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La battaglia era stata feroce ma l’esito scontato già dal primo istante. La mente rifiutava di accettare, opponendo ragionamenti inoppugnabili, ciò che il mio cuore desiderava. Istinto contro ragione, una guerra lacerante, distruttrice, aspra e senza esclusione di colpi mi dilaniava l’anima ma che, come sempre, si spegneva davanti alla profonda intensità del tuo sguardo, alle parole non dette, alle promesse mai formulate, alla tenerezza delle tue carezze, alla dolcezza infinita dei tuoi baci. Il risultato era lì, evidente, davanti ai miei occhi, come la realtà, che si mostrava chiara ed inequivocabile, in quei pochi metri quadri affacciati sul mare. Il letto gualcito, vissuto, i vestiti sparsi frettolosamente all’intorno, l’impronta appena abbozzata del mio corpo da un lato e tu, l’uomo della mia vita, addormentato, dall’altra parte. Mi ero alzata furtiva, senza fare rumore. Adoravo guardarti, studiare il tuo corpo, spiare ogni pulsione involontaria di vita, attendere il tuo risveglio. Osservavo in silenzio il torace che si alzava e si abbassava ritmicamente mentre accompagnava il tuo respiro regolare. La fronte alta e spaziosa su cui ricadeva un arruffato ciuffo di capelli castani, unico indizio rimasto dell’intensa passione appena condivisa. I lineamenti del viso appagati e distesi, le palpebre abbassate e la leggera ombra di barba, ti rendevano vulnerabile come un bambino e non più l’amante virile e appassionato di pochi istanti prima. Ero innamorata di te, me lo ripetevo fino allo stordimento mentre fissavo l’orizzonte oltre le persiane semiaccostate. Avevo il tuo cuore e conoscevo la profondità del tuo sentimento ma i bagliori fulvi del giorno ferito che lentamente moriva, abbandonandosi, sfinito, tra le braccia della nera notte incipiente, acuivano la mia disperazione e rendevano ancora più doloroso il senso della mia impotenza. Quell’originario prodigio della natura si rifletteva nei miei pensieri. La rossa atmosfera, li circuiva e se ne impossessava, tingendo dei suoi colori infuocati, la mia inarrivabile chimera, la sconveniente relazione che come un gorgo impetuoso travolgeva e sprofondava la mia vita in baratri abissali. Ci incontravamo di nascosto, da oltre tre anni ormai, nei pomeriggi rubati al lavoro. La minuscola mansarda che si affacciava sul mare era il nostro rifugio, il luogo dove, nei brevi ritagli di tempo che riuscivamo a trovare, costruivamo il nostro sogno ad occhi aperti. Inventavamo insieme un rapporto impossibile ed alimentavamo, per non farlo appassire, il nostro sentimento di ingenue illusioni benché, da un pezzo, non fossimo più ragazzi. In quel tardo pomeriggio d’autunno la spiaggia era deserta. Dopo il chiasso caotico dell’estate appena trascorsa tutto appariva tranquillo, solitario, immobile ed immutabile… Ma nella natura come nella vita tutto cambia, niente è per sempre, tutto si muove e lentamente si trasforma. Le piccole onde che ora sciabordavano frizzanti sulla riva, in inverno, gonfiate dal vento di libeccio avrebbero sferzato la spiaggia con la loro irruenza, violentandola e modificandone i contorni e lasciato sulla riva i resti della sua irriverenza: conchiglie, legnetti, tronchi e immondizia. Più o meno quello che sarebbe accaduto nella mia esistenza. Eppure nonostante la clandestinità, gli incontri segreti, il dover cancellare le mie impronte dalla tua vita non mi sentivo sporca. Mi chiedevo solo quanto ancora sarebbe durato? Quanto avremmo resistito ad essere noi stessi solo per poche ore la settimana? Per quanto ancora mi sarei dovuta accontentare delle briciole che lasciavi cadere per me dalla tua vita? Non mi servivano spiegazioni, montagne di parole superflue. Avevo preso consapevolmente la decisione di entrare in quel ruolo e non mi importava di essere l’altra! L’avevo istintivamente saputo fin dall’inizio e lo avevo accettato nello stesso momento in cui il mio corpo, con amore e senza riserve, aveva accettato il tuo. Ma adesso, mentre attendevo che la mareggiata spazzasse le ombre dalle nostre vite, cancellasse antichi errori personali, scelte sbagliate, che gravavano sulle esistenze di entrambi, avevo paura. Paura di non trovare le nostre impronte sulla spiaggia ma solo conchiglie, legnetti, tronchi e una montagna di immondizia… Ti giri nel letto, apri gli occhi e mi avvolgi nel calore del tuo sorriso. Allunghi le braccia per invitarmi a ormeggiare il mio cuore in quel porto sicuro. Il contatto con la tua pelle cancella ogni dubbio, mi restituisce la forza per aspettarti. Forgeremo insieme il nostro futuro nonostante tutto e contro tutti. In quel tramonto solenne, persa nel tuo respiro odoroso di brezza marina, lascio affogare i pensieri tra le creste spumose del desiderio che con ondate prepotenti sommerge di nuovo il mio corpo mentre un carminio dardo di fuoco colpisce, beffardo, il tuo anulare dove ancora inutilmente brilla, spavalda e arrogante, la fede nuziale.
©
Cinzia Baldini
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