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Fumatul
di Pier luca Cozzani
Pubblicato su SITO


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La sensazione di calore che dal palmo della mano si trasmette alla guancia cessa di colpo. Lui scuote la testa, infastidito.

Mi stavo addormentando.

Scuote il mouse, nervosamente, e il monitor torna ad accendersi. Al polso, l’orologio dice che è tardi. Domani sono cavoli. Meglio spegnere tutto.

Gabriel si stropiccia gli occhi, poi si cerca in tasca il pacchetto di Marlboro di contrabbando. La scritta sul cartone è minacciosa:

“Fumatul poate provoca o moarte lentă şi duveroasă”

Sotto la scritta, un’immagine che più esplicita non si può: la faccia di un uomo con un’orribile escrescenza carnosa sulla gola. Gabriel si chiede per l’ennesima volta  se sia un fotomontaggio, poi distoglie gli occhi e sfila la sigaretta dal pacchetto nuovo.

Di qualcosa bisogna pur morire…  pensa, mentre accende. Che le sigarette rumene siano le uniche a riportare immagini tanto esplicite, lo disturba non poco.

Il mio popolo deve sempre farsi un po’ più male degli altri…

Il biglietto è rimasto sulla scrivania, Gabriel lo prende in mano e accarezza con lo sguardo le parole scritte in un italiano sgrammaticato:

“Ieri stato belo. Mi e piacuto vino e piacuto te.” Poi, in rumeno: “Te iubesc. Mirka”

Ti voglio bene  traduce lui, meccanicamente.

Mirka. Con i guanti e gli scarponi antinfortunistici, che ai suoi piedi sembrano quasi belli. Mirka in giro per la fabbrica con la scopa e la paletta, con addosso gli occhi di tutti gli operai a spogliarla della tuta blu. Mirka che si cambia dietro una parete di cartongesso, unica ragazza nello spogliatoio comune.

Gabriel apre il cassetto, poi il foglietto va ad unirsi alle foto di lei scaricate da facebook e stampate in bianco e nero con la stampante laser del magazzino.

«Buonanotte, amore» sussurra il ragazzo. Poi si sdraia sul letto, ancora vestito. Il dito preme un tasto sulla sveglia e il display si illumina per un attimo, prima di tornare scuro. Un pensiero fastidioso si fa strada in mezzo al fumo della sua coscienza semi addormentata :

Mirka è troppo bella, ha troppi maschi intorno. Mirka guarda troppa televisione, troppi reality… troppo giovane, troppo bella per un operaio rumeno…

Il ragazzo si passa le mani sulla faccia, come a scacciare i cattivi pensieri, poi a occhi chiusi cerca a tentoni l’interruttore sul muro.

L’unica cosa buona, è che domani è venerdì.  

Dario Ricci stringe nervosamente i lacci delle scarpe: ancora prima dell’alba ha già fatto i suoi esercizi di respirazione. Chiude con attenzione il portone, poi si avvia verso la strada. Ora bisogna correre. Dal lago di Garda soffia una brezza leggera, mentre i primi raggi del sole si affacciano dalla cima del monte Baldo.

Fino alla fabbrica sono quattro chilometri, col freddo che fa. A lui non importa: è un guerriero, lui. Dario si sdraia pancia a terra e comincia una serie di trenta flessioni, poi attacca con lo streching. Come sempre, arriverà al lavoro con mezz’ora di anticipo, in tempo per cambiarsi e fare colazione.

Guarda con disgusto la fila di auto piene di gente, facce immobili e  inespressive, facce senza volto, gente inutile e sconfitta che riversa nel mondo la propria inutile vita. Lui no, per lui non è così.

Io sono un guerriero

Dario apre la porta dello spogliatoio, e un odore sgradevole gli ricorda che lì dentro si spogliano degli esseri umani. Spalanca la finestra e respira l’aria frizzante del mattino, mentre scarta una barretta energetica. La caffettiera sul fornello elettrico comincia a sbuffare.

Tutto quel rame… pensa, stringendo in mano la chiave del locale tecnico.

È stato facile… rubare la chiave del locale tecnico e durante la pausa pranzo correre a farne una copia… chi farà caso a Dario  che corre? Corre sempre, lui…

E dietro la porta, appesa, la chiavetta elettronica per disinserire l’allarme.

