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Lissa e le furie dell'agosto '68
di Francesco Canino
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– Hey Bill, hai sentito dei carri armati sovietici a Praga?

– Sì Allen… e il comandante venuto da Waghdas si è insediato a Tamaghis.

– Cosa?

– Ne ho già parlato con Brion. Presto ne parlerò anche con te.

Il lago Michigan è piatto, eppure, piccole onde scivolano sulla sua superficie. Il lago Michigan è muto all’interno del suo film in bianco e nero. Il lago Michigan è blu, è verde, è rosso, è arancione. Il lago Michigan canta. E chi non sente, bisogna che ascolti.

Giovani dormono in celle, parchi e dormitori. Tra fratelli e sorelle, bagni e servizi igienici sono in comune. Vanno di moda domande su sesso e morte.

Giovani dormono ignari, mentre Lissa è già attiva e sta camminando lentamente verso le gabbie che ospitano le furie. Tra un po’ inizierà la stagione venatoria e i fiori recisi appassiranno prima ancora di essere indossati.         

Non lontano, una radio spara cicale e tamburi voodoo, e scandisce Not to Touch the Earth… «…dead president's corpse in the driver's car, the engine runs on glue and tar, come on along, not goin' very far, to the East to meet the Czar…»! E tutto corre e scorre.

Quando Lissa dà il via alla caccia, il sangue è in subbuglio… quello versato, quello dei pensieri, quello dei muscoli affannati nella corsa dei tempi che si riversano nelle fauci divine. Inevitabili aneddoti del futuro fluttuano su articoli non ancora scritti. Video sbiaditi scorrono dentro occhi di video-amatori. Il XX secolo ha afferrato il bianco e nero e ci sbattuto dentro la pornografia del rosso. Ecco che finalmente il sangue si mostra in tutta la sua gloria!

Allen sa come restare calmo. Bill sa come apparire impassibile. Jean sa tante di quelle cose da sembrare stupido. Jack è altrove, e ubriaco – seduto assieme a una copia della sua Vanità – sta pensando ad Allen e a Bill… e alla storia della vita perduta. Neal non c’è più. Se n’è andato lo scorso febbraio, nel freddo del mondo battuto dal vento.

Il lago Michigan galleggia a testa in giù sotto onde di fiori recisi.

I giovani dormono sogni nervosi.

Lissa impugna i guinzagli.

A Tamaghis, il potere è passato definitivamente ai maschi.

- Allen, hai già spiegato a Jean che è meglio evitare di offendere le forze del disordine?

– Bill… Jean conosce già Moloch… vi ha abitato… ci ha parlato… Jean ha trovato la sua anima all’interno del carcere senz’anima.

Chicago si popola intanto di studenti per una società democratica, di attivisti Yippie, di Pantere Nere, di bikers… di curiosi, di infiltrati, di ipocriti, di sirene, di accalappiacani. E accorrono tanti altri: pacifisti, omosessuali, marinai fedeli al capitano Mission, da un lato… impiccatori, polizia eroinomane e spacciatrice dall’altro. Tutti attendono il latte delle mucche. Molti riceveranno il sangue. Pochi mungeranno una generazione, infettandone capezzoli e orifizi.

Il Lincoln Park diventa il quartier generale dei buoni, ma Lissa è già in movimento e alla fine ha deciso di non utilizzare i guinzagli. Le furie cominciano a serpeggiare attraverso i bagliori colorati e i canti di pace.

Si fa sera e Allen comincia a salmodiare. Non lontano, le Pantere Nere rivendicano il diritto a difendersi fisicamente dalla brutalità stellata. I gas lacrimogeni inebriano Lissa che riesce a sgomberare il Lincoln Park. Uomini, furie e impiccatori si spostano verso il Grant Park, di fronte all’Hilton.

Il lago Michigan risplende di bagliori multicolori persino nella notte.

I giovani non dormono più.

Lissa carezza e ammira le sue cosce in un attimo di vanità.

A Tamaghis, in giro per i bazaar, si fissano i prezzi sulle droghe colorate e gli afrodisiaci.

– Bill… nell’agosto che muore, ecco la nostra speranza che nasce.

– Allen… caro Allen…

Gli impiccatori danno il meglio di se stessi durante la strozzatura delle marce contro la guerra. Il coito arriva nel momento del soffocamento. Bisogna colpire duro nell’attimo dell’abbandono, dell’estasi, del formicolio caldo che pervade il corpo dell’impiccato.

Anche Jean ha versato il suo sangue sul suolo degli Stati Uniti. Allen gli sussurra frasi che nessun altro è riuscito a sentire. Bill indossa ancora quella faccia marmorea che ha preso in prestito tanti anni fa dalla galleria dell’esperienza. I flash si sprecano. Il parlottio sommerge i sussurri. Gli slogan violenti soffocano le salmodie. Jean esplode parolacce in francese. Un giorno lontano, quando saranno tutti morti, ci sarà un giornalista che venderà la foto di Jean sanguinante. L’audio della scena sarà perduto per sempre.

In Vietnam, intanto, i complottisti fanno di tutto per riempire di Jeep il paese.

