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Suicidi d'autore
di Antonio Castronuovo
Pubblicato su SITO
Anno
2003 -
Editore Nuovi Equilibri
Prezzo €
8 -
128 pp.
ISBN
2147483647
Una recensione
di
Patrizia Burra
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Quindici suicidi di quindici artisti del Novecento quali : Sylvia Plath, Sarah Kane, Walter Benjamin etc. A prima vista il lettore può sentirsi spaesato al cospetto di un argomento drammatico quale la morte, ma la narrazione e gli strumenti usati per rendere lieve questo saggio,sono imprevedibilmente interessanti. Dentro alla cornice, il quadro di ogni singolo artista scomparso, è una breve biografia, una ricca descrizione della vita, della tendenza, della personalità e del patto, reale o immaginato, stretto con la morte di ognuno.
L’atto finale, unico modo per rendersi immortali, sembra, in alcuni casi, l’appendice alternativa o necessaria alla loro prosecuzione nell’arte, una forma di difesa contro un tempo che scorrendo sottrae l’ipotesi di eternità. In altri casi, il suicidio assume il duplice ruolo di sintomo e di cura, una sorta di liberazione e di fuga da una feroce e persistente forma di depressione. Sylvia Plath, tentò il suicidio per la prima volta a dieci anni e dopo innumerevoli tentativi, riesce nel suo intento nel 63’, abbandonata dal marito e ormai madre di due bambini. Assia Wevill, la donna che le aveva “rubato” il marito, si tolse la vita sei anni dopo, nello stesso identico modo usato da Sylvia.
Per raggiungere la perfezione artistica sognata dall’ amante Jean Genet, il funambolo Abdallah Bentaga ne segue alla lettera le provocazioni, i plagi e i consigli deliranti, compiendo capriole e piroette rischiosissime dall’alto di una fune sotto la quale non doveva esservi alcuna rete. Finisce così, nell’ appariscenza di palpebre pesantemente truccate e di un costume che è un ammasso di lustrini, con un piede in fallo, cadendo a terra e nella fine della sua carriera. Con lo stesso rigore usato nell’arte, Bentaga ingoierà nel 64’ un intero flacone di Nembutal. Suicidatosi invece a sorsi di assenzio, pernod allungato con aceto e inchiostro e da una quantità strabiliante di alcolici, Alfred Jarry, compì il proprio gesto diluendolo nel tempo, quasi a perseguire il disegno minuziosamente dettagliato di una fine certa tra stordimento e macerazione.
Carnefici implacabili di sé stessi, fedeli o perseguitati, folli o profondamente innamorati, i “suicidi” di Castronuovo rivelano gli echi della loro esistenza, chiusa e compiuta in quell’estremo atto creduto perfetto.
Una recensione di
Patrizia Burra
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