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Angolo
di Salvo Ferlazzo
Pubblicato su PB12


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L'uomo sollevò la testa, guardò davanti a sé. Sulla parete di fronte quell'orologio, enorme, impietoso, riempiva un vuoto che ognuno dei presenti giustificava come meglio credeva.

Ma tutti, e tutto, rimanevano appesi al lento movimento delle due sfere nere, puntute. Il pungolo del tempo si attaccava ai fianchi di ogni uomo, e si apriva la caccia ad un momento che si voleva dilatare indefinitamente, e che immancabilmente finiva. La collisione era inevitabile: le vittime non si sarebbero contate.

L'uomo sospirò: era stata una giornata faticosa. Aveva visto troppa gente, e la stanchezza si era fatta pesante.

"Accidenti a loro!" pensò, " non ho avuto un attimo di tranquillità!"

Bevve l'ultimo sorso di quella mistura che il barista gli aveva servito, guardò l'orologio, sospirò ancora una volta, e finalmente si alzò.

Barcollava un po'. "Non sarò per caso ubriaco?". No, non era ubriaco. La stanchezza, il locale caldo, pieno di fumo, il timido brusio dei pochi presenti, e quella miscela, gli avevano come sfilacciato le fibre dei muscoli.

Quasi a fatica raggiunse la cassa, pagò e uscì fuori nell'aria che non odorava di fumo caldo, di imbevibili misture.

La strada era deserta, silenziosa, traslucida per la forte umidità. Girò la testa da un lato e vide una lunga fila di lampioni che febbrilmente si adoperavano per illuminare una strada che fino a qualche ora prima brulicava di gente, di suoni, di rumori, di vita. Adesso giaceva perfettamente immobile, squadrata nei suoi angoli quasi bui, totalmente posseduta da quella antica divisione: veglia, sonno.

Un rumore improvvisò attaccò quel silenzio; l'uomo girò la testa verso quella direzione.

Una luce strabica si rovesciò, muta, sopra una lunga fila di saracinesche abbassate, scomponendola in luci e ombre rapide, vagabonde.

Una macchina si allontanò trascinandosi dietro il silenzio. L'uomo alzò il bavero del suo impermeabile, tirò fuori un pacchetto di sigarette, ne accese una, aspirandone con voluttà quel fumo opaco, e si incamminò.

Non era mai stato un fumatore accanito; diceva che il fumo faceva male, e che chi fumava aveva maggiori possibilità di andare incontro a brutte malattie. E lui alla sua salute ci teneva, e tanto.

Si era alzato, nel frattempo, un po' di vento. Pensò" finalmente! Si porterà via tutta questa…." Non finì il suo pensiero, perché uno strano rumore lo immobilizzò, facendogli drizzare le orecchie.

Si guardò attorno. Poche le finestre illuminate dalla sua parte, mentre da quella opposta, tutto era rimasto come prima: buio, nero come la pece.

"Proprio una bella serata!", disse fra sé.

Era arrivato in quella città, di buon mattino, con l'auto della ditta. Il suo direttore lo aveva incaricato di verificare la possibilità di collocare sul mercato locale climatizzatori di ultima generazione. La sede centrale aveva proceduto ad una indagine preliminare di mercato, ed aveva dato mandato alla filiale dove lui lavorava, di saggiare il terreno perché venissero fornite così indicazioni precise circa il quantitativo di apparecchi da inviare.

Era un territorio nuovo, non ancora battuto, lontano dalla tecnologia avanzata che invece la faceva da padrona nella città dove lui abitava, con la famiglia.

"Hi-tech! hi-tech!", questo termine gli rimbombava in testa come una cantilena sorda, implacabile, forse poco convincente, ma implacabile.

Sentì, una seconda volta, quel rumore: non capiva bene da dove provenisse. Il silenzio amplifica ogni rumore, specie di notte. Quella strada, il suo silenzio, sembrava essere un'enorme gola profonda, percorsa da echi disperati.

