Progetto Babele Rivista Letteraria
© 2002 - Progetto Babele Rivista Letteraria - fondata da Marco R. Capelli
Cos'è PB? Chi siamo? Collabora con PB
Audiolibri BookShop Arretrati
HomePage Contatta PB Pagina ufficiale Facebook Pagina ufficiale Youtube Pagina ufficiale Instagram Pagina ufficiale Linkedin Gruppo Telegram Whatsapp Community
TeleScrivente:    Gordiano Lupi recensisce: Per difendersi dagli scorpioni di Fernando Sorrentino (29/09/2023)    31 amici per un progetto corale (17/09/2023)    Il foglio letterario. PROGRAMMA 23 Maggio – 11 Giugno (23/05/2023)    [28/03/2024] 0 concorsi letterari in scadenza nei prossimi quattordici giorni    EVENTI, PRESENTAZIONI, CORSI, SEMINARI, FIERE E SPETTACOLI    AUDIOLIBRI     I decapitati di Francesco Ciriòlo letto da Alessandro Corsi     Il profumo dell'estate di Cinzia Baldini letto da Alessandro Corsi     Capitolo 6 - La perla di Labuan di Emilio Salgari letto da Marco R. Capelli     Capitolo 5 - Fuga e Delirio di Emilio Salgari letto da Marco R. Capelli     Capitolo 4 - Tigri e leopardi di Emilio Salgari letto da Marco R. Capelli    RECENSIONI     Billy Summer di Stephen King    Il nome di Abel di Andrea Meli     Io dentro ai tuoi occhi di Chiara Guidarini     Come mio fratello di Uwe Timm     Sul margine di Maria Allo    Il Parere di PB     Cambi di prospettive di Ilaria Ferramosca     Express Tramway di Vittorio Baccelli    Il lungo viaggio di Chaetodon Vagabundus di Francesco Sciortino    I buoni ed i cattivi frutti di Francesca Ricci     Dio tu e le rose di Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini    Articoli e saggi     Ardengo Soffici e il Fascismo     Ezra Pound: una breve nota     La poesia patriottica nel Romanticismo italiano     L’immanenza dell’incarnazione nella poesia di Mario Luzi     La storia alimentare di Porto San Giorgio, tra folklore, letteratura e testimonianze Di Edoardo Mistretta    Racconti     La luna blu di Alessandro Abate     I decapitati di Francesco Ciriòlo     Sara y la Facultad di Jorge edgardo López     L'intervista di Cinzia Baldini     Il temporale di Cinzia Baldini    Biografie     Fazil Iskander (1929-2016)     Shakespeare, William (1564-1616)     Svevo, Italo (1861-1928)     Deledda,Grazia (1871-1936)     Némirovsky,Irene (1903-1942)    Traduzioni     Un campionato incompiuto di Fernando Sorrentino trad. di Marco R. Capelli     Con la "de palo" di Fernando Sorrentino trad. di Marco R. Capelli     Barman Adgur di Fazil Iskander trad. di Aldona Palys     La signorina Cubbidge e il dragone del Romanzo di Lord Dunsany trad. di Manny Mahmoud     Dove sale e scende la marea di Lord Dunsany trad. di Manny Mahmoud    Poesie     In punta di piedi di Paola Ceccotti     Lux di Alessio Romanini     Respiro di Valeria Vecchi     Stanno le cose di Teodoro De Cesare     Madre di Davide Stocovaz    Cinema     Shadows (Ombre) (USA 1959) regia di John Cassavetes     The Censor, un horror sociale britannico ( 2021) regia di Guerrilla Metropolitana     Forbidden Voices - How to start a revolution with a laptop (Svizzera 2012) regia di Barbara Miller    Musica     I Inside The Old Year Dying (2023) - PJ Harvey     La moglie in bianco … la Compilation al pepe (2023) - Diego Pavesi     RökFlöte (2023) - Jethro Tull    
Email
PSWD
AddsZone
Save the Children Italia Onlus
Bookshop
La Rivista
Copertina
Scarica gratuitamente
l'ultimo numero della rivista
Cart ARRETRATI
BookShop
PB Interactive
>>Stazione di servizio
Consigli & indirizzi per aspiranti scrittori
>>Telescrivente
Le NEWS di PB - quasi un Blog
>>L'angolo di Simone
Dedicato ai più piccoli
>>Piccolo spazio pubblicità
Le vostre inserzioni su PB
PB consiglia
Concorsi e premi letterari
11 concorsi in archivio
Eventi Mostre Presentazioni Spettacoli
1 eventi in archivio
Novità in libreria
NOVITA' IN LIBRERIA
20 novità in archivio
Doc
Newsletter Conc.&Eventi
Iscriviti ora, per essere sempre informati su Concorsi Letterari ed Eventi Culturali!
Assaggi
Le Recensioni
     

