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Zabriskie Point
regia di Michelangelo Antonioni
Pubblicato su SITO


Anno 1970- ITALIA - USA


Una recensione di Federico Fastelli
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 Zabriskie Point

SOGGETTO e SCENEGGIATURA: M. Antonioni, F. Gardner, S. Shepard, T. Guerra, C. Peploe
FOTOGRAFIA: A. Contini
MONTAGGIO: M. Antonioni, F. Arcalli
SCENOGRAFIA: D. Tavulatis
MUSICA: Pink Floyd, The Kaleidoscope, Jerry Garcia, altre canzoni
CON: M. Frechette (Mark), D. Halprin (Daria), R. Taylor (l’avvocato), P. Fix (proprietario del caffè)
PRODUZIONE: C. Ponti per Metro Goldwyn Mayer



Nel 1970 Michelangelo Antonioni rinnovò il proprio panorama artistico girando un film in America. Si trattò probabilmente, come ci suggerisce Giorgio Tinazzi (Michelangelo Antonioni, Il Castoro) di una verifica della conflittualità di fondo e di altri temi che avevano trovato in Blow-up la loro massima espressione. Il fenomenologismo si accompagnerà adesso ad altre intenzioni. Il film che ne uscì fece perciò pensare ad un ritorno a temi sociologici, allo “scontro frontale con la realtà”. Da questo presupposto si mossero grosse critiche al lavoro del regista. Le accuse giravano fondamentalmente intorno a questo nucleo: Antonioni ha piegato la realtà alle sue intenzioni, ha interpretato l’America da europeo. Ma in realtà non fu così, proprio perché falso ed errato fu il presupposto.
Se il film, infatti, muove dalla situazione concreta dell’America della contestazione risultano alla fine altri i temi in ballo. La precisa collocazione storica serve quindi come contestualizzazione della storia di Mark e Daria. Dalla loro vicenda emergono i temi più congeniali al regista italiano: il caso, il fallimento, le scelte, la morte; tutti ruotano come sempre intorno al concetto di individuo e quello di ambiente.
L’intreccio è ridotto al minimo: Mark, giovane studente ribelle di Los Angeles, accusato di aver ucciso un poliziotto durante una manifestazione, ruba un aereo leggero. Inizia a volare sopra la Valle della Morte. Da lì sta passando Daria, una giovane segretaria che intende andarsene in vacanza a Phoenix. Mark dal suo aereo inizia a giocare con l’auto della ragazza, planandogli vicino. Alla fine scende. I due giungono insieme allo Zabrieskie Point. Qui fanno l’amore, poi ridipingono l’aereo di Mark che riparte per costituirsi alla polizia. Una volta in aeroporto, però, la polizia apre il fuoco e il ragazzo muore sul colpo. Daria apprende la notizia dalla radio. Il film si chiude con la ragazza che immagina l’esplosione della villa del suo capo e di altri oggetti, simbolo delle contraddizioni della società e della vita, esplorate e attraversate dal film.
Quindi è ovvio che Zabrieskie Point non è un film di denuncia nel senso pieno del termine. Lo stesso Antonioni ci informa che il suo lavoro non è sociologico, ma poetico. Al contrario non sposa causa alcuna, ma mostra, di riflesso, le contraddizioni d’entrambe le Americhe, benché non sia questo il proprio compito. I fatti storici sono di tale portata che ignorarli è impossibile e così sentiamo la radio parlare della guerra in Vietnam, vediamo da vicino il razzismo dei venditori di armi, ma anche l’estrema convinzione degli studenti, la loro superficialità. Ma non è in tutto ciò che dobbiamo cercare il nucleo e la novità della pellicola. È nello stile.
L’andamento chiaramente ellittico è ideale per dilatare le sensazioni. L’opera rimane aperta, il dato oggettivo è esasperato fino alla fantasia. E in tutto questo il ruolo dell’ambiente, dello spazio è significante primo. La Valle della Morte, allo Zabrieskie Point, si fa centro di un incontro, di un amore, dopo una fuga. Fuga dalla città, sia di Mark, che si alza in un volo impossibile, oltre qualsiasi costrizione, compresa la standardizazione degli studenti, sia di Daria, che scappa dal grigiore del suo lavoro e del suo capo. Proprio quell’ambiente così desolato rinasce nell’amore dei due ragazzi. Si ripopola di figure che si amano, di un amore naturale, carnale. Ma all’amore segue la separazione e il ritorno alla città. Ed è ancora l’ambiente ad essere determinante. Mark muore. Daria, nella totale disperazione, fantastica. Le ripetute esplosioni del finale rimangono una pietra miliare del cinema di ogni tempo.


Una recensione di Federico Fastelli



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