Uno stupido allarme…branco di idioti.  Non hanno nemmeno messo le telecamere. Tutto quel rame…

L’alba è un pugno in faccia mitigato dal caffè. Alle sei e venti non è allegro nessuno, lo è meno chi ha fumato e bevuto fino a tardi. A Gabriel, tutte le mattine, tornano in mente le parole di una canzone:

Non c’è giustizia né pace qua intorno
Tutte le ore di un anno e tutto il tempo del giorno
Io giù da un letto sicuro mi butto alle sei…

Poi, in macchina, nel poco traffico che dalla periferia di Arco porta alla zona industriale di Linfano, gli rimane qualche minuto per rilassarsi. Riva del Garda è vicina e lontana, con i suoi mille negozi e i suoi turisti annoiati. L’odore del lago non si sente, da Linfano. Dall’ autoradio, la canzone di Ivano Fossati prosegue:

Nessuno vede l’amore nessuno lo intuisce
Io fra i tuoi occhi splendenti ci sto perduto nel mezzo
Se accendessi un’altra luce non la vedrei

Mirka… pensa. E nella Punto bianca la musica suona più forte.

Gabriel parcheggia accanto al muro di recinzione, nello spazio appena necessario per aprire la portiera e uscire strisciando dalla macchina. Poco lontano, una fila di parcheggi vuoti e un cartello bianco sul muro:

RISERVATO AI DIRIGENTI

Fa’ che Zanna non sia ancora arrivato… pensa, mentre corre verso gli spogliatoi. Zanna è il soprannome che gli operai hanno affibbiato al capo officina.

Chissà se lui lo sa? si chiede Gabriel, entrando. Il capo lo sta aspettando, con il gomito appoggiato sulla macchinetta per timbrare e gli occhi fissi sull’orologio appeso al muro.

« Le sette e tre minuti, zingaro. Cambiati pure con calma, tanto ti tolgo un’ora.»

Gabriel non replica, sa che sarebbe inutile. Si infila  tuta e scarponi e si dirige verso l’officina. Mentre si infila i guanti, lo sfarfallìo delle file di neon che si accendono gli proietta negli occhi il conto salato di ogni mattina: la fabbrica, il lavoro duro e pericoloso, la certezza che niente cambierà, se non in peggio.

«Trovati un lavoro e comportati bene» diceva suo padre. «E non farti venire grilli in testa. Ricorda com’era in Romania»

Lui ricorda: la scuola e poi a lavorare, subito. Il lavoro era obbligatorio, appena finita la scuola; la paga era assicurata e non era neanche bassa. Il problema era che con i Leu non si poteva comprare quasi niente, perché non c’era niente da comprare. I ricchi e i potenti pagavano in dollari, e con i dollari si poteva avere tutto. La polizia e i delatori erano dappertutto, e essere trovati in possesso di moneta straniera era considerato un crimine gravissimo. Gabriel si era diplomato geometra e in Italia aveva fatto il praticantato per due anni nello studio di un architetto, lavorando senza compenso, per poter accedere all’esame di abilitazione.  La mattina lavorava come manovale, il pomeriggio andava in studio e la sera studiava fino a tardi.

Era stata dura, ma ce l’aveva fatta. Era un geometra iscritto all’Albo. La vita sarebbe stata una passeggiata, per Gabriel Ionescu. Quando, nello sesso studio dove aveva fatto il praticantato, aveva fatto domanda di assunzione, la segretaria lo aveva guardato con un sorriso ironico.

«Un geometra rumeno? E cosa pensi di progettare, campi per gli zingari? Poi la signora lo aveva squadrato da capo a piedi:

«Voglio darti un consiglio, Gabriel, e te lo darò una volta sola: trovati un posto da manovale in una ditta di muratori rumeni o albanesi, impara il mestiere, e forse un giorno sarai un bravo muratore, per di più diplomato. E ora ho da fare, se non ti spiace.»

Lo aveva congedato così, con un gesto della mano, come fosse un accattone. Il ragazzo era uscito stringendo le mascelle, ma senza piangere: suo padre gli aveva insegnato così.

L’unica cosa buona, è che oggi è venerdì… pensa, mentre accende la macchina piegatrice. E che più tardi vedrò Mirka.

La Italiana Canali produce tubazioni, laminati e lattoneria in genere. La fabbrica è specializzata nella produzione di canali in rame per i tetti degli edifici, e impiega trentadue operai divisi fra la produzione e l’installazione. Gli addetti alle macchine piegatrici fanno il lavoro più pericoloso, dove si maneggiano i pesanti rotoli di rame e si tagliano e si piegano le lamine. I fogli sono grandi e affilati, e gli infortuni alle mani sono frequenti. Fra i vecchi operai, si dice che chi ha ancora tutte le dita non ha esperienza, e chi ha perso una mano non ha imparato niente. Gabriel ha imparato sulla sua pelle quanto sia doloroso il taglio fatto da una lamina di rame, e quanto tempo sia necessario prime che le ferite, infettate dalle sostanze chimiche di lavorazione, guariscano completamente. Ha imparato anche un’altra cosa: che a meno di infortuni gravi, si lavora lo stesso. Qualche punto di sutura in un palmo è considerato cosa normale.

