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Grand Comì de Merd
di Andrea Bucchi
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Indosso sempre una maglietta di Jimi Hendrix, dei Led Zeppelin o dei Black Sabbath sotto la camicia e sotto la cravatta. E’ il mio modo infantile di trovare un compromesso. Oggi tocca ad Hendrix. Mi passo una mano sulle gote. E’ troppo lunga, non va bene. Prendo il rasoio elettrico e mi ringiovanisco la faccia di una mezza giornata. Il nero della camicia mi accentua il pallore del viso ma almeno fa pan-dan con le occhiaie. Oggi per quella roba da schiaffi nello specchio è una giornata no. E cos’è quella cosa che ho in testa? Un tasso? Una martora morta? Non lo so. La pettino.
Ho bisogno di un caffè. Una volta un ragazzo della mia età ha attaccato bottone con me, mi si è presentato dicendo: “Io sono uno studente di filosofia”. “Uno studente di filosofia”. Per quanto la mente di alcuni genitori possa essere perversa, dubito che quello potesse seriamente chiamarsi così. Ad ogni modo, per gentilezza, gli chiesi se potevo offrirgli un caffè. Lui mi rispose che aveva scelto di “non essere schiavo di sostanze come la caffeina, la nicotina e l’alcol”. Mi disse che non beveva nemmeno la coca-cola, a scanso di equivoci. Stava meditando di smettere di mangiare carne perché tutti i grandi padri dell’umanità non mangiavano carne. I piaceri sensibili imprigionano l’anima, per questo, per diventare un grande padre dell’umanità, bisogna praticare astinenza dai vizi, bisogna astenersi dai rapporti sessuali e bisogna astenersi dal mangiare carne.
Io da quella volta, a scanso di equivoci, il caffè lo bevo doppio, nero e non zuccherato.

Fuori asfalto ghiacciato da un paio di giorni di neve, ma tanto io ho i miei stivali quattro per quattro e via.
Il target del ristorante in cui lavoro è medio, ossia il peggiore: la gente ricca da far schifo che fa parte dell’ “alta società” non ha bisogno di sfogare le sue frustrazioni su di un cameriere ma se prendete uno schifosissimo imprenditorucolo neo-arricchito, allora è un’altra storia. Gente che ragiona in denaro contante e che è convinta in ogni momento di dover dimostrare di essere qualcuno. Andatelo voi a spiegare ad uno di questi che con un piatto di linguine all’astice non si comperano pure la vostra anima. Il miglior modo di sentirsi una merda è servire questa gente.

Prendete un monaco buddista zen, fatelo lavorare una sera al posto mio, poi vediamo se la pensa ancora come prima. Facile chiacchierare quando si è tra le mura di un monastero isolato migliaia di chilometri dalla clientela media italiana.
Camicia nera, cravatta e grembiule bordeaux, pantaloni e scarpe nere. Ci sono due tipi di camerieri: i “comì” -ossia “comis de rang”- cioè i portapiatti e poi quelli come me, i “venditori”. Nel ristorante in cui lavoro io, i venditori li chiamano “Macchinette”. Questo nome deriva dall’affare che utilizziamo per prendere gli ordini: una sorta di antenato del palmare grande una trentina di centimetri che chiamano “macchinetta” e che si porta in una fondina attaccata ad un cinturone, di modo che, quando si prende un’ordinazione, ci si possa sentire più fichi di John Wayne. Spaghetti western è una battuta scontata?
Tutto il sistema delle ordinazioni è computerizzato: nella mia macchinetta è stato compresso il menù – un malloppone di un centinaio di pagine – quindi anziché trascrivere i nomi dei piatti su un foglietto, devo utilizzare un motore di ricerca. In cucina ci sono tre piccolissime stampanti: una per i primi, una per secondi, contorni ed antipasti ed una per le pizze. Il mio aggeggio, quindi, faxa direttamente l’ordine alla zona della cucina interessata. Il casino viene fuori quando qualcuno mi ordina un filetto di branzino al forno però senza i pomodori perché non gli piacciono e lo vuole mangiare assieme agli spaghetti al cartoccio di quello che ha davanti ma dopo l’antipasto dello stronzo a capotavola perché gli sta un po’ sulle palle, quindi vuole il suo primo assieme all’antipasto ed il suo secondo assieme alla pasta ma senza pomodori, mi raccomando, e dov’è l’acqua minerale a temperatura ambiente che ha ordinato? Credo che mi paghino per non rispondere :“Affanculo, signore”.
I cuochi sono tutti egiziani quindi a volte sorgono problemi di incomprensione e quando si incazzano ti chiamano qualcosa che suona come “ caharùff – capra – israeliana”. Sapete che non corre molto buon sangue da quelle parti..

