione insieme in un locale aperto lì vicino. Dopo circa trequarti d’ora stavamo parlando seduti ad un tavolino. Si chiamava Teresa. Uno dei nomi più brutti mai sentiti. Non gliel’ho mai detto. Un po’ per non offenderla, un po’ per non prendermi uno schiaffone e un po’ per timore che commentasse il mio di nome. Era l’essere vivente più affascinante che avessi mai incontrato. Dico essere vivente perché la considerazione non riguarda solo le donne ma, più in generale, può essere estesa ad esseri umani, animali e vegetali. Era molto carina. I capelli ricci, inumiditi dalla nebbia, le cadevano lungo le spalle. Alcuni le rimanevano appiccicati al viso. Aveva la pelle color del latte. Colorata in ordine sparso da piccole lentiggini che contribuivano a renderla ancora più attraente. Restammo in quel posto a chiacchierare fin quasi l’ora di pranzo. Verso le nove, mentre il succo d’arancia colava sui miei pantaloni e lei rideva della mia goffaggine, ebbi la netta sensazione di trovarmi di fronte qualcosa di unico, qualcosa che avevo sempre cercato. Alle undici circa, la sua voce, i suoi pensieri, le sue risa, erano diventati talmente preponderanti nella mia mente da rendere la sua bellezza quasi un disturbo. L’ho invitata a cena la sera stessa. La notte stessa siamo finiti a letto e abbiamo fatto l’amore per la prima volta. Siamo rimasti in quel letto per tutta la settimana successiva. La sera lei usciva per fare le sue cose e io andavo dai miei clienti. Ci ritrovavamo la mattina, verso le quattro, e tornavamo nel letto. Sapevo che stava uscendo da una storia ormai finita e doveva parlarne con il suo uomo, per il resto io non le ho mai chiesto cosa facesse, lei non lo ha mai chiesto a me. Anche se ad un certo punto immagino lo abbia capito. Penso che non me lo abbia mai chiesto perchè sapeva che comunque non avrei cambiato la mia attività, nemmeno per lei e quindi, non aveva senso affrontare l’argomento. Teresa, il mio tempo migliore. E siamo ad oggi. Questo pomeriggio mi ha chiamato un tipo chiedendomi di potermi vedere questa sera in un locale che non conoscevo vicino al centro: il Caron Dimonio. Il numero lo aveva avuto da una persona di fiducia di Tarek. Nessun problema. Sono arrivato dieci minuti prima dell’orario, tanto per orientarmi. Tutto tranquillo. Un locale alla moda, pieno di gente alla moda, con vizi tradizionali. Buon per me. Sono entrato mimetizzandomi tra l’indifferenza e come sempre è scattato il conto degli otto secondi (ma come sempre io ci riesco in sette). Uno: il barista e i due camerieri li ho già visti,sono miei clienti abituali,tranquilli. Due:il tipo seduto da solo all’angolo potrebbe essere lì per osservare, meglio evitare quella zona. Il resto dei tavoli:coppiette. Tre:quarto sgabello del bancone verso la colonna. Eccolo lì lo sbruffone del bar, l’attaccabrighe. Se comincia a fissare valutare se provare a conoscerlo o distogliere lo sguardo. Non vedo il cliente. Sarà in ritardo. Quattro: c’è anche Tarek nel divanetto qui a fianco. Ecco dove viene di sera. Adesso viene a salutarmi. Prima il dovere, però. Cinque: Come mai Tarek è qui? Non doveva tornare domani? Sei: Come mai al tavolo di Tarek c’è ,Teresa? Cazzo sta piangendo. Sette:…… Otto secondi (io ci riesco in sette) e la tua incolumità è praticamente certa. Salvo alcune eccezioni. Quindici centimetri di acciaio affilato che ti trapassano il fegato al sesto secondo sono un tipico esempio di eccezione. Capita. Questa volta però non ho colpe. Non potevo sapere di lei e del mio capo. Se lo avessi saputo avrei evitato. No, non lo avrei evitato. Non avrei evitato lei. E lo sai anche tu, tunisino laureato. Un colpo solo. Veloce, preciso, definitivo. Bravo Tarek. Ci vuole stile anche in questo. E adesso vai, esci con disinvoltura e poi corri. Corri. Prendi la macchina e vattene prima che la gente mi veda a terra e capisca cos’è successo. Corri, prima che qualcuno cominci a dire -è stato il tipo rasato! Il tunisino! Vai Tarek, il tempo è troppo veloce e tu sarai sempre troppo lento. Ti stanno già cercando. Forse prima o poi ti troveranno. Spero di no. Buona fortuna amico. Un affondo così preciso eppure il dolore è quasi assente. Non sento più le gambe, ma credo sia normale. Ho freddo, questo si. A parte le mani, ma è il sangue che le scalda. Che cazzo guardate tutti? Non avete mai visto un uomo accoltellato? Che cazzo di domanda. Eccoli i miei clienti affezionati che vengono a trovarmi. Cercate pure nelle tasche ragazzi. Questo giro lo offriamo io e Tarek. Dite pure di spegnere le sirene, non ce n’è bisogno. Preferisco passare inosservato. E’ il mio stile. Beh, ci ho provato. Per un bel po’ ci sono anche riuscito. Ma adesso, come quella notte, non ho una via di uscita. Non l’avevo prevista. Capita. Basterebbe solo ancora un po’ di tempo, solo un po’ e forse… potrei farcela anche questa volta. Ancora un po’… per dargli modo di arrivare. Si, eccolo, lo sapevo. Bastava attendere. Il mio sapore speciale non mi abbandona mai. Ora è tutto a posto. Ci sono riuscito anche questa volta. Capita. Mi chiamo Tito…e adesso ho un’alternativa. Sto tornando a casa.
©
Paolo Zaffaina
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