«Hai i guanti, no?» Gli ha sibilato Zanna, la prima volta che è tornato dal pronto soccorso.

«Mettiteli e non fare storie. C’è la fila, fuori dall mio ufficio, di zingari come te.»

Zingaro. Ormai ci ha fatto il callo, a essere chiamato così. Gabriel ci ha provato, a spiegare a questo ignoranti di italiani che non c’è nessuna connessione, nemmeno etimologica, tra il nome “rom” e il nome dello Stato di Romania, che il suo è un popolo di lingua neolatina, e che i Rom e i Sinti sarebbero etnicamente di origina indiana.

«Rom, rumeni, albanesi, siete tutti uguali.» gli rispondono.«Tutti zingari e ladri.»

«Fosse per me», rincara la dose Zanna, quando si trova coinvolto in certe discussioni, «saprei come fare, una bella tanca di benzina e via, che vale più l’esempio di mille parole.» I grugniti di approvazione degli altri operai hanno insegnato al ragazzo un’altra cosa: meglio far finta di niente e farsi i fatti propri. Lui, almeno, un lavoro ce l’ha. Millecento euro al mese più la tredicesima. Un giorno tornerà nel suo paese e con la sua pensione vivrà da signore.

Il rumore della lama che batte contro il piano di lavorazione lo riporta alla realtà: sono quasi le nove, e Mirka dovrebbe aver finito di pulire gli uffici. Ora nella sua testa gira un’altra canzone, questa volta è di Biagio Antonacci

Giù le mani capo, giù dai miei infradito
Giù le mani, mi dia del lei e non si scordi
Giù le mani da tutto quello che non sa di me
I miei sogni sono tanti, i suoi ormai pochi

Poi si accende la luce più bella, il sorriso sul volto di Mirka che scende dagli uffici e si avvicina alla macchinetta del caffè. Quanto vorrebbe raggiungerla, ma il suo sguardo inciampa nella figura corpulenta di Zanna, piantato come un brutto albero fra lui e la ragazza.

Giù le mani capo, e non mi tratti male… canticchia, mentre infila un altro foglio di rame nella macchina

Io lavoro in questo cesso dieci ore…

Il giovane che si avvicina a Gabriel ha il passo elastico di chi fa molta attività fisica. Lo sfiora con apparente noncuranza, mentre si dirige verso il magazzino.

«Ho la chiave…» sibila Dario, passando accanto a lui. «Hai il camion?»

«Devo telefonare», risponde Gabriel. «Ci vediamo dopo il lavoro, al bar?»

«Alle sette» conferma Dario.

Più tardi, davanti a un Negroni e un piattino di olive, il mondo sembra avere messo via quella faccia da stronzo.

«Il camion aspetterà nella via laterale», conferma Gabriel. «Vengono in due. Gli accordi sono metà loro, metà noi.»

«D’accordo.» Dario si infila in bocca una manciata di noccioline, poi ammicca in direzione di Mirka, seduta al tavolo con due ragazzi italiani.

«Non è la mia ragazza, lo sai…» Gabriel stringe le mascelle, mentre lo dice. Anche se abbiamo passato una serata assieme…»

«Ma ti piace parecchio, no?»

«Non sono fatti tuoi, Dario. Stasera alle dieci, e fai un bel lavoro con quell’allarme.»

«Alle dieci.» Il giovane allunga una mano dietro al banco e sfiora una guancia alla giovane barista.

«Paga Gabriel, stasera.»

La ragazza fissa il metallo del bancone, mentre risponde:

«Quando ci vediamo, Dario?» Quando rialza gli occhi verso di lui, vede solo la sua schiena allontanarsi.

«Bastardo» dice, con un filo di voce. Poi:

«Allora sono nove euro, Gabriel.»

Una fabbrica chiusa emana un odore particolare, come di un corpo che dorme ma esala ancora la vitalità della veglia. Il silenzio è scosso da rumori improvvisi, ronzii di apparecchi elettrici accesi anche di notte, il latrato basso e minaccioso del trasformatore nella cabina elettrica, il lamentarsi del cemento armato che scricchiola. Dario è silenzioso e attento, davanti alla porta dello spogliatoio. Stringe in mano la chiave, nervosamente.

«Aspettiamo ancora un po’, Gabriel.»

Il giovane annuisce, dominando la voglia di fumare.

