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Esistono due specie attigue ad Homo sapiens sapiens: gli scimpanzè e le scimmie – uomo. I primi hanno il 99,6% del patrimonio genetico simile agli umani, ma la razza che definisco scimmia-uomo cui appartengo, ne ha il 99,8%. Avendo avuto nella nostra razza grandi scienziati mai riconosciuti tali, abbiamo da tempo stabilito le nostre genetiche percentuali equidistanti tra umani veri e scimpanzè. Noi scimmie-uomo, poche ed in via di estinzione, abbiamo aspetto di scimmia, ma intelligenza umana. Non siamo in grado di parlare, ma pensiamo come voi. Oggetti preistorici come cannule ossee forate usate come zufoli e molti dipinti rupestri, furono opera di miei antenati ancestrali e non dei Neanderthaliani come credete. Mi catturarono nella savana sub-equatoriale insieme con molti scimpanzè. Piansi sia per la perduta libertà sia per la mia compagna e la prole lasciati soli ai bordi del deserto. Da allora odiai gli umani. Fui rinchiuso in questo zoo dividendo la cella con due veri scimpanzè. Il guardiano che ci portava da mangiare era terribile sia perché umano, sia perché non aveva pazienza con gli animali. Malediceva il lavoro che lo metteva al servizio delle bestie. Coi leoni stava zitto. Dopo aver chiuso le belve nel secondo scomparto, entrava nella gabbia vuota, la ripuliva cambiando l’abbeverata e aggiungendo in mangiatoia i pezzi di carne. Contro noi scimpanzè e contro me né uomo e né scimpanzè, bestemmiava e ci prendeva a mazzate. I miei compagni con acute grida disperate saltavano su una specie di tronco monco aggiunto nella cella. Mi rannicchiavo invece in un angolo tremante. Dalle brache gli pendeva un mazzo di chiavi e tra queste una universale con cui aprire e chiudere le tutte celle. Aspettai che s’inchinasse a cambiare l’acqua della mia gabbia e con rapidità gli sfilai il mazzo di chiavi rifugiandomi nel grottino dove d’inverno ci ripariamo. Vide che gli avevo sfilato le chiavi e bestemmiando cercò di acchiapparmi piegato in avanti come una scimmia quadrumane. La zazzera di capelli lunghi e neri calata sugli occhi completò l’aspetto animalesco. Gridava forsennato contro di me premuto nel fondo del cunicolo: “Questa volta ti ammazzo. Ti strozzo. Dammi le chiavi, scimmia di merda.” Dall’anello avevo sfilato la chiave universale e gli buttai il resto del mazzo che afferrò. Se ne andò senza aggredirmi forse temendo di prendersi un morso. Disse come se capissi ed in effetti capivo: “Scimmia, con me hai chiuso. Domani di buon mattino ti ammazzo.” Chiuse il cancello con un catena di riserva ed andò nella guardiola a prelevare il duplicato della chiave universale con cui ci serrò. Ripeté le minacce digrignando i denti come le fiere: “Scimmia della malora domani ti ammazzo.” Passava il mattino presto a pulire le gabbie e a distribuire alimenti. Altri facevano le stesse cose con le gabbie degli uccelli, altri con quelle dei dromedari, giraffe ed elefanti. La notte andai di soppiatto ad aprire le celle dei leoni, delle iene, tigri e puma. Spalancai i cancelli e saltai sopra le gabbie tornandomene nella mia dopo aver chiuso l’entrata con la chiave universale. Nei bagliori del plenilunio vidi belve ringhianti girovagare con circospezione nei sentieri dello zoo. Alcune acquattate nei prati. Al mattino presto arrivarono i guardiani per le solite mansioni. Il mio si era diretto come faceva, alla gabbia dei leoni. Portava con se la grossa busta di plastica piena di carne. Le belve annusarono l’aria, lo circondarono e accecate dalla fame lo divorarono insieme con la carne imbustata. Levò grida strozzate. Solo la testa fu indigesta. Gli occhi guardavano esterrefatti il cielo albeggiante. Le belve - il muso tinto di sangue che si leccavano - ricacciate nelle gabbie da sopraggiunte squadre speciali. Commentarono: “E’ stato un fatale errore. Ha lasciato per dimenticanza le gabbie aperte. Stava invecchiando. Poveretto.” Un commissario ebbe dei sospetti: una delle due chiavi universali mancanti, solo le gabbie delle belve aperte…indagò per un po’...a vuoto.
©
Giuseppe Costantino Budetta
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