Entro e mi accolgono con una fantastica notizia: oggi ci sono 140 prenotati. I colleghi che mi salutano “Andrea” sono solo in due o tre, gli altri mi chiamano “Bucchi” anche lì: lo trovano più affettuoso. Tra i centoquaranta coperti prenotati c’è anche un ragazzo che odiavo quand’ero al liceo ma il vantaggio di fare il cameriere è che la gente fatica a riconoscervi. Avete presente i quadri di Magritte? Spesso lui nelle composizioni ci metteva dentro dei sonagli, un tipo di sonaglio che in quel periodo era un gadjet diffusissimo e alla moda ma quando la gente lo vedeva nei suoi quadri si grattava la testa e si chiedeva cosa fosse. E’ una menata surrealista che si chiama “decontestualizzazione dell’oggetto”. Più o meno quello che succede quando la gente mi vede al lavoro: magari gli ricordo qualcosa ma al di fuori del mio legittimo contesto perdo la mia reale identità e sono solo un cameriere. Di fatti lui non mi riconosce. Meglio così.

Di sottofondo c’è sempre lo stesso schifosissimo cd di canzoni salsa e bachata.
Alle nove il locale è già pieno ed io devo sgattaiolare tra i tavoli con un’agilità che non mi è mai appartenuta ed incespicando nelle sedie inizio a disseminare la sala di posate sporche. Mi dicono che oggi è arrivato un carico di astici vivi e li propongo a tutto spiano per cercare di racimolare un fatturato decente, almeno questa volta. Quando pronuncio la parola “vivi”, la gente mi guarda come se fossi un assassino criminale. Peccato che non sono io quello che è venuto lì per mangiare.. Riesco a piazzarne un paio ad un tavolo in cui mi ordinano pure una pizza capricciosa senza funghi perché la signora è allergica. Basterebbe non ordinare una capricciosa. Ho delle vesciche sul tallone per colpa di un paio di scarpe troppo piccole e sono piuttosto irritato. Il signore al tavolo in fondo mi guarda con faccetta da sfintere ed alza il ditino. “Ma le trofie gorgonzola e noci tritate, come le fate?”. Brutta testolina di cazzo, riesci a trovarmi un piatto più didascalico di questo? Ma mi pagano anche per non rispondere così. Si bollono le trofie, si fa fondere il gorgonzola e si aggiungono le noci.
“Mi scusi ma sulle mie bruschette c’è l’aglio”. Farà tanta strada nella vita, signorina.

Dalla pizzeria esce la capricciosa. Ovviamente devo portarla indietro perché mi sono dimenticato dei funghi. Mi scuso con Sahid il pizzaiolo e gli chiedo di rifarla giusta . Tanto so già che si limiterà a togliere i porcini con le mani ridendo sotto i baffi di questi caharùffi di italiani che non se ne accorgono mai.
Mi chiama un signore seduto con la sua famiglia, ha un figlio ad occhio e croce della mia età. Mi chiama “professore” con spocchiosa ironia, restituisce il mio sguardo come una persona lo restituirebbe ad un lavandino o ad un posacenere. Non so, forse nella vita fa qualcosa di davvero molto importante che lo autorizza a guardarmi così, oppure ha un pisellone di quaranta centimetri, boh. Mi dice, professore, che i loro piatti non sono ancora arrivati e si stanno innervosendo perché la gente che ha ordinato dopo di loro sta già mangiando.
L’errore è mio: non ho cliccato sul mio baracchino per inviare le comande in cucina. Vado in confusione totale, mi si squaglia il cervello ed inizio a rosicchiarmi le unghie: tento di sparire un pezzo alla volta. Ho un caldo della Madonna e la camicia inizia ad appiccicarmisi addosso. Non ho pelle: ho camicia. Non sono Andrea Bucchi: sono un cameriere. Vorrei essere un astice.
Che ore sono? Sarà mezzanotte inoltrata.. no, il tempo non passa mai quando c’è la sala piena quindi saranno più o meno le undici .. guardo l’orologio.. le dieci in punto. Fuori nevica. Dentro, nella mia testa, sento Wagner, sento “Sarabande” di Haendel. Almeno non è il solito latino americano.


La precedente è un'opera già edita, pubblicata su di un sito internet che non mi obbliga a vincolo alcuno e, pertanto, accerto di possedere tutti i diritti del testo inviatoVi. Non esistendo una reale "terza parte", non v'è motivo apparente di possibili controversie ma in caso contrario, il sottoscritto è pronto ad assumersene la totale responsabilità.

© Andrea Bucchi





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