Duluoz siede in Florida e tira le somme della saga che sta per diventare leggenda… o che forse lo è già.

Allen, Bill e Jean marciano alla testa di un serpentone innocuo. Lissa tocca il proprio ventre non ancora pago delle eiaculazioni di Moloch e degli impiccati. Questi ultimi crollano esausti con la mente drogata, l’ideale affievolito e i genitali ancora umidi e appiccicaticci di sperma. Moloch è invece, sempre più, la vasta pietra della guerra, i dieci eserciti, i governi stupefatti… e il suo sangue è denaro che scorre nella vagina di tutte le furie.

Il lago Michigan soffia frasi soffocate verso il cielo.

I giovani marciano dietro i tanti vessilli delle sigle e degli intenti.

Lissa sbava alla vista del sangue, e con lo stesso indice con il quale ha raccolto la goccia di saliva dalle sue labbra, sfiora il suo sesso prima di urlare dentro i viaggi psichedelici.

 A Tamaghis si aggirano eroi della febbre e si organizza il raduno dell’American Legion.

 No, no, no… Bill! No, Jean! Noi siamo gli angeli-umani! Noi sconfiggeremo la violenza con un semplice AUM!

Marciano e marciano ancora… il piccolo Jean, il vecchio Bill e il santo Allen. Marciano e cantano e rimuginano e poi tacciono… e poi cantano ancora, e intanto disegnano se stessi: caricature, epoche, generazioni, società. Tutto il marcio. Tutto il bello. Tutta la vita. Tutta la morte. Tutta la rinascita.

Tace il jazzista della prosa, sprofondato nella poltrona preferita della consapevolezza satura… che stanca… che appaga… che in realtà, mai soddisfa sul serio… ma che guarda la fine dell’estate come una benedizione, in attesa dell’autunno e del grave trombone di ottobre.

Lissa è una puttana ninfomane e il suo biglietto da visita è nel portafogli di ogni uomo di potere senza scrupoli, che a sua volta è un satiro che si concede gratis – attivamente e passivamente – e che si macchia del reato di riduzione in schiavitù nei confronti dell’anima… dell’animo: orge tristi e poligamia della negatività.   

Ira. Furia. Caos. Dense e fosforescenti vie lattee di echi di muschio e tende arancio e macchine decappottate sfavillano in scorta a furgoncini T2 dagli specchietti colmi di strada lasciata indietro, frullati da Governi facsimile-fascio con eroina già candidata a soluzione sociale. Ira. Furia. Caos. C’è anche la Chiesa… facsimile-chiesa, eroina di governi senza agorà. Ira. Furia. Caos. Fiori recisi di campagne sospinte lontano riempiono sacchi del cambio di stagione. Teste spelacchiate dormono su cuscini imbottiti con i capelli di un’epoca. Ira. Furia. Caos. La collezione comincia. Si aprono le ante di legno cieco delle cantine destinate a ragnatele di polvere. Ragni. Ragni fortunati danzano al vento sui tappeti elastici del loro vomito proteso dalle labbra alla strada: lingue d’asfalto solcate da strisce gialle e ombre in timelapse sopra conati in rallenty. Ira. Furia. Caos.

Sul lago Michigan cala la notte rossa.

Dei giovani dal cappio di seta, 666 vengono arrestati (668 in origine ma due risultano già dispersi).

Lissa ha orgasmi multipli, isterici, fuori controllo.

Dopo Tamaghis, la prossima fermata sarà Ba’dan.

– Caro Bill, il peso del mondo è amore.

– Siamo psicotici, caro Allen, e abbiamo scoperto come vanno le cose.

L’agosto del ’68 sbiadisce dentro processi sommari e illusioni di continuità. Parte dell’occidente ammira e tenta di emulare tutto lo spettro di colori scaturito dallo scontro tra il bene e Moloch… dalla scopata di Lissa con i sessi immortalati nell’erezione strangolata dall’illusione di un dolce amore ipocrita. L’ira si è forgiata alla scuola dei millenni e si è trasformata in una rabbia scaltra e paziente, che untuosa s’insinua tra l’attrito dei corpi, offuscandone le menti per mezzo del sussurro che stordisce e ipnotizza.   

Il lago Michigan è piatto, eppure, piccole onde scivolano sulla sua superficie. Il lago Michigan è muto all’interno del suo film in bianco e nero. Il lago Michigan è blu, è verde, è rosso, è arancione. Il lago Michigan canta. E chi non sente, bisogna che ascolti.

Anche Whitman canta: “For you these from me, O Democracy, to serve you ma femme!

For you, for you I am trilling these songs”. Le sue parole attraversano tutto il XX secolo.

E chi non sente, bisogna che ascolti.

Anche Lissa canta, e il suo è un canto di trionfo.

E chi non sente, bisogna che ascolti.

Allen, Bill e Jean cantano ancora. E cantano anche Jack, Jim e Neal.

E chi non sente, bisogna che ascolti il suo cuore e che ritrovi la propria anima.

Il XXI secolo ingoia il ‘900 esplodendo nel terribile fragore di un mondo popolato da sordi.

© Francesco Canino





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