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Fangulo
di Francesco Caruso
Pubblicato su SITO


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1.Lo potevi incontrare la sera a rovistare nei cassonetti, soprattutto in quelli della strada principale del paese, oppure a bussare alla porta della canonica, per provare a scroccare la cena a padre Aurelio. Nessuno sapeva come si chiamasse davvero e nessuno sapeva da dove venisse.
Era spuntato in paese in un giorno di primavera di tanti anni prima, entrando a piedi dal lato delle montagne. D’inverno indossava un vecchio cappotto verde sopra pantaloni scuri di lana portati alla zuava, scarponi militari e una bisaccia consunta a tracolla. Cosa ci mettesse dentro, nessuno l’ha mai capito. D’estate, invece, andava in giro con una camiciola a fiori regalatagli dopo una pesca di beneficenza, pantaloni di cotone color kaki e un paio di sandali di pelle, probabile dono dei frati del convento dell’Annunziata.
Aveva un’età indefinibile, tra i 18 e i 70 anni. Talvolta, guardandolo, sembrava poco più che un bambino, con quel viso paffuto e rubizzo che pareva uscito dalle pagine di Collodi. Altre volte, invece, sembrava vecchissimo, più vecchio del mondo e anche più vecchio di Dio.
I ragazzi delle scuole lo prendevano spesso in giro, quando passavano dal marciapiede dove elemosinava.
Ci dovevano passare per forza per raggiungere i plessi scolastici, perché lui si metteva sempre a metà strada tra il municipio e le scuole.
Non dava fastidio a nessuno e nessuno infastidiva lui, a parte le innocenti monellerie e i motteggi dei ragazzini. Restò sempre un mistero, però, scoprire dove andasse a dormire la notte. Forse giù al fiume, diceva qualcuno, in qualche ricovero nascosto dalla vegetazione intricata degli argini.
Viveva di piccole elemosine che pochi gli negavano e della carità cristiana di padre Aurelio e delle sue parrocchiane.
La parrocchia di padre Aurelio era piccola, non aveva locali adatti ad accogliere ospiti. Nondimeno, il buon prete d’inverno, nelle serate più fredde, lo invitava a dormire in una stanzetta della canonica normalmente utilizzata come ripostiglio. Talvolta accettava e talvolta no.
Non era un gran parlatore, pur non essendo propriamente muto Si limitava a fare un cenno con la testa in segno di ringraziamento o di risposta a chi gli dava una moneta o a chi lo salutava. Il medico condotto, il dott.Cremona, sosteneva che fosse affetto da una rara patologia delle corde vocali che gli impediva di articolare bene le parole.
Fu per questo che tutti si stupirono il giorno in cui la signora Elide, che gestiva una piccola merceria vicino allo spicchio di marciapiede dove elemosinava, salutatolo affettuosamente come sempre (“Come va, tutto bene?”) si sentì rispondere “Fangulo”
La signora, una cinquantenne tracagnotta tutta casa,chiesa e pettegolezzi, sulle prime non capì:
“Come hai detto, scusa?”
“Uhhh...Fan-gu-lo.Fangulo!”
La povera donna rimase interdetta. Poi, rossa in viso, lo redarguì aspramente:
“Ma come ti permetti! Cafone! E’ questo il ringraziamento per tutte le volte che ti ho fatto l’elemosina ! Pure il panettone ti ho regalato a Natale! Nessuno ti regala panettoni a Natale qui, manco padre Aurelio. Io sì, povera scema! Ah, ma ora lo vado a riferire al prete, deve sapere che razza di gente ingrata e maleducata assiste nella sua chiesa!”
E partì sparata per la parrocchia con piglio da granatiere.

2. Trovò il parroco intento a riporre i paramenti sacri dentro l’armadio della canonica.
“Padre, padre... una cosa inaudita”
“Elide ciao, cos’è successo? Sembri parecchio arrabbiata”
Elide rifiatò un attimo prima di rispondere, un po’ per il tragitto fatto a passo di carica e un po’ per la gravità della notizia che stava per riferire al sant’uomo.
“Ma dai...Avrai capito male. Lo sai che non spiccica una parola. E poi...che motivo avrebbe di mandarti a quel paese?”
Elide Zoppelli voleva bene a padre Aurelio. Veramente tutti lì volevano bene a padre Aurelio ma Elide, insieme ad altre comari del borgo sue amiche, gliene voleva forse un po’ di più. Sarà stato per la giovane età (aveva festeggiato da poco i quarant’anni ma sembrava molto più giovane), sarà stato per il bell’aspetto (quante dicerie aveva alimentato al suo arrivo, con le poche ragazze da marito del paese che entravano e uscivano dalla chiesa tra risolini e toccate di gomito), sarà stato soprattutto per il suo impegno nella comunità (il prete di prima pensava solo a ingozzarsi tra una messa frettolosa e l’altra), fatto sta che Elide a padre Aurelio era disposta a perdonare tutto, pure certe strane visite pomeridiane a casa del macellaio, marito di una giovane e prosperosa rumena dalla vita sentimentale notoriamente turbolenta.
Eppure Elide questa del mendicante proprio non riuscì a perdonargliela:
“Padre, ma mi prende per scema? E’ vero che sono solo una semplice madre di famiglia con la licenza media e senza grilli per la testa, ma so riconoscere bene un insulto come quello!”
Padre Aurelio, visto il tono risentito della sua parrocchiana, si soffermò a guardarla perplesso:
“Elide, che dirti? Magari qualcuno gli avrà fatto qualche torto, qualche
dispetto, e lui era ancora arrabbiato quando ti ha risposto. Ora proverò a parlargli, sempre ammesso che ne possa cavare qualcosa. Non è facile averci a che fare, lo sai”
“Ecco, gli parli e gli dica chiaro e tondo che certe insolenze qui non le ammettiamo, soprattutto da parte di chi vive della nostra carità!”
“Eh però, Elide...Mi piacerebbe che ti offendessi così pure quando gli studenti gli passano accanto e gliene dicono di tutti i colori...”
La battuta aveva colto nel segno, perché Elide, in preda ad evidente imbarazzo, replicò farfugliando:
“Ma che c’entra...quella è un’altra cosa...sono ragazzi”
“Ah sì, certo: sono ragazzi e tra l’altro sono tutti figli di persone che conosci, vero Elide? Io ci ho provato mille volte a farli smettere, pure con gli urlacci, ma voi qui in paese la considerate quasi una cosa normale: siccome è un accattone, uno che vive alle vostre spalle, che almeno paghi dazio prendendosi gli sfottò dei vostri figli. Vabbè, lasciamo perdere...
