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Era stato il vento, quel vento che nella Baia d'Enfer soffia improvviso e sferzante, a strappare un lamento isterico ai cardini della porta di quella che ad una prima occhiata qualificai come una bettola in disuso. Avevo freddo ed ero a stomaco vuoto, così, quando spruzzi di pioggia s'infilarono sotto il colletto del giubbotto scendendomi nella schiena, spinsi quel legno sbilenco ed entrai. Ancora oggi dopo tanti anni, la mente solleva un velo di misericordia a difesa dell'apatia in cui mi lascio trasportare nella corrente dei giorni, dimodochè, se voglio, posso pensare "non c'era nessuno" e navigare oltre, prima che il vortice dei ricordi mi risucchi in fondo all'anima, dove la verità s'è incagliata nei fondali dell'inettitudine, come un relitto di cui soltanto io so l'esistenza. Proprio come il relitto che stavo cercando in quel tempo lontano, quando Herr Pabst mi aveva promesso la metà dell'equivalente di cinque milioni di euro, se gli ripescavo un baule affondato insieme a tutto il resto nel 1865. Nè lui nè io avevamo bisogno di soldi ed esisteva la diffida dei discendenti del proprietario di quella sfortunata goletta a depredare ciò che ne restava, se per caso mai ci fosse stato un ritrovamento. Ma Herr Pabst se la rideva di simili quisquilie e strapagandomi di volta in volta m'aveva reso cinico quanto lui, come un ragazzo che cresce viziato crede che tutto si possa comperare. E infatti comperavo tutto. Vivevo nel lusso e mi toglievo ogni sfizio che mi saltava in testa, comprese le donne. Le volevo bellissime, elegantissime e disponibilissime. Le usavo finchè mi garbava, e mi garbava sempre meno, perchè era giunta una compagnia imprevista e non gradita : la noia. Tutto e tutti mi stancavano con estrema facilità e la mia ricerca di novità era diventata spasmodica, perciò, anche se di quel baule m'importava quanto un fico secco, m'ero impuntato di ritrovarlo e strapparlo all'Oceano, a qualunque costo. Brancolavo nel buio, ma qualcuno mi parlò di un vecchio pescatore che ricordava dei racconti del padre a proposito di un relitto, che i vecchi del posto chiamavano "La damita". Presi a girovagare nelle viuzze del porto e anche quella sera ero guardingo, pronto a cogliere la minima voce che potesse portarmi dritto al baule. Poi si alzò il vento. Ed io entrai. E vidi che c'era qualcuno, o almeno, qualcosa ammucchiato sulla tavola nell'angolo laggiù, appena rischiarato dall'alone di una candela poggiata in una tazza. Mi voltai per uscire, perchè il sesto senso ci dice come dobbiamo agire, quando percepisce un pericolo che la ragione decifrerà più tardi. Ma allora una voce mormorò :"Bueno..." e l'aver captato quel mormorio e accettare la curiosità di scoprire a chi apparteneva, fu il destino che io scelsi. Dal mucchio informe emerse una testa, e una mano carezzò una barba rasposa e, mentre mi avvicinavo attratto dalle orbite buie, il guizzo di una fiammella vi brillò in fondo, confermandomi la sensazione avuta sulla porta, quel desiderio di fuga ; concedendomi ancora una possibilità, l'ultima, di respingere l'assurdo. Mi sedetti. Raul era un gran bevitore e un conversatore eccellente, come il suo Porto. Non ne avevo mai assaggiato uno pari. Mi parlò di un relitto inesplorato, situato a grande profondità in una zona percorsa da correnti impetuose, e per questo poco battuta da quelli come me. Si offrì d'accompagnarmi sul posto e in cambio pretese un giuramento : sarei tornato ogni sera da lui, a raccontargli cos'avevo visto. Risi, confortato da quel vino eccezionale che purtroppo era già finito, ma giurai, le mie palme contro le sue, che avevano la consistenza della pergamena, su cui la mia pelle sembrava aderire e addirittura incidervi le linee ed i minimi segni che mi portavo da una vita. Quindi abbassò la testa e vi raccolse intorno le braccia, ed io dubitai che sotto quella sagoma immobile ci fosse l'anima di un uomo. Ma ormai era davvero troppo tardi. Telefonai a Herr Pabst e il giorno dopo ero rifornito di tutto ciò che mi serviva, uomini compresi. Quella sera tornai da Raul e gli misi davanti un bel gruzzolo. Lui terminò di stappare la bottiglia, riempì i bicchieri e disse :"Quel che voglio, tu l'hai giurato." e non parlò più, finchè non finimmo quel vino meraviglioso. Allora disse :"Bueno, domattina alle sette." Ripresi il denaro e mi alzai per andarmene, ma sulla porta mi girai. Raul era là, lo sapevo, o almeno, vedevo la sua forma scura. Ma, oltre