Sto per commettere un crimine. Perdonami, papà.

E non è criminale, quello che stanno facendo a te? Grida la voce nella sua testa.

Sei euro all’ora, lordi, per spaccarsi le mani, per essere maltrattati e umiliati. Tutto quel rame… sono solo scarti di lavorazione, in fondo. Al padrone quel furto farà il solletico. Il rame… Gabriel e Dario hanno fatto bene i conti: al mercato nero un camion ben carico può fruttare dai trenta ai quarantamila euro, se tutto va bene fanno diecimila a testa. Potrebbe cambiare macchina, forse addirittura dare un anticipo, sottoscrivere un mutuo e comprarsi un bilocale a Linfano.

Vicino alla zona industriale i prezzi non sono alti… Smettere di regalare soldi a quel bastardo del padrone di casa…. Gabriel ricorda bene quanto ha dovuto penare per avere il contratto di affitto. Tutto quel rame, scarti di lavorazione a pezzatura piccola, col muletto caricheremo direttamente le casse sul pianale del camion…Basteranno pochi minuti.

Poi lontano sente il rumore dell’autocarro.

I due ragazzi si guardano, mentre il rumore aumenta, come la voglia di fumare. Dario si inventa un sorriso tirato, poi si avvicina all’autista e gli spiega come arrivare al cancello sul retro.

«Aspettate lì. Fra dieci minuti esco col muletto. Preparate il camion con la sponda abbassata.»

«Sei pronto?» chiede Dario a bassa voce. «Passiamo dagli spogliatoi, stacchiamo l’allarme e corriamo ai muletti. Carichiamo due casse a testa e via di corsa. Prima di scappare ricordiamoci di reinserire l’allarme.»

Gabriel annuisce, con le labbra strette, mentre guarda Dario infilare la chiave nella toppa. Un istante dopo lo afferra per un braccio e stringe fino a fargli male, strattonandolo per costringerlo a girarsi verso il cancello principale del capannone. Gli occhi dei due giovani si dilatano, mentre osservano la luce del cancello elettrico lampeggiare. Subito dopo, un clang metallico dice che il cancello si sta aprendo

«Chi?» chiede Gabriel, poi la vede, la X5 nera che entra nel parcheggio. Nello stesso momento, un beep prolungato avvisa che l’allarme è stato spento. L’uomo nell’auto rimette il telecomando nel vano portaoggetti, poi accarezza la coscia della ragazza al suo fianco. Lei ride a bassa voce.

«Ehi, quanta fretta. Aspetta almeno di essere dentro, capo!»

Zanna annuisce. Lo hanno fatto altre volte. Il suo ufficio, di notte, è il posto più sicuro dove incontrarsi. Parcheggia la BMW dietro un conteiner, poi l’uomo e la ragazza scendono dall’auto e si avvicinano all’ingresso.

«Dammi la chiave dello spogliatoio.» La voce di Gabriel è un basso latrato.

«Sei pazzo?» C’è paura, in quella di Dario. «Vuoi farci arrestare?»

«Dammi la chiave. Tu vai pure via. Quelli del camion se ne andranno, se non ci vedranno arrivare.»

«Non fare pazzie, Gabriel. Possiamo tornare un’altra volta, non ci ha visto nessuno…»

«Dammi la chiave, Dario» Adesso lo sguardo del ragazzo è scuro come la notte, la voce quella di chi non ammetterà un rifiuto.

«E va bene, scemo di un rumeno! Vai a fare la tua cazzata, vai a farti arrestare e a farti dare  un sacco di botte, lo sai come li trattano, quelli come te?»

«Lo so da una vita. La chiave, Dario.»

Il ragazzo appoggia la chiave sul palmo aperto di Gabriel. «…Fanculo!» sbotta, allontanandosi. «Tu non mi conosci, non mi hai mai visto qui e hai fatto tutto da solo. Chiaro, rumeno?»

«Chiaro.» Ora l’unico rumore è quello della chiave che gira piano nella toppa. La porta si apre con un clic leggero, e Gabriel è dentro. Non è difficile orientarsi, la luce accesa nell’ufficio di Zanna esce dalla porta aperta, si trascina fino ai vetri sporchi dello spogliatoio e illumina il volto di un ragazzo che, per la prima volta in vita sua, non ha più paura. Le scarpe di gomma non fanno rumore sul pavimento, da dentro si sente la ragazza ridere, poi l’uomo respirare pesantemente. Zanna non ha nemmeno chiuso la porta, è nel suo regno, ora. Lei si siede sulla poltrona girevole e allunga le gambe sulla scrivania.