D'improvviso la porta del bar dal quel era uscito poco prima, si spalancò lasciando rotolare fuori un gruppo di persone vocianti, che si diresse verso di lui. Le loro risate, le loro voci diradarono per un attimo il silenzio, e la strada sembrò animarsi. Ma durò solo un attimo.

L'uomo fu attraversato da quella compagnia; per un momento gli sguardi si incrociarono. Forse qualcuno salutò, e l'uomo ricambiò il saluto.

Ritornò il disagio. Quel rumore: cos'era stato? L'inquietudine cominciava a farsi strada, illuminando persino i pensieri più nascosti.

Era uno sconosciuto.

Lontano l'orologio battè fragorosamente le 10,00. "Accidenti, pensò, devo far presto. Il garage è ancora lontano, e prima della chiusura devo ritirare la macchina".

I tetti delle case saltellavano a ridosso di quella nera linea di un orizzonte lucido: l'uomo fermo nel cerchio della luce, rifletteva.

Un brivido lo raggelò dalla testa ai piedi.

In quella parte della città, le case erano tutte uguali; gli ricordavano quelle della periferia di Londra dove era stato qualche anno prima. Case sempre abbrumate, ricoperte di un colore scuro, fisso, che non riusciva a muoversi nemmeno sotto il sole più cocente.

Il buio delle strade faceva ancora più nero il colore di quelle costruzioni.

"Un passante", pensò l'uomo, "devo incontrare qualcuno per chiedere la strada più breve per il garage".

Per un momento, un rumore aveva, , travolto quell'assurda tranquillità. Cos'era stato? Chi era stato?

Era soltanto una strana coincidenza che lui si trovasse a passare per quella strada? O invece, uno strano destino cominciava a segnare prodigiosamente la fine di quella giornata?

"Perché sto pensando tutto questo?".

Eppure era un uomo pratico, abituato a ragionare con i numeri, e se la coincidenza fosse stata davvero strana, cosa che la sua intelligenza si rifiutava di accettare, certamente sarebbe stata un'enorme fatica dare una minima credibilità a qualcosa di soprannaturale.

Il destino, allora. Ciò voleva dire che una legge immutabile, imperscrutabile, regolava la sua vita, le sue azioni. Questo soprannaturale non gli bastava. Avvertiva il suo pensiero come indebolito. Lui non era di quelli che si abbandonava facilmente a curiose inclinazioni. Lui calcolava, soppesava il caso. Questa è scienza rigorosamente esatta che contrasta totalmente con questa sorta di speculazione sullo spirito.

Proseguì, seguendo le indicazioni dei cartelli < Garage - mt. 800>.

"Quanti ne avrò fatti di metri nella mia vita? ,pensò. Di certo, avrebbe potuto compiere più volte il giro della terra. Intanto, era giunto all'angolo di una strada. Avrebbe dovuto svoltare sulla sinistra, eseguire le solite indicazioni che lo accompagnavano fedeli, silenziose < Garage - mt. 500>.

"Finalmente!", mormorò.

Quel silenzio piegava persino i pensieri.

Si fermò proprio dietro la luce obliqua di due lampioni. Sentiva un gran caldo. Si allentò il nodo della cravatta, e si sbottonò la camicia. Un fiotto d'aria fresca lo raggiunse, provocandogli un leggero ma piacevole brivido. Si raschiò la gola e sputò per terra.

Questa volta vide chiaramente che dall'altra parte della strada, in una zona scarsamente illuminata, due figure si muovevano nel buio, trasportando un involucro dalla forma di un enorme sigaro, molto pesante dal momento che stentavano a muoversi.

Uno dei due, quello più grasso e più lento nei movimenti, ansimava come un toro ferito.

Erano giunti vicino ad una macchina, quando il grassone fece all'altro un segnale. L'altro, senza tanti complimenti, lasciò cadere l'ingombrante carico, e domandò "Cosa c'è?".

L'uomo grasso, indicò la figura sotto la luce dei lampioni, dall'altro lato della strada.

