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Cosmo Blues Hotel
di Stefano Lorefice
Pubblicato su PBSR2006
Una recensione
di
Erika Pucci
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Votanti:
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79.06 %
Cosmo Blues Hotel ( S. Lorefice, ed. Clandestine 2004)
"Diventa una voce puttana, una voce che se non stai attento ti scopa" (pg.68).
Ed è questo che la voce dentro di questo libro fa con l'anima del lettore.
CBH è una raccolta di racconti brevi di un giovane scrittore che ha all'attivo già un paio di raccolte di poesia.
Ciò che colpisce nell'epidermide del testo è indubbiamente il linguaggio, sintetico, rapido, tagliente, colorato da espressioni tratte dal parlare quotidiano che sanno trasmettere in modo efficace le diverse, eppure vicine storie narrate, mantenendo nel sottovoce la poeticità del raccontare.
Storie che scorrono come episodi di uno stesso film o come atti di un poema estremamente moderno, ognuna delle quali dal taglio indubbiamente personale, ma legata indissolubilmente alle altre per la "cifra" che l'autore dimostra di avere.
La maggior parte degli episodi sono istantanee in movimento su piccole grandi vite delle nostre metropoli. Il ritmo narrativo è serrato, di certo il timing, l'incedere del discorso è uno dei punti di forza di questo tipo di narrativa, capace di avvicinarsi senza perdere la sua identità a suggestioni puramente musicali e cinematografiche dal punto di vista estetico.
Addentrarsi nella sequenza delle storie di CBH è come entrare in un cono che lentamente penetra sempre più a fondo. Se il primo racconto è leggermente spiazzante per il lessico del tutto sfrontato, sebbene idoneo al tessuto narrato, l'autore ci sorprende per la capacità di condurci in un viaggio caleidoscopico in cui gli eventi, gli oggetti, i movimenti "raccontano" di per sé e apparentemente senza filtri l'anima delle storie, alcune al limite della fiction in pieno stile tarantiniano come Mister M, altre colorate di giallo e efficace noir (Exit babila).
Una scrittura di carne che sfibra corde interiori.
Ma in questa raccolta c'è spazio per tutti i colori, per tutte le sensazioni del quotidiano che attraverso il narrare sanno accogliere, coinvolgere, identificare il lettore: c'è spazio per la tenerezza, inframmezzati monologhi, divertiti neologismi (snutellare le scarpe, pg. 56) l'amicizia, il sesso, l'io. Indissolubilmente legati allo spazio, alla scenografia in cui la storia si muove: i luoghi qui non sono uno sfondo, perché essi stessi fanno la storia, come nel cinema di genere.
Di certo la disposizione dei racconti non è casuale. C'è un disegno in crescendo, una sorta di girandola, un vortice a spirale che porta sempre più dentro. Per arrivare con sguardo disincantato sulla nostra seconda repubblica, fino nella suite finale con il blu-poesia nell'io più intimo dell'autore, in cui di certo si evincono anche i motivi dell'essere e dello scrivere di Lorefice, in un'ambientazione da hotel che fa pensare all'eleganza struggente degli interni di Kar Wai Wong, una suite che è quasi un lungo piano sequenza che scivola dentro nell'anima di chi scrive, e, quindi, di chi leggendo accoglie e si fa penetrare dalle parole. Queste ultime 12 pagine sono un autentico gioiello, che fa venire voglia di racconto lungo, di romanzo.
E chi guarda nelle parole, in queste piccole grandi storie, si fonde con la musica che esse stesse creano.
Perché in fondo CBH è anche questo: "Al Cosmo Blues Hotel le storie si fondono" (pg. 106).
Una recensione di
Erika Pucci
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