«Sono io il capo, adesso.»  L’uomo ride, rovesciando la testa all’indietro, poi  lentamente le sfila una scarpa e sfiora con le labbra la pianta del piede.

Fuori dalla porta, nell’ombra, Gabriel è praticamente invisibile. Può avvicinarsi, può vederla e sentirla, quasi annusarla. Conosce l’odore di Mirka, il suo corpo, la sua voce. Ora quel corpo, quella voce, quelle gambe distese sulla scrivania, sono il male. Sono l’ingiustizia, la tristezza, la malattia.

Oggi io sono la cura…

La mano di Gabriel stringe spasmodicamente il lungo cacciavite. Nella sua testa, le parole della canzone girano senza sosta:

Su le mani capo, questa è una rapina
Sono stanco di vivere con questa pena
Mi dia quello che spetta a uno come me
Altrimenti le faccio saltare i sentimenti

Le immagini davanti agli occhi di Gabriel sono un film dell’orrore: ora Mirka è sdraiata sulla scrivania, e le mani di quel…  

Quell’orso… nel modo più squallido, sotto la luce banale delle lampade al neon, nell’ufficio di un uomo che ha trent’anni più di lei… il dolore sordo nello stomaco del ragazzo è di quelli che non conoscono pietà, è una cosa viva e pulsante, che lo fa tremare come se avesse la febbre. Il lungo cacciavite stretto in mano è la spada di Damocle, il filo che sostiene la spada è pronto per essere reciso.

L’agnello è sul tavolo, l’agnello deve essere sacrificato…

Zanna accende una sigaretta e si siede, ha deciso di godersi lo spettacolo della ragazza nuda. Soffia il fumo verso il soffitto, mentre abbassa la cerniera dei pantaloni.

“Fumatul poate provoca o moarte lentă şi duveroasă…” Gabriel ricorda la scritta sul pacchetto di sigarette:

Fumare può provocare una morte lenta e dolorosa…Gabriel sa dove trovare la benzina, il generatore di emergenza vicino al quadro elettrico, la tanica per riempire il serbatoio… Zanna tramortito e poi i vestiti inzuppati di benzina…

Basta un accendino… fumare fa male. Il film scorre nella sua testa, crudele e affascinante. Ricorda le parole di Zanna:

«Tutti zingari e ladri. Fosse per me, saprei come fare, una bella tanica di benzina e via…»

Sì, capo. Una bella tanica di benzina e via.

Ora Mirka respira più pesantemente. Gabriel distoglie gli occhi. Si avvicina al generatore e afferra  il serbatoio di plastica. Fuori la notte è tutta silenzio e luci fioche. La BMW nascosta dietro il conteiner sembra aspettare paziente il proprio sacrificio. Gabriel la bagna accuratamente e tira fuori di tasca il pacchetto di sigarette. Ora può fumare.

“Fumatul poate provoca o moarte lentă şi duveroasă.” La scritta sul pacchetto non si vede, fino a quando il ragazzo non avvicina la fiamma dell’accendino. Il cartone si illumina di una luce azzurrina, prima di volare verso l’auto. La fiammata è così violenta da accecarlo per un attimo. La pira funerea di plastica e metallo scricchiola e geme, mentre il fuoco la divora. Gabriel si volta e corre via. Ci saranno altre officine, altri capi, altro lavoro ingiusto e violento, ci saranno altre ragazze come Mirka…

Forse no… ciao Mirka, divertiti. Fatti sfruttare e violentare, mentre aspetti di diventare vecchia e brutta. Non eri obbligata, Mirka. Nessuno ti ha costretta. Io avrei potuto amarti. Avrei saputo rispettarti e curarti, avrei saputo dirti che l’amore…

Le parole della canzone gli sbocciano in testa. Gabriel non può farci niente, i versi dentro di lui hanno la stessa valenza del pane e dell’aria, sono reali come la corsa dei piedi sull’asfalto, come il freddo, come il bagliore sempre più lontano della macchina che brucia. I versi lo accarezzano, leniscono le ferite, sono balsamo e cura, i versi sono amore.

L’amore fa l’acqua buona
Fa passare la malinconia
Crescere i capelli l’amore fa
L’amore fa guerra agli idioti
Agli arroganti pericolosi
Fa bellissima la stanchezza
Aprire i balconi l’amore fa
Cose che fanno ridere l’amore fa
Cose che fanno piangere…

Si gira ancora una volta, due figure lontane si agitano attorno alla BMW in fiamme.

Grazie per le belle parole, Fossati… e ricordati, mi chiamo Gabriel

…Anche se non lo saprai mai.

© Pier luca Cozzani





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