“Allora, ci parlerà? Gli dica che voglio le scuse. Nemmeno mio marito si è mai permesso di insultarmi così e dire che in trent’anni di matrimonio le nostre belle litigate non ce le siamo fatte mancare di certo...”

3 Al bar Splendor , l’unico ritrovo del paese (a parte una vecchia trattoria fuori mano), qualche giorno dopo non si parlava d’altro. Il mendicante, infatti, dopo la merciaia pare avesse regalato biglietti di sola andata per una certa località anche a tutti quelli che in seguito gli si erano accostati rivolgendogli la parola. Ma sull’argomento le opinioni delle vittime della sua attività “turistica” divergevano: qualcuno faceva l’offeso, come l’Elide, e qualcun altro ci rideva sopra, come Ermanno, il farmacista.
“A me mi ci ha mandato dopo che gli ho offerto il cornetto. L’altra mattina l’ho visto passare diretto alla sua postazione e l’ho chiamato tenendo in mano un cornetto alla crema e sventolandoglielo sotto al naso: lui è entrato, ha preso il cornetto e mi ha sfanculato. Cose da pazzi...” disse Tiberio, il proprietario del bar.
“Quando ci ripenso, mi vien voglia di uscire fuori e prenderlo a calci nel sedere”
Nessuno dei presenti dubitò neppure per un momento che Tiberio Bernardi, ex pugile dilettante categoria massimi, fosse in grado di mettere in pratica il suo proposito. Ma ugualmente nessuno pensò che Tiberio l’avrebbe effettivamente messo in pratica: era l’uomo più mite del mondo, che usciva dai gangheri soltanto davanti alle cartelle delle tasse...
“A me pure mi ha sfanculato ieri l’altro e solo per avergli detto di stare attento a dove metteva i piedi” gli fece subito eco Osvaldo, il proprietario dell’autofficina ubicata alla fine del paese, prima della discesa verso il fiume
“Erano le otto di sera, più o meno, e stavo per chiudere-continuò- Ad un certo punto è passato di lì, diretto probabilmente verso il fiume, e a momenti inciampava in un crick poggiato per terra”
“Ma questo dev’essere impazzito”- commentò allora il colonnello Incardona, un colonnello dei carabinieri in pensione di origine siciliana dal portamento ancora marziale, nonostante la canizie dei capelli e dei maestosi baffi a manubrio di cui era orgogliosissimo.
“Foglio di via obbligatorio e divieto di dimora!Come minimo!Ecco quello che ci vorrebbe per tipi del genere! Ah, se fossimo ancora ai bei tempi! Soggetto nullafacente e dedito a vagabondaggio e questua: una volta sarebbe stato più che sufficiente per prendere provvedimenti, vero maresciallo?”
Il maresciallo Arrighi, comandante della locale stazione dell’Arma,
sospirò rassegnato mentre si portava alle labbra quel caffè mattutino tanto agognato, visto che a casa non poteva prepararselo da solo, avendo una moglie che non ne tollerava neppure l’odore.
Posata la tazzina, il maresciallo aspettò un po’ a rispondere, indeciso se seguire l’esempio del mendicante e mandare una buona volta a quel paese quel gran rompiballe del colonnello, che dal giorno del trasferimento gli stava rendendo intollerabile il suo soggiorno in paese con le pretese più assurde e la mania di vedere reati inesistenti dappertutto, o se continuare a portare rispetto al grado e alla persona replicando in modo educato.
Scelse per l’ennesima volta la seconda via, promettendo però a sé stesso che sarebbe stata l’ultima:
“Che vuole,signor colonnello, i tempi cambiano. Oggi non abbiamo più strumenti per perseguire quelli come il nostro amico maleducato. Tra l’altro, fino a poco tempo fa si comportava bene, mi pare. Chissà che cavolo gli starà passando per la testa ultimamente. Casomai è il sindaco che potrebbe fare qualcosa, segnalandolo ai servizi sociali o facendolo ricoverare.”
“Buono quello!” Il vocione tonitruante che annunziò il suo ingresso nel bar con quel giudizio acido sul primo cittadino non poteva che appartenere al professor Bertrando Malaspina, docente di italiano e latino in un liceo di città nonché capo dell’opposizione in consiglio comunale.
Tutti gli avventori del locale si voltarono verso di lui attendendo con ansia il seguito. Il professor Malaspina, infatti, era noto in paese per due motivi: per il numero di elezioni perse in qualità di candidato sindaco e per la capacità di immaginare complotti e oscure trame politiche dietro ogni evento, per quanto banale esso fosse. Ma siccome era anche molto bravo a rendere credibili le sue ricostruzioni fantasiose, i compaesani, golosi di fanfaronate come tutti quelli che vivono in posti dove le novità latitano peggio dei gratta e vinci milionari, attendevano sempre con grande interesse l’ultima sua trovata sui perfidi intrighi del sindaco e dei suoi “accoliti”, come li chiamava Malaspina, per impedirgli di denunziare la cattiva gestione della cosa pubblica e gli intrallazzi che ammorbavano l’aria della casa municipale. “La merciaia, il barista, il meccanico, il fruttivendolo, l’orefice, il medico condotto, il tabaccaio, il farmacista...Tutti omaggiati da un “fangulo”e tutti presenti stamattina qua dentro, a parte la merciaia, a cui però, ne sono certo, i resoconti analitici di questo convegno non mancheranno di sicuro, vero signorina Iole?”
Iole Corsari, graziosa cassiera ventenne del bar Splendor, era la nipote della merciaia nonché la sua fonte principale di informazioni sui fattacci dei paesani , visto che col barbiere, benché suo parente, non correva buon sangue e visto soprattutto che la Elide, benché curiosa come una scimmia, non trovava fine per una signora farsi vedere troppo al bar.