al pulsare di quella piccola fiamma, cos'altro viveva là nell'angolo? Fui tentato di tornare indietro e scuoterlo e obbligarlo ad alzarsi e toccarlo, ma un timore strano mi trattenne, ed uscii. Stavo per rimandarla, quella spedizione, perchè c'era una foschia così insidiosa da non piacermi, ma mentre tentennavo con le mani in tasca, poco distante sull'acqua si materializzò una barca. "Bueno..."disse una voce da quel punto. Seguimmo Raul come gli spiriti dannati seguono la loro guida verso un viaggio ineluttabile :in silenzio, preceduti da lui quel poco che bastava a non perderlo di vista, e quel tanto che ci voleva a non vederlo mai in modo distinto ; e, quando si fermò, si levò un vento che in pochi minuti ripulì l'aria e spazzò via la sua barchetta. La scorgemmo lontana, e del vento rimasero sbuffi freschi a scompigliarci i capelli e increspare con delicatezza un'acqua talmente limpida da mostrare pattuglie di pesci colorati e un fondale invitante. Fummo invasi da un allegro entusiasmo e cominciammo l'immersione. Nuotavamo piano, ammaliati dalla vegetazione di alghe giganti, insospettabile dalla superficie. Pinneggiando scrutavo intorno, quando apparve : era una splendida poppa da veliero. Esplorai ogni struttura e, verso la prua, le stive del carico. C'erano casse di legno sfatte e massicce bottiglie dipinte di nero. Ne presi una ancora tappata, per un brindisi con Raul. Raccolsi un coccio di piatto, passai tra i sostegni allungati del ponte ormai privo di tavole e mi ritrovai immerso nell'oscurità dell'antico scafo. E fu allora che la vidi. Capii subito che era un'allucinazione : le signore non s'attardano in fondo al mare in abito lungo. Decisi di risalire e con nessuno parlai dell'accaduto. Era evidente che non ero in forma. Andai all'appuntamento con Raul portando la bottiglia ed esprimendo la mia gratitudine per il ritrovamento del relitto. "Quella te la berrai da solo."disse, prendendo una delle sue bottiglie. Vuotammo in silenzio diversi bicchieri di quel nettare, poi sussurrò :"Bueno, hai giurato..." Sentii un brivido percorrermi da capo a piedi. Non stavo bene, perchè anche il vino stranamente m'intontiva, e si diffuse in me un malessere inspiegabile. In fretta gli raccontai tutto e, scusandomi per la stanchezza, lo salutai.
"Bueno..."disse"Il piatto."
"E' solo un coccio."risposi con uno sbadiglio.
"Domani portalo."disse pacato, ma perentorio.
I miei uomini avevano localizzato il baule che c'interessava ed erano pronti a issarlo. Doveva essere pieno di sterline d'oro e la mia metà l'avevo promessa a loro, tanto poco m'importava ormai di ciò che trovavo. Consideravo i relitti un ammasso di ciarpame da depredare di quel che serviva ad aumentare la mia ricchezza, ma ora anche quel gioco m'aveva stufato, e per la prima volta in vita mia pensai di smettere, tanto più che mai avevo avuto problemi sott'acqua, fino ad allora. Dunque c'immergemmo, ma mi resi conto immediatamente che qualcosa non andava. Gli altri si muovevano tranquilli, e io ero preso da una frenesia, che mi costringeva a pinneggiare a scatti intorno al relitto. E all'improvviso, quando intravidi il lembo di un abito fluttuare, compresi che la mia agitazione non era altro che il desiderio di rivederla. Il cervello mi urlava di risalire, perchè era assurdo desiderare un'allucinazione, e io andavo verso quel lembo come un uomo qualunque, invaghito d'una gonna svolazzante. Quel giorno conobbi il suo sorriso timido e dolce e le restai accanto, ad ammirare gli occhi chiari e i capelli raccolti da un nastro di velluto nero, finchè uno degli uomini attrasse la mia attenzione con gesti furibondi. Erano sicuri : era il baule che cercavamo. Diedi ordine di risalire e inventai una scusa per non ripescarlo. Tornavo da Raul, certo non per il giuramento. Ne avevo infranti talmente tanti, da non badarci più. Tornavo per il bisogno di parlare di lei, e Raul stava ad ascoltarmi con attenzione, proteso verso di me in un'espressione d'interesse ansioso, misto ad un'aspettativa misteriosa. E ogni mattino mi tuffavo con le scuse più ridicole per essere solo, finchè venne il giorno che temevo. Al rientro da un'immersione mi trovai di fronte Herr Pabst, sorridente e affabile, ma deciso."Domani si recupera."disse. Ed io, che quel giorno m'ero tolto la maschera e avevo baciato lei e, esaltato e conscio dell'irreale, ero terrorizzato dalla felicità che provavo, di botto decisi di troncare quel sogno che non sapevo dove mi avrebbe portato, e dissi :"Bene."