Così piena di vita
di Silvia Angeli
Pubblicato su PBSE2019


VOTA QUESTO TESTO
Insufficiente Sufficiente Discreto Buono Ottimo

Votanti: 386
Media 79.38%



Erano ormai sette anni che Giorgia non faceva visita alla tomba di famiglia. Prima c'era stato il rifiuto, poi il dolore, poi l'imbarazzo. Infine la stanchezza. 
Ad una scusa era succeduta l'altra, e pian piano tutti avevano semplicemente smesso di pretendere la sua presenza. Anche i morti.
Per lei l’intera liturgia della visita non aveva senso. Puzzava di ipocrisia e pentimento tardivo, nonché di una superstiziosa forma di assicurazione per il futuro. Nessun rispetto, nessuna devozione.  Un mucchietto di ossa a marcire sotto terra, mesi su mesi, anni su anni. In attesa di che cosa? Di una visita, di un fiore, di una preghiera detta a mezza voce?
La maggior parte delle persone è in difficoltà, di fronte ad una lapide. Il respiro si fa più corto, i movimenti più pesanti, la bocca più impastata. Le parole faticano a uscire, si pone una cura eccessiva nello sceglierle. 
“Pare d'essere di fronte ad un tribunale, più che altro” ragionava lei. “E io non vado là a farmi giudicare!”. 
Una forma di resistenza flebile e facilmente contestabile, ma nessuno si sarebbe preso la briga di farglielo notare.
“Senza contare il fatto che il dolore è privato, è solo, deve esserlo!”. 
Il suo dolore non era uguale a quello di quel signore stempiato che piangeva il figlio, a quello della vecchietta dal cappello ridicolo che cambiava l'acqua ai fiori del marito, a quello della famiglia vestita – ancora! - a lutto. 
“Ciascuno ha il suo dolore, e ogni dolore ha il suo padrone. Un luogo non può contenere così tanto, semplicemente non può”. 
Ma quel giorno era diverso. No, non perché avesse cambiato idea a riguardo: le sue resistenze rimanevano, anzi, si facevano più forti, sempre più forti man mano che la distanza che la separava dal cimitero diminuiva.
La piccola cappella di famiglia era in un paese di cento anime in Carnia. Due vie, poche case, un bar, la chiesa, un'altra chiesa in alto, a dominare il paese e la distesa di un cimitero troppo grande se messa in rapporto al numero degli abitanti. 
“Più morti che vivi, in questo posto!” commentava Giorgia ogni volta che ci metteva piede.
L'avversione per i cimiteri aveva origine antica e andava oltre i motivi personali. Era questione etica e di principio. Ricordava la visita a Parigi, i grandi cimiteri della città, luoghi di culto. Alcune tombe – come quella di Beckett, squadrata, spigolosa, nemmeno un fiore a vezzeggiarla; o quella di Wilde, piena di ornamenti e di fronzoli – così simili ai loro abitanti. 
E poi tutto quel vociare, quel rincorrersi di ragazzini e giovani intellettuali per Pere Lachaise. 
“Jim Morrison è di qua, muoviti, muoviti”.
“Edith Piaf non la trovo...tira un po' fuori la mappa”.
“Aspetta, qua c'è Proust. Dopo quello che m'ha fatto penare a scuola con la sua Recherche!”.
L'aveva colta allora un indescrivibile fastidio. Così poco rispetto. Così poca dignità. Era necessaria una lontananza, una sottrazione almeno fisica, se non simbolica. Un passo indietro. Non asfissiare con la propria presenza, non imporla a loro, che non si possono ribellare o lamentare. Per questo lei si teneva sempre a debita distanza.
“Sono morti. Non ti mangiano mica!”.
Una risata che echeggia forte nel cimitero pressoché deserto. Giorgia si gira inviperita alla ricerca del volto che corrisponda alla voce: un ragazzo sulla ventina. Giorgia lo incenerisce con lo sguardo. Lui, incurante, si avvicina. 
“Cos'hai, paura?” chiede quello, sempre sorridendo.
“No”.
“E che c'è allora? Puoi andare più vicino”.
“Lo so”.
“Non ti piace questo posto?” le domanda piano, osservandola attentamente.