Tuttavia la ragazza, seduta al suo posto di lavoro, quella volta negò indignata, forse preoccupata che quella diceria su di lei alla fine potesse indispettire il suo datore di lavoro:
“Ma per chi mi prende, professore. Non vado in giro a raccontare i fatti della gente, io. Nemmeno a mia zia, se vuol saperlo”
“Si, come no...E allora, stavo dicendo...Mi fate ridere, siete tutte pedine e non ve ne rendete conto. Il vero obiettivo sono io e voi siete solo serviti agli ideatori di questo ennesimo attacco alla mia persona e al mio ruolo per nascondere i loro veri scopi. “
“Suvvia professore, cosa c’entra il clochard che ci manda a quel paese con le sue beghe politiche. Stiamo parlando di un povero scemo che all’improvviso si è messo ad insultare tutti e senza un apparente motivo. Lei lo fa troppo machiavellico, il nostro sindaco”
“Stamattina, appena uscito da casa, ha mandato a fare in c. pure me,
se vuol proprio saperlo, caro geometra Tonini. E con una solennità nei toni che non credo abbia usato negli altri casi. Ciò vorrà pur dire qualcosa, non crede? Ad onor del vero, sono corso subito a protestare in municipio e il sindaco non mi ha fatto mancare la sua solidarietà. Ma figurarsi, chi ci crede: timeo Danaos et dona ferentes”
“Psst...Chi è sto Timeo? E’ uno di fuori?” chiese subito Mario Panella, l’idraulico.
“Ma che ne so,sarà un filosofo o qualche altro cervellone che conosce lui”gli rispose il suo vicino di tavolo, Carlone Stoppani, proprietario dell’unica edicola del paese.
“Se la cosa la può consolare, mio carissimo avversario, e indurla per una volta a smontare i castelli in aria che si diletta a costruire, il nostro mendicante è per la par condicio. Dopo aver spedito lei in posti che è meglio non dire, per non lasciarla da solo subito dopo si è premurato di mandarci anche il sottoscritto.”

4. L’inatteso ingresso del sindaco, Avv. Gilberto Maria Bencivegna, era un evento che si verificava di rado al bar Splendor. Ad onta delle apparenze e dell’aspetto pacioso del personaggio, infatti, l’Avv. Bencivegna era un uomo molto schivo, che evitava accuratamente i posti frequentati solitamente dai suoi amministrati. Agli amministrati, però, di ciò non doveva importare poi molto, visto che l’avvocato era già alla terza rielezione consecutiva, malgrado gli sforzi del suo eterno rivale per screditarlo ai loro occhi.
La notizia che un vaffa se l’era beccato pure lui, però, non dovette far piacere a Malaspina, se non altro perché lo privava dell’opportunità di fabbricare l’ennesima congiura di palazzo ai suoi danni: bofonchiando irritato qualcosa, subito dopo l’entrata in scena di Bencivegna si eclissò in fondo al locale, sparendo dietro le teste di un paio di altri clienti.
“Carissimo maresciallo...- proseguì l’avvocato dopo aver ordinato un cappuccino.
“Mi dica, sindaco”
“Qui la situazione comincia a farsi fastidiosa...”
“Sante parole, sindaco! “proruppe subito il colonnello, che era stato, tra l’altro, anche assessore in una precedente giunta guidata da Bencivegna
“Signori, cittadini”- continuò il sindaco volgendosi verso tutti i presenti-“ Io non amo il tintinnar di manette, lo sapete bene...”
“Eh, lo sappiamo bene”- mormorò Malaspina-“Ad amarlo troppo, il tintinnare, c’è il pericolo che le manette prima o poi finiscano ai nostri polsi...”
“Tuttavia”- seguitò l’avvocato-“ siamo in presenza di una persona che, mostrando somma ingratitudine, al nostro buon cuore risponde colla villania, sputando nel piatto dove mangia”
“Bene!”
“Bravo”
“Giusto!”
“Calmi, calmi, fatemi finire”- li quietò subito il sindaco- “Il maresciallo, con cui ho parlato ieri l’altro, ha ragione quando dice che oggi la legge non consente più alla forza pubblica di perseguire facilmente certi perdigiorno. E’ pur vero, però, che tutti noi siamo sempre liberi di querelarlo per ingiuria e portarlo ugualmente in tribunale”
“Sì, vero!”
“Sì, facciamolo!”
“Aspettate, aspettate...Non credo sia una buona soluzione. Innanzitutto, bisognerebbe accertare la sua vera identità, cosa non facile, vero maresciallo?”
“Verissimo”-confermò il maresciallo-“All’inizio, appena arrivato qui, lo avevamo fermato per controlli. Non aveva documenti. Abbiamo provato anche a fare qualche ricerca, ma senza risultato”
“E poi, un processo dura anni e gli esiti non sempre sono favorevoli ai querelanti, specie se il reato è di minima importanza. Agli occhi della legge, intendo dire”-concluse il sindaco
“E allora che dobbiamo fare? Dobbiamo continuare a farci mandare in quel posto ogni volta che lo incontriamo? Qui c’è gente che ha collezionato già due o tre di quegli inviti, per non parlare delle nostre signore” domandò irritato Filippo Tripoli, un quarantenne tarchiato e con un gran barbone nero che di professione faceva il muratore.
“Calma, sig.Tripoli, calma. C’è una soluzione a tutto. Però è una soluzione che comporta, da parte vostra e anche del maresciallo, la massima collaborazione su ciò che ho intenzione di fare nella mia qualità di sindaco”
“Parli!”
“Ho intenzione di emettere un’ordinanza di espulsione nei confronti del nostro amico.”
Il maresciallo per poco non saltò dalla sedia, mentre il professor Malaspina ricominciò, dal fondo della sala, a far risentire il suo vocione:
“Ma è illegale, un abuso! Un sindaco non può espellere nessuno e meno che mai un cittadino italiano!”
“E chi lo dice che è italiano?”- lo interruppe il cav. Bartoloni, funzionario in pensione di un ente previdenziale-“Per quel che ne sappiamo, potrebbe essere pure cinese...”
“Comunque è un abuso!” replicò piccato il professore- “In Consiglio io e il mio gruppo daremo battaglia, può star sicuro!”
“Lui e il suo gruppo?” disse sottovoce uno stupito idraulico all’edicolante-“Ma se sono solo lui e suo cugino...”
“Ssst...Se ti sente...Ricordati che i nostri figli sono in classe con lui, ricordati.”
