Sfuggire all’orrore attraverso altri orrori.
Sfuggire alla morte attraverso una successione di piccole morti.
Destini tragici di coloro che non hanno altra speranza se non una morte in sospeso di fronte ad una morte sicura .
Senza nome, solo un viso e un corpo che lottano contro tutto e tutti. Identità per sempre negate dal denaro pagato per inseguire un miraggio di sopravvivenza.
Uomini, donne, bambini dall’esistenza radiata da ogni possibile; uomini, donne, bambini dalla pelle nera o bronzea, dallo sguardo vuoto e ugualmente assente.
Dove risiede la speranza allorché tutto si disgrega?
C’è notte dappertutto, sopra nel cielo di cui non si guardano più né stelle né sole; sotto, dove la violenza delle acque scuote le viscere e l’anima; intorno quando l’orizzonte si chiude su un’immagine di se-stessi moltiplicata all’infinito dal dolore e la disperazione.
Esiste solo quelle che si pensava non dover mai vivere.
Amedh, Leïla, Khaled, chi altro ancora…nella lunga marcia?
Uniti dallo sradicamento. Bisogna pure strapparsi da un luogo- villaggio, tribù, famiglia- rinnegarne lingua e cultura, bisogna pure. Estirpare da sé ciò che poteva essere gioia e amore visto che tutto si era trasformato in odio, violenza e maledizione.
Uniti nell’assillo: cercare/trovare il denaro, cercare /trovare la filiera, cercare/trovare la forza al di là di ogni possibile limite.
Uniti nella paura. Paura, unico sentimento che si è ancora in grado di provare; il motore ultimo, prima e durante, in quanto al dopo- si spera in una paura più dolce-, la sua completa scomparsa risulterebbe un miracolo. Paura nella fame, la sete, nel rollio incessante delle onde, negli schiaffi del vento; paura nella violenza delle mani, delle bocche e dei sessi. La paura, nella sua più crudele estensione.
Partenza
Non guardare dietro di sé, soprattutto non attaccarsi ad una forma, una voce, un profumo, non portare con sé nemmeno un granello di sabbia di ciò che si abbandona, e meno che mai dei ricordi. E’ il prezzo da pagare per rendere possibile la partenza e anestetizzare quel momento di insostenibile dolore. Una volta lontani, molto lontani, forse il dolore potrà riemerge, se ancora esiste la forza di provarlo.
La lunga marcia
Non pensare al sole plumbeo che strazia gli occhi, che intorpidisce gli arti, fa sanguinare i piedi; non pensare alle labbra screpolate, ad una pelle soffocata da sudore e sabbia; non pensare che all’orizzonte non possa esistere una fonte d’acqua e una qualche sembianza di cibo; non pensare agli sguardi lascivi, arroganti, in tutti i modi minacciosi. Non pensare affatto in questa lunga marcia forzata.
Il mare
E’ da un singolare odore che si percepisce il mare, prima ancora di vederne la riva. Un profumo umido dopo la sterilità secca dei deserti di sabbia o roccia. Il mare- per tanti- mai visto. Il mare e quello che c’è oltre. L’oltre, per alcuni, ormai non più raggiungibile.
Barca, la barca. Solo un qualcosa di ancora galleggiante, puzzolente, dondolante in precario equilibrio come se volesse già affondare. Barca che non ha niente di un buon presagio.
La traversata
E la marcia continua, marcia galleggiante che non offre più la presa di un terreno solido, marcia galleggiante di cui non si può avere il controllo. Sensazione di estrema instabilità esistenziale: cosa si diventa di fronte all’orizzonte ? Nel corso della navigazione, paradossalmente, si intensifica l’angoscia: non vi è qui via di fuga, la liquidità e il pericolo costante tolgono forza e coraggio - il terrore regna, da despote, nel silenzio delle voci, nell’immobilità statuaria dei corpi. Il silenzio delle voci, poche volte infranto solo da sommessi singhiozzi isolati o da grida brevi di disperazione. La barca della morte in sopeso, un huis-closa metà tra la vita e la morte, tra forza e sfinimento, un huis-clos oscuro, maleodorante – insopportabile ma per forza di cose sopportato. La violenza che, fino all’ultimo, non risparmia coloro che volevano sfuggirvi. Lo sgomento acuisce i sensi dei traghettatori infernali mentre si accaniscono su esseri che sembrano non avere più niente da perdere, esseri che hanno già- da tempo- dimenticato se-stessi. Cos’altro potranno togliere loro?
Quando ancora, in un ultimo slancio di dignità ritrovata, nella tregua momentanea concessa dal mare o dagli uomini, si riesce a sollevare il volto, si guarda davanti a sé. Davanti a sé, una linea scura sottile, fragile, si guarda come naufraghi di un terribile viaggio. –Terra-.