“Ci mancherebbe, è un cimitero!” esclama con sdegno.
“A me invece piace… Mi piace venire qui” con la mano fa un gesto ampio a descrivere tutto il cimitero.
“Perché?” domanda Giorgia, fissandolo con gli occhi socchiusi. “Hai parenti sepolti qui? Amici?” incalza lei. Il ragazzo scuote la testa.
“Vengo qua e penso ai miei morti. Ma anche a questi morti, anche se non so chi siano”.
Le spalle si alzano e si abbassano, come a dire “e che ci vuoi fare”.
“Certo, uno vale l'altro no?” sbuffa ironica Giorgia “Sono tutti morti, no? Hanno questo in comune”.
“No, hanno in comune che una volta erano tutti vivi” replica lui.
La risposta, così semplice nel suo candore, la prende in contropiede. È vero, una volta tutte queste persone erano vive. In tempi e in modi diversi, ma ognuno di loro respirava, mangiava, faceva l'amore, dormiva e si risvegliava.
“Sì, una volta lo erano” commenta Giorgia, la voce priva di ogni connotazione emotiva.
Cosa scrivere sulla propria tomba? Come trovare una frase, delle parole, dei suoni che pronunciati possano sintetizzare un'intera vita?
Certo, alcuni ci riescono. Le tornavano alla mente certi epitaffi famosi, studiati già al liceo, come il “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope: cecini pascua, rura, duces” di Virgilio. Oppure “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” di Kant. Con un sorriso ricordava quello di Walter Chiari, letto su un qualche giornale: “Amici non piangete, è solo sonno arretrato”. Terribilmente rassicurante, a modo suo. Come una carezza.
Qui invece nulla di particolarmente originale. Ci si contiene. È un cimitero di gente comune, senza troppe velleità o troppe pretese. Meglio così. Anche lei avrebbe optato per la sobrietà.
Una voce rauca interrompe il flusso dei suoi pensieri. A pochi metri da lei una vecchiettina curva curva, con in mano un cesto di fiori: sembra uscita da una fiaba. Procede di tomba in tomba, riponendo su ciascuna un fiore, secondo quello che pare un rito ben consolidato.
“Ecco, un narciso per Narciso”. Una risatina sommessa. “Una margherita per Margherita”. Si ferma a guardare Giorgia, oltre Giorgia, un punto non ben definito alle sue spalle. “Le persone finiscono per assomigliare al proprio nome. Io cerco di ricordarlo sempre”. Prosegue nel suo lento pellegrinaggio.
“Cosa fa?” chiede Giorgia perplessa.
“Il prete, quand’ero piccola, mi diceva sempre ‘E' giusto che tutti abbiano due occhi e un pensiero e delle mani giunte’. Indica con il capo le tombe. “Io ci aggiungo: e un fiore!” il sorriso si apre sulla bocca sdentata.
Giorgia la osserva. “Lei conosce tutti qui?”.
“Eh quasi, quasi”.
“Questo” Giorgia indica la tomba a lei più vicina, quasi con aria di sfida. “Questo, chi era?”.
“Ah! Alfredo. Alfredo era un poveraccio. Non sapeva vivere, si sapeva solo raccontare. E si è bevuto l'anima all’osteria del paese”.
L'osteria del paese. L'ancora di salvezza del gruppo sparuto degli uomini, e la disperazione delle loro mogli. Dovevano andare a recuperarli uno a uno, alla sera tardi. Prenderli per mano come si fa con i bambini, e condurli a casa, forse anche rimboccare loro le coperte, mentre quelli si erano già persi in un sonno profondo. Ogni giorno all'osteria ciascuno dimenticava se stesso e gli altri per qualche ora. E puntualmente se ne ricordava bruscamente al mattino presto, quando c'era da alzarsi e cominciare un'altra lunghissima giornata nei campi. Non si parlava mai, nei campi. Ore e ore in silenzio. E poi, finalmente, la sera. E allora il coraggio un poco usciva e le parole pure. Ma insieme una disperazione forte, che bisognava mettere a tacere in qualche modo, annegare nei litri di vino rosso. Che se ne stesse buona e quieta, che li lasciasse in pace almeno lei, almeno per qualche ora.