“Carissimo professore”- ribattè olimpico il sindaco al suo avversario politico-“ sarà una fictio, una messinscena. Firmerò un provvedimento di allontanamento dal territorio comunale che non avrà alcun valore giuridico ma che avrà certamente il grande effetto di liberarci del nostro ormai sgradito ospite”
“Se voi tutti sarete d’accordo”- proseguì l’avv.Bencivegna tra il brusio crescente degli astanti- “la finta ordinanza finirà nel cestino un attimo dopo che il nostro uomo avrà lasciato il paese e tutto tornerà come prima”
Parlò per primo il farmacista, il dr. Marzorati:
“ A me viene da ridere a pensare che un paese intero si stia mobilitando per una simile idiozia. E’ solo un povero ritardato che avrà sentito quell’espressione chissà dove e ora la ripete ad ogni piè sospinto . Ma è possibile che nessuno di noi abbia altro a cui badare qui?”
“In effetti, dottor Ermanno, non è solo per gli insulti” gli rispose il vecchio Gerlando, il tabaccaio-“Qui viviamo di impieghi e qualche negozietto ma soprattutto di turismo, a parte quei quattro gatti che ancora si ostinano a coltivare la terra. Ora, se il mendicante quest’estate comincia ad insultare quei pochi turisti che vengono fin quassù a trascorrere le ferie, noi siamo rovinati.”
“Esatto ,caro Gerlando, esatto!”-ribadì il sindaco-“Questo centro conta molto sui turisti che a luglio ed agosto affittano le nostre case, spendono nei nostri negozi e mangiano nella trattoria di Peppino e Gisella: non possiamo certo permetterci di farceli scappare. Anche perché, lo sappiamo bene, la maggior parte di loro è gente piuttosto distinta e permalosa, capace di cambiare località di villeggiatura per molto meno. Allora, siamo tutti d’accordo?”
Sì, erano tutti d’accordo. Pure il professore, che d’estate affittava due piccoli appartamenti di sua proprietà nel centro storico...

5 . “Non è giusto. State commettendo un oltraggio a Dio e agli uomini. Quel poveraccio non merita per così poco di essere mandato via e conun provvedimento illegittimo, per giunta”
“Padre, si calmi. Esamini bene tutta la faccenda e vedrà che sono stato costretto ad adottare simili misure”
“Sì, la storia del turismo...Tutte cavolate, figuriamoci. Magari i turisti si divertirebbero pure con un personaggio del genere. Che ne sappiamo noi? A Roma ci sono dei ristoranti dove ne dicono di cotte e di crude ai clienti e le file per entrarci sono lunghe chilometri. La verità è che “Fangulo” , come ormai lo chiamate tutti, ha proferito un fangulo di troppo, quello indirizzato a lei”
Era davvero adirato, padre Aurelio. Andava su e giù lungo per la stanza del sindaco gesticolando e agitando le mani in aria. Invano il farmacista, presente anche lui all’incontro con l’avv.Bencivegna, tentava da diversi minuti di farlo placare:
“Padre, si sieda. Non è facendo così che risolveremo i problemi di “Fangulo”
“Dr. Marzorati, quel poveretto ieri è venuto da me piangendo. Non aveva capito un accidente quando il vigile gli ha notificato l’ordinanza. Non sa leggere. Quando gli hanno spiegato che doveva andar via per sempre da qui, è scoppiato in lacrime. Come si fa a rimanere insensibili di fronte al dramma di quel disgraziato? Mò sapete che ho intenzione di fare? Appena Fangulo sarà andato via, lo sostituirò io, mandando a quel paese tutti gli abitanti di questo buco del mondo ogni volta che ne incontrerò uno”
“Suvvia padre, non dica stupidaggini”-intervenne il sindaco-“Piuttosto, lei non gli aveva parlato dopo la storia di Elide?”
Padre Aurelio si arrestò al centro della stanza, portandosi le mani ai fianchi e sforzandosi di ricordare:
“Sì, ma non è servito a nulla. Lui non comunica a parole con nessuno , nemmeno con me, a parte quel vocabolo che tutti sappiamo, e fu un’ impresa soltanto fargli capire il motivo di quella conversazione. Però ricordo bene un particolare: ho avuto come l’impressione che per lui fangulo sia una specie di saluto universale, una formula omnicomprensiva con cui interloquire con tutti. Una sorta di parola magica buona per ogni occasione e migliore dei grazie e dei buongiorno, insomma . Se è così, essa non avrebbe nulla di offensivo, perché chi la pronuncia le attribuisce significati ben diversi da quelli che le attribuiscono gli altri”
“Questo spiegherebbe molte cose”-disse Marzorati al sindaco-“Anzi, forse ora credo di aver capito chi è l’artefice di tutta questa pagliacciata”
Il sindaco, improvvisamente interessato, poggiò i gomiti sulla scrivania e si avvicinò al suo dirimpettaio. Anche padre Aurelio si avvicinò al farmacista, pure lui curioso di conoscere le teorie dell’amico sull’origine dei fangulo.
“Fangulo” –cominciò ad illustrare il farmacista-“ ad occhio e croce parrebbe essere un’espressione dialettale tipica della Campania o della Puglia. Nel resto d’Italia quella parolina solitamente si pronunzia in un altro modo. Ora, posto che napoletani qui non se ne sono mai visti, a parte una coppia di Portici che viene ogni anno a Ferragosto...”
“Il notaio Capece e la moglie, persone squisite” precisò il sindaco “Esatto, sig. sindaco. Dicevo, posto che napoletani da qui non ne sono mai passati, chi è l’unico pugliese che bazzica la nostra contrada?”
Alla domanda seguì l’imbarazzato silenzio degli altri due, che si guardarono reciprocamente in viso cercando, l’uno nell’altro, la possibile risposta.
Lo smarrimento del sindaco e del parroco suscitò viva sorpresa in Marzorati, arciconvinto di aver formulato un quesito estremamente facile:
“Ma come? Non vi ricordate? Sindaco, proprio lei che gli ha appioppato sul groppone un bel po’ di multe negli ultimi due o tre
anni...”
