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La rosa del farmacista
di Candace Robb
Pubblicato su SITO
Anno
2002-
Editore Piemme
Prezzo €
9-
432pp.
Una recensione di
Simonetta De Bartolo
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Votanti:
11603
Media
79.29%
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Una trama fitta e intrigante che ci svela via via la psiche occulta dei personaggi e, nello stesso tempo, con procedere lento, ci introduce nel medioevo, attraverso un esame ben calibrato di uno degli aspetti più importanti: quello religioso. Ma è proprio in un’atmosfera di sacralità, il cui senso di pace ci mantiene inverosimilmente sospesi, che si svolgono i delitti, in maniera così facile da stupirci. 1363. York. L’affascinante Owen Archer, un tempo formidabile arciere, è preso a servizio dall’arcivescovo per indagare sulla morte del suo pupillo, avvenuta, per cause non note, nell’abbazia di St.Mary. Nel medesimo luogo e con gli stessi sintomi, muore un pellegrino di cui non si conosce il nome. Le morti misteriose e lo sfondo medioevale ricordano “Il nome della rosa” di Umberto Eco. L’apotecario, lo speziale, può togliere la vita con una dose, volutamente o non sbagliata, di erbe. E’ per mezzo dei personaggi che Candace Robb spiega le diverse manifestazioni della religiosità medioevale, da quella ascetica e dogmatica a quella legata ad un materialismo tutto pagano. La loro vita è dominata dal sensus culpae, dalla certezza di un Aldilà e di un premio o di un castigo eterno; ma ciò non ostacola il peccato, perché a tutto c’è rimedio e così l’arcidiacono Anselm e l’Arcivescovo riscattano, o meglio pensano di riscattare, una vita scellerata contribuendo alla costruzione della Cattedrale. Così il ficcanaso Potter Digby, il messo dell’Arcidiacono, è convinto che trovare e punire il peccato altrui gli assicuri un posto in Paradiso. Siamo di fronte, insomma, all’ignoranza del messaggio evangelico, al persistere del paganesimo e all’errato convincimento di una purificazione possibile senza una contritio cordis. Personaggi, quindi, emblematici di quel periodo, descritti con pochi tratti, ma tutti carichi di mistero e affascinanti: in primis, Oliver Archer, il guercio, che indubbiamente ci fa venire in mente uno degli amanti di Caterina La Grande, dell’omonimo romanzo di Henri Troyat. Ridotta all’essenziale la descrizione paesaggistica, in cui è insistente il riferimento alla presenza della neve e al clima rigido di York, che si contrappongono al calore familiare e lontano della locanda di Bess e alla piacevole sensazione di calore dopo qualche boccale di birra, come avviene, ancora oggi, nelle regioni nordiche. In realtà, sullo sfondo di un’epoca assai distante da noi, sono trattate, con sufficiente fantasia e intelligenza, tematiche moderne, come il tradimento, l’aborto, l’omosessualità. Lo stile non è rilevante. La narrazione è incalzante. I sentimenti malvagi, violenti e crudeli e quelli semplici, tutti genuini, veri, sono completamente e armoniosamente fusi in questo thriller un po’ fiabesco. Il senso di irrealtà, che permea la narrazione, è, in parte, attutito dalle note dell’autore in calce.
Una recensione di Simonetta De Bartolo
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