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1527 I lanzichenecchi a Roma
di Andrea Moneti
Pubblicato su PBSR2006


Anno 2005- Stampa Alternativa
207pp.
ISBN 2147483647

Una recensione di Simonetta De Bartolo
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 1527 I lanzichenecchi a Roma

Un ammirevole affresco, di un particolare momento della storia d’Italia, il 1527 e dintorni, in cui, spesso in stridente contrasto con gli ultimi e ancor gloriosi bagliori del Rinascimento, trovano posto le mire espansionistiche dei sovrani europei, l’esasperazione del machiavellismo, l’oscena depravazione, mista a magnificenza, dalle tinte ormai barocche, di una corte papale dedita al mecenatismo, all’intrigo politico, al lusso e alla lussuria, la predicazione di Lutero, la rivolta dei contadini in Germania e le repressioni, la rovinosa discesa dei lanzichenecchi, turbolenti, feroci, votati al sacrilegio e al massacro, il Sacco di Roma per opera delle truppe di Carlo V, la sozzura materiale e morale della peste, l’inizio del “lavoro” dell’Inquisizione, la multiforme quotidianità del vivere. Temi, eventi storici, personaggi, rappresentazioni, dalle forti tinte caravaggesche, del miserabile mondo degli umili, dello squallore di prostitute e malandrini pronti a tutto, del generale disorientamento, dell’incalzare tumultuoso di sentimenti, delle speranze, delle paure di divine punizioni e di presenze diaboliche nella Storia, della confusione di credenze e superstizioni, che qualificano Andrea Moneti, che con il suo Eretica Pravità ha già conseguito numerosi e prestigiosi premi letterari, come fine conoscitore dei meandri più reconditi dell’animo umano e, nello stesso tempo, come metodico e appassionato studioso delle condizioni socio-culturali della Roma di fine Rinascimento, nonché di eventi europei di vasta portata storica e delle loro interconnessioni. Un romanzo, 1527-I lanzichenecchi a Roma, di indiscutibile pregio, già vincitore del Primo premio narrativa edita Michelangelo, X Edizione, destinato ad ulteriori meritati riconoscimenti e ad appagare un vasto pubblico di lettori. In linea con la scelta di ordine storico-realistico, l’autore concede piena libertà di realizzazione ai protagonisti del romanzo. Così è per Heinrich, la cui evoluzione spirituale verso la salvezza è lenta e tormentata, anche se ne sono subito ravvisabili le premesse nel suo inconsolabile dolore per la morte della sposa, nella sua riverenza di fronte ai segni del passato grandioso di Roma e nello sgomento al pensiero della decadenza, nella sua gentilezza, nella propensione a difendere i deboli da una gratuita violenza; ma lo scontro tra bene e male non perviene, ed è anche qui libertà di realizzazione, a momenti di forte tensione drammatica. Così è per Angelica, che rappresenta la funzione salvifica dell’amore e che passa da abbattimenti e preoccupazioni morali di stampo medievale a momenti d’esaltazione in un amore libero da preconcetti d’ordine morale e religioso. Due personaggi, emblemi della possibilità del bene e dell’amore di vincere sulla barbarie, interessanti e ottimamente rappresentati, al di là di certe insistenze nella descrizione dei loro tratti spirituali. Dopo un inizio in stile quasi futurista, il libro s’impone subito per il magistrale realismo delle immagini di violenza, di sofferenza, di strazio di corpi, di stragi efferate, di panico, rabbia, furore, smarrimento, a cui, spesso, fa da sfondo una simbolica fredda luce lunare, che richiamano, contemporaneamente, alla mente del lettore Guernica di Picasso e Angoscia e, soprattutto, L’urlo di Munch. Ben distribuita ed armonica l’alternanza di storia e d’invenzione; di considerevole livello artistico i momenti di mesta elegia e alcuni monologhi da tragedia greca; atte a soddisfare la curiosità e le esigenze di particolari lettori le descrizioni particolareggiate di tattiche militari, armi e battaglie; alquanto analitiche e scopertamente dotte alcune disquisizioni di ordine storico, morale, religioso, politico, e, sulla stessa linea, alcuni dialoghi, a volte a tesi; interessanti i momenti di giallo. Andrea Moneti domina la complessa ed impegnativa materia dall’inizio alla fine e riesce, abilmente e sapientemente, a condurre ad unum la narrazione con misurate, ma forti, sentenze, messe in bocca a messer Stefano, sull’assurdità e l’inutilità delle guerre, sulla necessità del dialogo, sul potere che non è mai buono e che perpetua “il dolore della storia”, ma soprattutto con l’approssimarsi dello sbocciare dal grembo di Angelica, del fiore dell’amore, la ripresa della vita a Roma e i segni inequivocabili della renovatio spirituale di Heinrich. “Chiuse gli occhi, inseguendo i suoi pensieri, liberi e incostanti come il volo di una rondine. Sentì il mormorio del vento e il timido calore dei raggi del sole. E pensò che quello doveva essere il sorriso di Dio”. (Dalla recensione pubblicata su www.latelanera.com)


Una recensione di Simonetta De Bartolo



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