L’avv. Bencivegna, fulminato sulla via per Damasco, si diede allora una gran botta sulla fronte con il palmo aperto della mano:
“Ma certo! L’ambulante! Oronzo... Oronzo...Oronzo qualcosa...Non mi ricordo il cognome ma di lui ora mi ricordo benissimo”
“Oronzo La Pergola”
Il comandante dello striminzito corpo locale dei vigili urbani (3 persone in tutto), entrato in quel momento nella stanza, aveva subito capito di chi si stava parlando
“La Pergola, signor sindaco, un bel tipetto. Lo conosce bene anche il maresciallo. Ha un’attività ambulante di vendita di salumi e formaggi e viene in questa zona ogni due settimane circa. Lo abbiamo multato diverse volte, se ricorda, soprattutto per carenze igieniche. Ce l’abbiamo nel libro nero ed alla prima occasione ho intenzione di inviare una segnalazione all’autorità che gli ha rilasciato la licenza”
“E farà benissimo, comandante. Elementi come quello devono capire che qui non è aria per i loro imbrogli”
“Sì, ma ora quando dovrebbe tornare?”chiese il farmacista
“Non c’è bisogno di aspettare il suo prossimo passaggio, se volete parlare con lui. Abbiamo il suo numero di cellulare”

6. “Pronto? Sì, sono io. Non si sente bene, sono al mercato, c’è nu casino qui: parlate più forte. Ah comandante, è lei. Come? Il mendicante? Quale mendicante? Ah sì, chillu scemo. Che avrei fatto io? ....Sì signora, è caciocavallo freschissimo...Assaggi, assaggi... E’ na delizia...Sta a 12 al chilo...Cosa? Ma che fa, mi manda aff... Cosa? Io? Ihhhhhhhhhhh, che fesseria. E mi chiama per questo, comandante? E io che pensavo fosse per quella storia delle mozzarelle di bufala ...Sì..ehm..quelle scadute...E certo che abbasso la voce,
comandà...Maronna, per nu fangulo.. Ma che mi dite...Aggia
combinato tutto sto burdello chillu scemo. Ehhh, come fu, come fu. Fu che l’ultima volta che venni su da voi, mi misi col camion vicino a dove elemosina sto scimunito. Ad un certo punto della mattinata, ci fu una cliente, una vecchia, che mi fece perdere un sacco di tempo a chiedere prezzi e ad assaggiare e che alla fine se ne andò senza aver comprato manco un etto di prosciutto. Mentre si allontanava le mandai un cordiale...Insomma, ha capito. Poi, girandomi verso sto babbione, vidi che mi fissava con estremo interesse, con gli occhi spalancati e cercando di ripetere la parola che aveva appena sentito...Già sapevo che non parla mai, anche se non è proprio muto: ci ho un cugino dalle mie parti che è tale preciso a lui. E così mi è venuta l’idea di insegnargli almeno a dire fangulo. Può sempre servire nella vita... no comandà? Però io ci ho pure spiegato che era una forma di saluto. Di saluto o di ringraziamento, ih ih...Sì, lo ammetto, mi sono divertito un po’. Che vuole, era una di quelle giornate dove si passa il tempo a scacciare le mosche e non si vede un centesimo. Maronna mia, e chi se l’immaginava che sto fetentone combinava tutto sto macello... Io? E che c’entro io? Io gli ho fatto solo del bene: prima non diceva manco ahi quando gli pestavano un piede. Almeno adesso...”

7”E ora che facciamo?” domandò il comandante dopo aver chiuso la conversazione con La Pergola.
“Come che facciamo, facciamo che si ritira tutto e si lascia in pace quel poveretto!”sbottò padre Aurelio
“Certo, mi pare evidente”-proseguì il farmacista-“che sono venuti a cadere i presupposti della sua cd.“ordinanza”, caro sindaco, visto che il nostro uomo non voleva offendere nessuno. Anzi”
Il sindaco a quel punto principiò a tormentarsi il pizzetto sale e pepe, guardando un punto fisso sulla parete di fronte a lui.
Stette così per un paio di lunghissimi minuti, mentre le altre persone dentro la stanza cominciavano a rivolgersi reciprocamente occhiate interrogative
Alla fine Gilberto Maria Bencivegna, stimato avvocato cassazionista nonché capo della locale amministrazione comunale, emise la sofferta sentenza:
“Mi dispiace, non possiamo tornare indietro. Potremmo indire un’assemblea cittadina e spiegare alle persone come sono andati i fatti. Ma, ammesso e non concesso che i buoni cristiani di questo borgo decidano di metterci una pietra sopra, resterebbe l’incognita dei turisti. Voi li conoscete bene quelli: è tutta gente con la puzza sotto al naso e la testa piena di corbellerie. Vengono qui con l’idea di ritrovare il paesello di montagna delle fiabe, quello col torrente, il ponte di pietra e il castello diroccato su in cima, e l’accattone puzzolente e maleducato in questo quadretto idilliaco è una nota stonata, una macchia di sugo su un lenzuolo bianco che non si aspettano affatto di trovare e che rischia di farli andar via. Non possiamo assolutamente permettercelo. Già la scorsa estate qualcuno di loro si era lamentato coi vigili per la sua presenza.”
A quel punto il farmacista, accortosi che padre Aurelio era prossimo ad esplodere, salutò velocemente il sindaco e il comandante, prese sotto braccio il prete e lo trascinò fuori dal municipio.
“Ma mi lasci, ho ancora da dire un paio di cosette da dire a quel trafficone che si permette di fare la morale agli altri...”
“Come trafficone? Quindi, padre, lei crede alle storie che racconta il professore...Questa mi giunge nuova”
“Caro dottore, io non mi occupo di politica, io curo anime. Ma se posso dire la mia, da cittadino, il professore mi sta cordialmente sulle scatole, ma non tutto quello che va raccontando sulla sindacatura dell’avvocato Bencivegna è totalmente destituito di fondamento. Non mi faccia dire altro”
In effetti, pensò il dottore, il tenore di vita dell’avvocato era notevolmente migliorato da quando aveva deciso di buttarsi in politica: adesso viveva in una bella villa fuori dal paese (un vecchio casolare di contadini completamente ristrutturato) e cambiava macchina quasi ogni anno. Che ciò dipendesse dal suo successo professionale era da escludere, perché non aveva poi molti clienti, nonostante fosse un buon avvocato, e l’indennità di carica non era di sicuro sufficiente a giustificare i suoi agi. Quindi?