Quella sera ero bevuto come non mai, perchè avevamo bevuto come non mai, e blateravo di quanto non m'importasse niente di tirar su quel baule e di quanto volessi solo vedere lei per sempre e che tutto l'oro del mondo non mi sarebbe servito a pagarmi un sogno e sapevo d'aver perso la testa e ne ero felice. Anche Raul era più loquace del solito e parlava di altri relitti di cui solamente lui era a conoscenza e che solo a me avrebbe indicato. E intanto rigirava tra le mani il coccio di piatto e ad un tratto disse :"Bueno, la mia vista non è più quella di una volta. Vuoi leggere tu, sì?" Avvicinai il coccio alla candela e lessi :"Gladys..." Lui emise un suono roco e abbassò la testa. Il vento prese a ululare là fuori e la fiammella tremolò e all'improvviso ricordai un'antica leggenda. Si narra che, dopo un naufragio, il demonio raccolga tutte le anime che gli riesce, come un pescatore. Se qualcuna gli sfugge, rifugiandosi tra i resti del relitto, per averla lui deve farne pronunciare il nome da qualcuno. Scattai in piedi e il mondo mi girò intorno. Non so come fui sulla viuzza fino al mare in tempesta, di nuovo lucido. Con affanno tornai indietro e, imboccando il vicolo, ebbi l'impressione che fosse più stretto e più buio e inciampai in gradini che non avevo mai notato. Ero convinto di avere sbagliato percorso, quando riconobbi la porta. Non riuscivo ad aprirla, perciò spingevo con forza e intanto imprecavo, ma alle mie spalle una voce disse :"Puoi romperla, se vuoi, ma è inutile. Là dentro ci trovi solo topi. Sono vent'anni che è chiusa."e, prima che potessi dire o chiedere qualcosa, non restò altro che l'ululato doloroso del vento. Finalmente cedette sotto i miei colpi e il mio sguardo incontrò l'oscurità. Avanzai con l'aiuto dell'accendino e ovunque illuminavo polvere e ragnatele. Nell'angolo che ben conoscevo c'era una tavola, ma stentai a credere che poco prima potessi essere là seduto, dove non c'era traccia nè di bottiglia nè di bicchieri e in una vecchia lercia tazza sbreccata non c'era nemmeno l'ombra di una candela, tranne una goccia di cera solidificata sul bordo. Continuavo a far scattare l'accendino, quando per terra luccicò un oggetto che riconobbi : era la bottiglia che veniva dal mare. La stappai con rabbia, sgretolando il tappo con il coltellino serramanico, ma dalla profonda antica bocca di vetro si liberò un tale fetore, da cacciare in me il benchè minimo desiderio d'assaggiarne il contenuto. E alla fine rinsavii. Lì non sarebbe mai più tornato nessuno. Avevo rispettato un giuramento fino in fondo, ed ora, lentamente, sarei sceso in fondo alla disperazione. Chiusi l'accendino e mi avviai alla porta, andando incontro al poco chiarore che ne proveniva, come ad una salvezza. Mi bloccai e stetti immobile per un lungo momento. Poi, adagio, mi avvicinai a quel legno marcito e con raccapriccio presi tra le mani ciò che ne penzolava, dondolando indifeso agli assalti del vento. Il mio cuore sapeva cos'era, naturalmente. Fu allora, stringendomi al petto quel nastro di velluto nero, che caddi in ginocchio e piansi.
©
Manlio Dani
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