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Lux Renova
di Laura Corraducci
Pubblicato su SITO


Anno 2003- Edizioni del Leone
Prezzo € 6- 48pp.
ISBN 9788873141921

Una recensione di Marco Carbone
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 Lux Renova

La poesia non sempre si lascia scoprire; c’è a volte un qualcosa che resta celato, un intendersi a metà, che ci sospinge nel dubbio, che rimane impigliato nell’inchiostro nero della parola.
È questo segreto che dà ai versi di Laura Corraducci un so che di indefinito, di sfuggevole, che invita il lettore a riconsiderare, come se non tutto fosse svelato dalla parola scritta, come se il vissuto, così presente in queste poesie, avesse altro da raccontare.
La giovane poetessa pesarese ha dalla sua un poetare moderno fatto di accostamenti di parole inconsueto, di metafore, allusioni, ambiguità, anafore, di spazi bianchi usati con saggezza.
Il suo linguaggio non è mai artatamente aulico, ma sostenuto, coerente, musicale. Il libro è compatto coagulandosi su due tematiche forti, un dialogo costante con un “altro” indefinito e una continua e ripetuta implorazione al Signore.
Sono questi due elementi, così interdipendenti, che danno il senso materiale del lavoro, che compongono la struttura (di marxiana memoria) su cui poggia la forma leggera della poesia.
L’una richiama all’altra, come se il rapporto con l’interlocutore indefinito cercasse in Dio la sua benedizione, il suo suggello; Allora dimmi Dio/ perché è il veleno del suo bacio/ che voglio ingoiare? (Preghiera 2), prego/ che anche Dio la senta tutta/ l’eternità stanca/ del tuo dolore (Nel ristorante sole…), Ti vengo a cercare perché la/ trappola della colpa non abbia a/ straziarmi le carni ancora una/ volta e nel respiro del Tuo perdono/ trovi senso ai miei sbagli… (Miserere +).
Siamo quindi di fronte ad un esordio letterario “originale e fortemente espressivo” (è scritto nella postfazione al libro), ad un’opera prima “ricca di sfumature e di suggestioni, di immagini e di atmosfere”, in cui la “cronaca dirottata delle cose e del mondo” è distante dal semplice ricordare della poesia della memoria.
Gli eventi sono passati al vaglio della ragione, e prendono nuova vita, divengono materiale poetico vivo e palpitante. “Lo stridulo di quel treno/ il canto azzurro dei tuoi occhi/ il suono bello della bocca/ e il Natale che nevicava/ su noi due si legge nella poesia “27 Dicembre”.
E poi: “Nelle pieghe di questo silenzio/ si avvolge la memoria/ ed è rumore di bicchieri sbecchettati/ e arancia sottobanco”. E ancora: “Non era certamente amore/ né passione/ né santo delirio dei sensi” con un tentativo dell’autrice di decifrare gli eventi passati, di dargli una sistemazione.
In questo uso della memoria, nella leggerezza dei suoi versi, nel senso di peccato e di colpa, nell’indeterminatezza dell’interlocutore ci ricorda Sandro Penna.
Pensiamo che augurio migliore non possiamo fare accostando la nostra autrice ad uno dei maggiori poeti del Novecento.


Una recensione di Marco Carbone



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