Il farmacista ripensò a certe strane gare d’appalto di qualche anno prima per lavori edili non propriamente indispensabili (e , tra l’altro, fatti pure male) o all’affidamento del servizio idrico e di raccolta della nettezza urbana a due grosse ditte di città i cui titolari erano da sempre parecchio chiacchierati. Oppure ancora a certe licenze edilizie a gente di fuori che forse nessun altro comune avrebbe rilasciato. Sussurri di perdigiorno da piazza, per carità, a parte le solite chiassate di Malaspina. Bah, si disse alla fine, non erano problemi suoi: lui quel sindaco non l’aveva mai votato, nonostante il professore non fosse proprio la migliore alternativa. Si rese conto, tra l’altro, che stava perdendo fin troppo tempo dietro al parroco e al barbone, con la farmacia affidata alle inesperte e maldestre mani di Sergio, un giovane neolaureato figlio di un suo vecchio compagno di liceo che definire imbranato sarebbe stato insultante per gli imbranati.
“Padre, si rassegni. Abbiamo fatto per il nostro amico tutto quello che si poteva fare. L’ultima cosa che potremmo ancora tentare, in mancanza di un ripensamento di Bencivegna, sarebbe quella di sbandierare ai quattro venti l’illegittimità dell’ordinanza, ma con il rischio di ricadute su tutti noi che non credo sia il caso di correre...Io me ne torno alle mie occupazioni e consiglio a lei di fare altrettanto”
Padre Aurelio annuì stancamente:
“Sì, forse ha ragione. Ma questa storia non credo che riuscirò a dimenticarla facilmente. Ho intenzione di chiedere al vescovo il mio trasferimento ad altra sede, perché non so se ho ancora voglia di fare il parroco in un posto del genere”
Osservando la sua figura dinoccolata allontanarsi in direzione della chiesa, il farmacista convenne, proprio lui che i preti non li aveva mai troppo amati, di aver finalmente conosciuto un sacerdote degno della propria tonaca, malgrado certe umanissime tentazioni a cui, a sentire i pettegoli, nemmeno uno come padre Aurelio riusciva a rifuggire.

8. E fu così che alla fine Fangulo, sceso giù al fiume e riunite mestamente le proprie povere cose, si preparò a lasciare quel piccolo paradiso sulla terra, un lembo di quiete che a lui, figlio dei vicoli affollati di Bari vecchia, doveva essere sembrato, dopo tanto peregrinare, la realizzazione di un sogno ad occhi aperti. Da quanto tempo vagava in lungo e in largo? Non se lo ricordava più. Tra le nebbie dei suoi ricordi, però, da qualche tempo affiorava nitida l’immagine di un bambino che correva scalzo e lacero sul selciato colloso di una strada stretta tra edifici dai muri scrostati e traboccanti di lenzuola stese ad asciugare. Una strada riempita giorno e notte dalle voci concitate di tanta gente, adulti e bambini, sporca e malvestita come lui. Voci che avevano lo stesso suono delle parole ascoltate dalla bocca di quel signore grasso che si era piazzato vicino al suo angolo di marciapiede un paio di settimane prima. E quella parola, poi. Dove l’aveva già udita? Avrebbe voluto poterla ripetere subito, per svegliare la memoria, ma non c’era riuscito. Non era mai stato bravo con le parole, nemmeno da bambino. Meno male che ci aveva pensato il signore grasso ad insegnargliela. Era stato molto gentile, il signore grasso.Ma cosa significava? Doveva essere qualcosa di gentile, come il signore grasso. Per questo lui, facendo mille sforzi per non dimenticarla, da quel giorno l’aveva ripetuta a tutti, per far capire quanto gli piacesse vivere lì e quanto fosse grato a tutti per la loro generosità. Eppure a molti non era piaciuto scoprire che anche lui poteva parlare: lo aveva capito dalle loro facce. Facce arrabbiate. Soprattutto non era piaciuto a quello lì, a quell’uomo importante, quello che alla festa di fine agosto camminava dietro al prete e alla statua del santo con addosso una fascia colorata, che infatti lo mandò via in malo modo. Stava discutendo con uno sconosciuto molto elegante dentro una stanza del municipio e lui era entrato per farsi dare la solita monetina. Non c’era nessuno in municipio a quell’ora e così lui era potuto salire tranquillamente fino alla stanza dell’uomo importante. Ma stavolta l’uomo con la fascia l’aveva cacciato via subito, senza neanche aspettare che lui lo salutasse. Sembrava molto, molto arrabbiato.
Forse è per questo che mi stanno mandando via, pensò Fangulo. Perchè sono entrato nella stanza dell’uomo con la fascia.
Eppure l’aveva fatto altre volte e non era mai successo nulla. Lui aspettava sempre che gli altri signori del municipio andassero a mangiare per salire le scale e andare a trovare l’uomo con la fascia. E l’uomo con la fascia non si era mai arrabbiato prima. Anzi: gli sorrideva e gli dava pure qualche moneta.
A proposito, le monete.
Fangulo si inoltrò nel piccolo canneto che sorgeva lì accanto e ne uscì poco dopo tenendo in mano un sacchetto di plastica.
Erano davvero tante.
Non poteva andarsene in giro con tutti quei soldi, pensò.
Che fare?
Ricordò allora che c’era un posto lì in paese, una specie di negozio,
dove la gente si recava per portare o prendere soldi. Non si faceva altro in quel posto lì. Almeno così gli aveva spiegato padre Aurelio, quella volta che lo aveva incontrato dalle parti del negozio. Vedendolo incuriosito ad osservare l’andirivieni delle persone, alcune delle quali uscivano con in mano un bel mazzo di banconote, il prete gli volle spiegare cosa si facesse là dentro.
Come aveva detto padre Aurelio che si chiamava quel posto? Banca. Sì, banca.

9. Dopo la chiusura dell’ufficio postale, avvenuta un paio d’anni prima, la banca era rimasto l’unico posto del paese dove poter conservare i propri soldi. Era la minuscola filiale di una piccola banca di città presente solo in quella provincia e con pochissimi sportelli per giunta. Forse per questo la tenevano ancora aperta. Il responsabile si chiamava Alessandro Sarti e veniva da un paese vicino. Giovane e ambizioso, non vedeva l’ora di lasciare quell’ospizio di pensionati e trasferirsi nella sede centrale,con l’obiettivo di passare, prima o poi, ad una banca più importante.