L'avevano notato. "Accidenti, biascicò fra i denti, cercando di nascondersi allontanandosi dal cono di luce. Ma sembrava proprio che la luce gli corresse dietro, illuminando ogni suo pensiero.

Era la radiografia impietosa di chi stava per ricevere il verdetto.

L'uomo più magro attraversò la strada a grandi passi, e sembrò che il rumore rigasse quel silenzio, come fa la puntina del pick-up su un disco rovinato.

Qualcosa gli brillava nelle mani. "Che sarà mai? Un rasoio? Una pistola", si domandò l'uomo.

" Che può volere da me, non lo conosco neppure".

Quell'angolo era diventato, improvvisamente, troppo piccolo, impraticabile. Non divideva affatto due strade; anzi, ne era la loro naturale confluenza. Nello spesso informe di quell'angolo, si aprivano mille crepe, mentre le finestre sembravano abbassarsi fino alla sua altezza, e cento sguardi sconnessi di sconosciuti insonni certo non perdevano tempo a frugare nella sua angoscia.

Gli sembrava di sentire persino il tanfo del loro respiro.

L'uomo gli era abbastanza vicino.

" Ci siamo", sillabò in un respiro schiacciato nella gola.

Questi, aveva un'enorme cicatrice sul viso, quasi fosse una seconda bocca. Ma era più solitaria, raccolta dentro un orrendo cheloide biancastro.

Mugugnò qualcosa; improvvisamente apparve una sigaretta fra le dita affusolate, nervose.

" Uhm! Dà, dà!", disse accostandola alle labbra.

Nello stesso momento in cui accendeva la sigaretta avvertì preciso, chiaro, invincibile il suo fiato addosso, mentre qualcosa di sottile, bruciante gli attraversava lo stomaco.

" E' finita!". L'urlo si strozzò in gola, gorgogliando beffardamente; qualcosa di oscenamente caldo, vischioso, si attaccava alle dita aperte.

Fu un attimo. E in quell'attimo, divenne lo spettatore della sua vita, che in rapidi fotogrammi gli correva davanti agli occhi.

L'uomo si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore. Si guardò attorno ancora stordito, e con un gesto allontanò il sigaro che si era consumato fra le dita.

Si ricordò, allora, di avere trascorso una serata piuttosto allegra con alcuni colleghi della filiale di quella città. Aveva tirato tardi. Il bicchiere della staffa, aveva chiuso la bisboccia. Salito in camera, dopo una doccia rilassante, aveva acceso il televisore e si era messo a letto. Trasmettevano un giallo di Spillane.

Doveva essersi addormentato, lasciando l'apparecchio acceso, e il sigaro consumarsi.

Si alzò, guardandosi allo specchio, passandosi le mani fra i capelli. Sul pigiama, vicino lo stomaco, spiccava una chiazza marrone, una bruciatura dai contorni frastagliati. Il calore aveva preso anche la pelle, tanto che un piccolo arrossamento si intravedeva dal buco sulla giacca.

Avvicinandosi alla finestra, gettò un'occhiata fuori. La strada era già piena di gente, di macchine. I negozi avevano alzato le loro saracinesche,e dalle vetrine addobbate, la merce era esposta in bella mostra.

"Quanti colori! Che profumo!".

Guardò l'orologio. Erano le dieci. Doveva sbrigarsi; nella sua agenda, c'era un'altra ditta da visitare. Mentre si faceva la barba, guardandosi allo specchio, sorrideva strizzando ogni tanto l'occhio. Una doccia veloce. Indossò una camicia celeste, si annodò la sua regimental, e uscì con il suo completo grigio chiaro.

L'aria intorno era luminosa, profumava di fresco. Guardò dall'altro lato della strada. Una serie di villette a schiera, con il loro fraticello davanti, si snodava in una lunga teoria di colori.

Prese subito la strada che lo avrebbe portato alla macchina, seguendo le indicazioni.

. L'uomo sorrise, mentre svoltava l'angolo.

© Salvo Ferlazzo





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