Giorgia comincia a camminare a fianco della vecchia.
“E questo qui?” le domanda, incapace di nascondere ora una certa curiosità.
“Luigi. Poverino, è morto giovane. Incidente stradale. Era un mio lontano cugino”.
Un lontano cugino. E chi se li ricorda i cugini? Chissà che facce hanno adesso, adulti. Chissà che lavoro fanno, saranno sposati, vivranno da soli, avranno fatto figli?
Tutto così diverso da quando la mattina all'alba ci si alzava dopo aver sentito il gallo cantare e chi arrivava ultimo alla piazza della chiesa già doveva pagare pegno. Di solito toccava a lei portare le canne da pesca e le lenze di tutti. Persino le esche, che le facevano schifo. Anche se era una femmina, o forse proprio perché era una femmina. 
L'acqua del lago era sempre gelata, e non le riusciva d'abituarsi. Appena le arrivava al petto si sentiva trafiggere da una sensazione di malinconia infinita. Un qualcosa di primitivo, una forza atavica che l'avvolgeva, e non riusciva a liberarsene nemmeno tornata a riva.
Le giornate erano lunghissime allora, c'era posto per tutto. Eppure era passato tutto così in fretta, e adesso non c'era più posto per niente. “Solo rimpianti e recriminazioni” pensa con amarezza.
Lentamente arrivano anche di fronte alla cappella della famiglia di Giorgia. La vecchia si fa un segno della croce veloce e poi rivolge la propria attenzione altrove. 
“Ma...e loro? A loro niente fiore?” chiede Giorgia, sorpresa e un poco ferita. “Non li conosceva?”.
“Ah, certo che li conoscevo! Ma guarda che bel posto che hanno per riposare”. Fa un gesto a indicare la cappella. “E dentro ci sono tanti fiori. C'è già chi pensa a loro”. La vecchia le cinge il polso con la mano, quasi a trattenerla. “Ci sei tu”. 
I loro sguardi s'incrociano per un istante soltanto. Giorgia annuisce col capo, e deglutisce forte. La vecchia continua, la voce serena e priva di incrinature. 
“Da loro puoi sapere tante cose. Forse troppe cose, cose che non vorresti sapere o che vorresti poter cancellare”. Guarda Giorgia negli occhi e la trafigge rapida: “Ma loro fanno solo il loro lavoro, semplicemente il loro lavoro: non ti permettono di dimenticare”. 
Giorgia ha il capo chino, e tace.
“Perché li vuoi dimenticare?” continua.
“Perché posso”.
La vecchia scuote la testa e riprende il suo percorso. Giorgia rimane a guardarla, immobile per qualche minuto. Poi finalmente si decide a entrare nella cappella di famiglia. Respira a fondo, l'aria umida e la puzza di chiuso le pervadono i polmoni. Tutto è come lo ricordava. Forse solo un po' più piccolo. Stende la mano a toccare il marmo freddo. Passa un dito sopra i nomi e le date. Soffia via la polvere dalle fotografie sorridenti. 
È vero, i fiori sono tanti. Addirittura qualche peluche. E anche i lumini. Tira fuori l'accendino e ne accende due. Il suo sguardo si posa sui vari oggetti, ricordi, regali portati lì: sono testimoni di un'esistenza diversa, di un prima. C'è il cane in plastilina che aveva dovuto fare a scuola per la festa della mamma. È lì a fare la guardia. La fa sorridere. C'è un ritratto fatto a carboncino, messo in una busta di plastica per proteggerlo dal tempo e dalla corruzione. Il pallone da calcio, la pipa, il profumo. Un pensiero per ognuno, ad ognuno qualcosa che gli era stato caro in vita. Cercare di unire le due dimensioni, scavalcare la distanza, vincere il tempo. Una consolazione per chi se n'è andato, e soprattutto per chi è rimasto. All'improvviso è tutto troppo: deve uscire.