Là dentro, gli unici depositi di un certo peso erano quelli del sindaco e del professor Malaspina, il quale però era benestante di famiglia. Meno chiara, invece, l’origine della prosperità economica del sindaco, improvvisamente esplosa subito dopo l’inizio del suo secondo mandato. Ma a Sarti ovviamente importava poco, anche se un’idea se l’era fatta, soprattutto dopo aver controllato, per puro sfizio, i mittenti dei cospicui bonifici che ogni tanto venivano accreditati sul conto corrente del primo cittadino
Quella mattina Sarti aprì la filiale più tardi del solito, perché la sera prima aveva fatto le ore piccole in città giocando a poker con alcuni conoscenti. A trentacinque anni era ancora scapolo, benché fidanzato da anni con una maestrina del suo paese, e certe abitudini poteva ancora permettersele.
Quello che non si sarebbe potuto permettere, invece, erano le conseguenze delle sue abitudini, ossia le notevoli perdite di denaro provocate dalla sua passione per il gioco.
Ci aveva riflettuto a lungo e alla fine aveva deciso che era una cosa fattibile. Fattibile e con pochissimi rischi. D’altronde, non aveva molte alternative: se voleva far carriera doveva prima scrollarsi di dosso tutti quei debiti di gioco e per scrollarsi di dosso tutti quei debiti la strada era una sola.
Farsi presentare in città qualcuno del giro fu più facile del previsto e ancor più facile fu accordarsi: metà e metà. Metà a lui e l’altra metà da dividere tra i due balordi che aveva reclutato.
Motivo per cui quella mattina Sarti aprì l’ufficio più tardi del solito non
solo per la nottata da biscazziere appena trascorsa ma anche perchéquello era il giorno convenuto con i complici, che prima di un certo orario non sarebbero mai potuti arrivare in posto simile senza destare sospetti.
Così, invece, tutto sarebbe filato a meraviglia: nessun cliente o quasi dentro la banca e la cassaforte traboccante del denaro consegnato la sera prima dal portavalori per il pagamento delle pensioni. Senza tener conto che gli unici due dipendenti di Sarti dall’inizio di quella settimana erano uno ammalato e l’altra in ferie.
Il giorno perfetto, insomma.
I balordi giunsero in macchina giusto dieci minuti dopo l’apertura. Constatarono subito, con grande soddisfazione, che attorno non si vedeva anima viva. La banca sorgeva infatti alla periferia sud del paese, in una zona relativamente nuova, i cui abitanti a quell’ora o erano in città a lavorare o in centro a far la spesa.
Entrarono col passamontagna già calato sul viso e le armi in pugno. Dentro la banca trovarono solo due persone, a parte Sarti : la Matilde Grassi, una bella signora di mezza età moglie del medico condotto, e

uno strano straccione con una faccia da clown ed un sacchetto di plastica in mano.
La Matilde Grassi, impegnata in quel momento allo sportello, appena lì vide strozzo in gola un urlo disumano portandosi le mani alla bocca e alzandole subito dopo senza aspettare di farselo dire dai rapinatori. Il direttore, fingendo sgomento e paura, alzò anche lui le braccia al cielo, simulando un tremolio delle labbra da attore consumato.
Solo lo straccione rimase immobile al suo posto senza muovere un muscolo, con il sacchetto di plastica in mano ed un’espressione ebete dipinta sul viso, fissa su uno dei due delinquenti.
Innervosito, il tizio in questione, mentre il compare si faceva aprire la cassaforte, ad un certo punto lo spintonò e gli puntò la pistola alla tempia,urlandogli di gettarsi a terra.
Accadde allora un qualcosa che il poco di buono, dall’alto delle cinque o sei rapine che formavano già il suo “curriculum”, mai avrebbe potuto immaginare.
Lo straccione prima gli sorrise, esibendo due lunghe file di denti guasti, e poi, come se fosse la cosa più naturale da fare quando si ha una Beretta puntata alla testa, lo mandò aff....
Sconcertato e imbestialito, nonché sordo ai richiami del complice che, sacco di denaro alla mano, lo invitava a lasciar perdere e a scappare via, il mascalzone colpì Fangulo al volto con un cazzotto, facendolo ruzzolare a terra, e poi, non pago, gli sparò pure un colpo di pistola.
Il rapinatore però non sapeva che quegli attimi perduti per dar sfogo alla propria rabbia gli sarebbero costati cari. Qualcuno dei rari passanti doveva aver notato qualcosa di strano dalla strada, premurandosi di avvisare i carabinieri col cellulare.
Il maresciallo Arrighi e altri due carabinieri arrivarono a sirene spente proprio mentre i due banditi, usciti dalla banca, si accingevano a salire in macchina e filare a tutta velocità verso la statale.


10.Certo che la vita è proprio buffa, pensò il dr. Marzorati mentre aspettava in corridoio che iniziasse l’orario delle visite. Si può risultare indesiderati ad una comunità per una parola, una semplice parola di cui chi la pronuncia ignora tra l’altro il reale significato, e per la stessa ragione diventare poco dopo eroi nazionali.
L’episodio dell’accattone che si era opposto fieramente ad un tentativo di rapina, sfidando dei malviventi armati e addirittura mandandoli a quel paese, era stato immediatamente rilanciato dai giornali e dai media nazionali, commuovendo l’opinione pubblica.
Astutamente propalata dal maresciallo attraverso un amico giornalista che lavorava in un importante quotidiano, la notizia aveva subito fatto il giro delle principali agenzie di stampa e il giorno dopo stava in prima pagina sia sugli altri quotidiani che su tutti i principali telegiornali.
Un putiferio. Ressa continua di cronisti davanti all’ospedale dove “Fangulo”, vivo per miracolo benché ferito seriamente (il proiettile gli aveva sfiorato un polmone), era stato ricoverato, messaggi di plauso dal mondo politico e dalle cariche istituzionali, processione infinita di compaesani (eh sì, perché ora si definivano orgogliosamente suoi compaesani), grati che il pezzente, insieme ai suoi spiccioli, avesse salvato pure i loro risparmi e le loro agognate pensioni, proposte di cittadinanza onoraria, di alloggio, di lavoro, di candidatura alle future elezioni comunali e via di seguito. Ci fu pure qualcuno che non esitò a scomodare la toponomastica, proponendo al Consiglio comunale di cambiare una mai troppo amata via Scoreggi, intitolata ad un oscuro pittore del settecento, in via Fangulo e qualcun altro che osò paragonare il fangulo ai rapinatori alle pietre di Balilla o alla stampella di Enrico Toti, per non parlare di Cambronne...
E poi interviste a non finire a tutto il paese. Non potendo ancora incontrare “l’eroe” per il divieto tassativo dei medici, i giornalisti s’accanirono con i suoi “concittadini”, i quali , ben consci delle possibili conseguenze, si guardarono bene dal rivelare che il mendicante in effetti quel famoso “invito” lo rivolgeva a tutti...
