Passi, parole, cellulari, porte aperte dei negozi: una città che segue il suo tempo. Sacchetti della spesa, ragazzi che usano una fontana per annegare un marciapiede.
Qualcuno litiga dietro ad un angolo qualunque di questo affastellarsi di case. Qualcuno litiga sempre a torto o a ragione, alza la voce, sputa in piazza la propria vita come se non ne valesse la pena di avere intimità. A fogli sparsi, così, sul marciapiede.
Marta tace, un po' ascolta, un po' si ritrae in bilico su una discussione non sua.
Un fuori tempo. Si specchia in una vetrina a guardare la sagoma di sé. Il vetro rimanda l'immagine di un corpo esile, ma energico, non più giovane, ragazza mai sbocciata.
Donna dimenticata.
Marta non sa più dove andare, ma cerca di rimanere dentro al paesaggio, almeno come comparsa. Le comparse solitamente tacciono, ma lei di storie ne avrebbe da raccontare. Storie belle, che nessuno legge, ma belle a prescindere dal giudizio altrui, belle nel gesto di essere un modo per non gesticolare a caso, vivere a caso.
Marta ha una bella storia senza lieto fine.
La storia di una donna che esce ogni giorno di casa con la propria biografia sotto braccio, dentro ad una busta, foto appiccicata. Biografia che semina ovunque speri di trovare vita da attecchire.
Un lavoro qualsiasi, dignitoso ed onesto, poche ore fa niente... Una manciata piccola di dignitoso denaro la separa dalla speranza di continuare ad essere una donna viva ed indipendente.
Dopo ogni "no", "forse magari a Natale", Marta ritorna a casa con il suo vestito estivo appiccicato di sudore e continua a stampare biografie.
Non se ne rende conto, ma ogni giorno che passa le si sbiadiscono i contorni, come se una fantomatica gomma le cancellasse un poco l'anima, che non si accorge di ferire così tanto ad ogni tentativo vano.
Si interroga spesso, su se stessa e su ciò che in lei può non essere così accogliente da non essere mai accolta, né raccolta da nessuno. Dimenticata appunto, in fondo ad un cassetto o nel cestino della carta straccia.
Si aggiusta, aggiusta la foto, impara parole da dire, ma stranamente anche laddove sembra esserci spazio, qualcuno sicuramente migliore, si dice Marta, lo occupa al posto suo.
Sbiadisce la speranza, ma va avanti, avanti ancora: ci dovrà pur essere vita, ci deve essere e giù a sorridere con le lacrime tra i denti.
Una notte di agosto cade, come una stella e si spezza. Sente l'anima sgusciarle fuori e sussultare, bussare alle orecchie, pulsare nei polpastrelli. Il respiro le manca.
Attacchi di panico: la medicina lo sa, adesso lo sa anche Marta. La conoscenza di quello che da ora in poi sarà il suo acerrimo nemico l'aiuta a non perdere l'orlo delle cose. Una sorta di non tracimazione nella disperazione assoluta.
In fondo al corridoio, seduto sul divano, il suo nemico, però, la troverà sempre.
Per alcuni giorni Marta smette di darsi da fare, come dice lei, momentaneamente mette in stand-by i suoi motori sempre accesi, sempre pronti e affoga nel suo respiro.
Scossa, non capisce bene come faccia ad essere così esausta, neanche lavora e così spaventata. Ma si aggrappa forte alla sua sveglia puntata su un'ipotesi e ai vestiti oramai quasi autunnali da mettere. Si aggrappa ancora una volta alla speranza di uscire da quella casa, a costo di stramazzare al suolo, ma fuori, che lo odia quel corridoio.
Da quella notte Marta esce con un fascicolo di biografie e una foto che non le assomiglia più.
Esce con un buco nero dentro al petto a fare le stesse cose, ma non è più la stessa. I gesti consueti faticano ad essere sereni e la costante impossibilità di coniugare i verbi al futuro la riempie di rabbia.
Quanta vita ci sarebbe... a poterla vivere.
Arriva il Natale e passa come un vento gelido che si abbatte sulla cristalleria.
Marta non guarda più il telegiornale o abbassa il sonoro, qua e là di tanto in tanto parlano di disoccupazione. La categoria degli zombie, senza presente e per l'eventuale domani: mettersi in fila!
Cosa c'è dentro quella categoria? Quanti cuori in bilico? Quante notti di panico?
Senza dignità, senza possibilità di raccontarsi.
Giocoforza a sfumare nel non soggetto.
La dissolvenza è un lento e progressivo procedere a passi inconsapevoli verso il nulla del sé.
Per questo il lavoro era un diritto... quella storia della dignità, appunto!
Forse con l'anno nuovo pensa Marta, conservando ancora il suo spirito gioioso, verrà promulgata una legge in base alla quale alcuni lavoratori di buon cuore lasceranno per un anno la loro occupazione, scambiandola con un disoccupato, giusto per dargli un poco di respiro. Uno scambio di categoria, anche pagando, s'intende, una cifra simbolica.
E la ruota gira, si chiude una porta e si apre un portone, basta avere l'idea giusta e puoi farcela. A volte i luoghi comuni non ce la fanno, neppure loro.
Marta chiude la luce sull'ennesima giornata girata a vuoto e mette il finale a questa storia.
Perché anche quello ad un finale è un diritto.
E domani?
Domani Marta punterà la sveglia come sempre e come sempre correrà per riempirsi i polmoni d'aria, che non ce n'è mai abbastanza. Poi si specchierà dentro alle vetrine di un negozio che non l'ha assunta e si aggiusterà i capelli in un gesto automatico. Farà la spesa e proverà un paio di jeans in saldo, senza acquistarli. Poi tornerà a casa e percorrerà quel lungo corridoio che la spaventa sempre un po'.
Si inventerà ancora qualche storia breve, da leggere d'un fiato, che si dimentichi in fretta, aria fresca, giusto per non sbirciare nel corridoio.
Poi, piano piano, ma solo un poco alla volta, un giorno alla volta accetterà, suo malgrado, di scomparire.