È di nuovo fuori, all'aperto, nel sole, in vita. Sembra così labile il confine. E così facilmente attraversabile. Guarda la vecchia pieve, il suo alto campanile. Scorge la sagoma di un uomo e si fa schermo con le mani per averne la certezza. La riconosce: si staglia nitida nel sole di mezzogiorno. Ne traccia i contorni con le dita. Poi, con un sospiro, inizia a salire verso il campanile. Gli si avvicina lentamente. Lui, di spalle, certo l'ha sentita arrivare.
“Mi fa piacere che tu sia venuta”. La voce è roca, piena di gratitudine e tristezza.
Giorgia annuisce semplicemente, e non fiata. 
“Quant'era, che non venivi? Cinque, sei anni almeno...”
“Cinque. Cinque anni”
“Cinque anni...” le fa eco lui. Si schiarisce la voce. “Mi fa piacere che tu sia venuta” ripete.
“Da quant'è che sei qui?” domanda Giorgia, cercando di mantenere un'intonazione neutra.
“Da un paio d'ore” risponde lui.
“Non ti ho visto...”.
“Sono stato in macchina. Poi sono salito qua. Là dentro, là dentro non sono ancora entrato”.
Finalmente si gira. È di molto invecchiato, il volto è segnato e stanco. 
“Sei vecchio” si lascia sfuggire Giorgia.
“Lo so. Tu invece sei sempre più bella”.
Giorgia arrossisce. Lui fa un passo verso di lei, le prende il mento e le scruta il volto.
“Le somigli moltissimo” dice.
Giorgia si sottrae alla presa e la mano di lui rimane a mezz'aria. Se la porta alla fronte, e se la passa poi tra i capelli radi.
Passano qualche istante in silenzio. Lui pare assorto nei suoi pensieri, guarda fisso verso l'orizzonte. Muove le sopracciglia velocemente e in continuazione, in una sorta di tic.
“Tu non mi hai ancora perdonato”. Non è nemmeno una domanda.
“No” conferma lei, con un tono più duro di quanto fosse sua intenzione.
“Pensi...” continua lui, esitante. Si passa la lingua più volte sulle labbra, apre la bocca quasi a voler forzare fisicamente le parole a uscire. “Pensi che loro mi abbiano perdonato?”
Giorgia non dice nulla. Il cervello sembra non funzionare più: impossibile coordinare pensieri e suoni. Passa qualche istante o una vita intera. Giorgia si sente improvvisamente pervadere da una sensazione di calma. Si guarda le mani come non le appartenessero e le tende, scioglie il nodo in cui erano intrecciate quelle di lui, le raccoglie nelle sue. La presa è forte: lui ricambia la stretta in una sorta di spasmo doloroso e prolungato.
“Io, non l'ho fatto apposta, l’altra macchina non l'ho vista arrivare...non l'ho vista, non potevo. Nessuno...”.
Giorgia si irrigidisce, sottrae le mani alla presa, e fa un passo indietro. Aspetta che lui si ricomponga.
“Nonno, io non lo so se ti hanno perdonato. Non credo nemmeno che importi più, no?”.
Lui scuote la testa e piange in silenzio. 
“Però questo è il luogo giusto per tentare. Voglio dire, per sperare”. Con lo sguardo cerca la vecchia, ormai una macchiolina nera persa tra la fila di tombe, molto più giù. Poi, a voce più bassa “E per ricominciare”. Lui la guarda sorpreso. Annuisce, e continua a guardarla.
“Io, io vado”.
“Vuoi che ti accompagni? È un viaggio lungo, in treno”.
Giorgia scuote la testa. Con una tenerezza che non si riconosce gli passa una mano sulla schiena, leggera. Poi si gira e se ne va. Scendendo la ripida strada di sassi si sente improvvisamente così piena di vita.

© Silvia Angeli





Recensioni ed articoli relativi a Silvia Angeli

Nessun record trovato

Testi di Silvia Angeli pubblicati su Progetto Babele

(1) Così piena di vita di Silvia Angeli - RACCONTO



>>ARCHIVIO RACCONTI
>>GLI AUDIOLIBRI DI PB




-

dal 2012-04-30
VISITE: 1.935


Segnala un malfunzionamento in questa pagina
© Copyright Note:
Tutto il materiale qui pubblicato è proprietà intellettuale degli autori.
Come tale non può essere riprodotto, tutto o in parte, senza preventivo consenso degli autori stessi.
GDPR 2016 - Privacy & Trattamento dati personali