Inoltre, grazie a Fangulo, in aggiunta alla notorietà iniziò per quel piccolo borgo pedemontano un’ età dell’oro che i locali sperarono potesse durare il più a lungo possibile: la tv divulgò le bellezze del posto e i turisti cominciarono ad affollare le sue strette vie nei fine settimana. I commercianti si fregarono le mani dalla soddisfazione e qualcuno cominciò a parlare di alberghi e centri commerciali.
Non il sindaco, però, occupato con tutt’altre gatte da pelare. Le sue fonti confidenziali in procura gli avevano fatto sapere che Sarti, arrestato dopo la chiamata di correo dei complici, stava contrattando coi magistrati la sua posizione processuale in cambio di esplosive rivelazioni sui rapporti tra l’amministrazione comunale ed un noto faccendiere romano da sempre legato agli ambienti della malavita organizzata.
Tutto questo ovviamente i suoi amministrati non potevano saperlo, motivo per cui si stupirono non poco dello scarso entusiasmo del loro primo cittadino verso quell’ondata di celebrità che stava investendo la borgata. L’avvocato, al contrario del suo rivale, per tutto il tempo che i riflettori furono puntati sul suo campanile rifiutò categoricamente ogni contatto con la stampa, limitandosi a rilasciare una stringata comunicazione in cui si complimentava con l’”eroe”, si dichiarava orgoglioso, a nome di tutta la cittadinanza, di un simile concittadino e assicurava che avrebbe preso provvedimenti per garantire al derelitto l’assistenza a vita a cura del comune.
Malgrado la ritrosia e l’evidente (anche se incomprensibile ai più) fastidio per tutto quel baccano attorno alla vicenda e al paese, ci fu però un evento al quale non potè proprio sottrarsi, anche se il commesso che gli porse il telescritto lo udì chiaramente smoccolare un attimo dopo essere uscito dalla sua stanza: Fangulo avrebbe ricevuto la visita in ospedale nientemeno che del ministro in persona.

11.” Ma quando arriva sto ministro?”
Padre Aurelio, che aveva raggiunto il farmacista nei corridoi dell’ospedale, recava informazioni fresche in proposito e si premurò di condividerle con l’amico.
“Sta arrivando, sta arrivando. Quando sono partito dal paese, era appena sceso dall’aereo, a detta del maresciallo”
“L’orario delle visite è già iniziato...Speriamo che si sbrighi”
“Ma si figuri se staranno attenti all’orario con un ministro...Aspetti, vedo della confusione là in fondo. Eccoli, sono loro!”
Accompagnato da una colorita e rumorosa corte di giornalisti, collaboratori, funzionari di Polizia e alti ufficiali dell’Arma, il ministro avanzò a larghe falcate lungo il corridoio, fermandosi a metà del percorso per ricevere i saluti del primario e del direttore dell’ospedale. Ovviamente con lui c’era anche il Prefetto ed ovviamente c’era anche un ingrugnito sindaco.
Esauriti i convenevoli di rito, il ministro, seguito dal solito codazzo a cui nel frattempo s’erano aggregati abusivamente, malgrado le occhiatacce dell’avv.Bencivegna e del maresciallo Arrighi, il prete e il farmacista, entrò nella stanza di Fangulo, il quale in quel momento si andava lentamente risvegliando dal sonno indotto da una iniezione di sedativo praticatagli qualche ora prima.
Dispostisi a cerchio i presenti attorno al lettino del ferito, mentre partivano, nonostante la muta contrarietà dei medici, i primi flash dei fotografi e le riprese dei cineoperatori, il ministro iniziò solennemente a pronunciare la solita giaculatoria da politico consumato, grondante di retorica peggio del bollettino di vittoria di uno Stato Maggiore:
“E’ con vivo compiacimento, caro signor...”
Pausa
“Come si chiama il nostro amico?” chiese l’alta autorità.
Panico. Sguardi smarriti fra i partecipanti al convegno e ricerca spasmodica delle facce del sindaco e del maresciallo dei carabinieri.
I quali, imperturbabili, dichiararono di non conoscere le esatte generalità dell’”eroe”, che in paese era conosciuto semplicemente come “il mendicante di Corso Umberto II”, omettendo ovviamente di precisare che negli ultimi tempi veniva appellato in tutt’altro modo...
“E che facciamo? Mica posso chiamarlo così” obiettò il ministro. “Fausto! Io in parrocchia l’ho sempre chiamato Fausto, in onore di S. Fausto, patrono dei poveri” proruppe allora padre Aurelio
“Ma perché, S. Fausto è il patrono dei poveri?”domandò sottovoce il farmacista al prete.
“Lasci perdere ...”
“Ah bene”-disse rinfrancato il ministro riprendendo la sua omelia zeppa di sprezzi del pericolo, ammirevole senso civico e delle istituzioni, rettitudine, italianità, ardimento, malvagità proditoria e vile dei due furfanti e via di seguito.
L’appassionato sermone terminò giusto un attimo prima che qualcuno cominciasse ad intonare le prime strofe della canzone del Piave.
-“E allora, signor Fausto, è con vivo compiacimento che, a nome del governo, ho l’onore di comunicarle che il nostro Capo dello Stato le ha conferito una prestigiosa onorificenza al valore civile, che prossimamente le verrà consegnata in una pubblica cerimonia nel palazzo della Presidenza. E’ contento? “concluse il ministro accostandosi al viso di “Fausto”
Il quale, ormai quasi del tutto ripresosi dal torpore, cercò disperatamente, per quanto il dolore glielo consentisse, di rispondere alla domanda del ministro, emettendo all’inizio suoni incomprensibili (ffnn...nngg...).
Esausto per lo sforzo ma desideroso di non deludere quel signore così gentile che continuava a sollecitargli una risposta (“Cosa vuol dirmi, caro?)”, l’eroe, strabuzzando gli occhi per la fatica, riuscì alla fine ad articolare una parola di senso compiuto.
E fu del tutto inutile, allora, il grido corale e disperato che subitamente si levò dalle bocche del sacerdote, del farmacista, del sindaco e del maresciallo, risuonando alto e lugubre nella stanza:”Nooooooooo!!! ”

© Francesco Caruso





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