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La città del tardo Rinascimento
di Claudia Conforti
Pubblicato su SITO


Anno 2005- Laterza Bari-Roma
Prezzo € 14- 168pp.
ISBN 2147483647

Una recensione di Luca Bidoli
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Noi tutti abbiamo nel nostro immaginario culturale la nozione più o meno precisa di ciò che è stato ed abbia rappresentato quel periodo che conosciamo con il nome di Rinascimento. Ad esso si riannodano i fili di un'epoca di splendore e di rinnovato slancio nelle arti, nelle scienze, nella cultura. Una trasformazione che tocca e coinvolge tutti i campi del sapere, l'intera gamma delle attività umane. Dopo quella stagione, la decadenza, il rigore delle riforme e controriforme religiose, Trento e i cieli plumbei del concilio, quasi una cappa senile e rigida dopo la lieta giovinezza toscana, dopo gli azzurri e i verdi paesaggi veneti, dopo la lieta ebrezza pagana. Bisognerà attendere qualche decina d' anni, prima che un moto di rinnovamento si appropri delle scene auliche e vertiginose dello slancio barocco, delle estasi di carne trasformate nelle pieghe marmoree del Bernini, nella tensione del corpo di Dafne che sfugge alla presa di Apollo, nel pinnacolo voluttuoso di Sant' Ivo alla Sapienza del Borromini, solo per citare, tra i molti, alcuni, e solo romani, esempi di un gusto e di un arte nuova, europea che esce dalle frontiere del vecchio continente per approdare a terre oltre gli oceani. Tra queste due stagioni, dissimili, ma fondamentali, sembra che dalla metà del Cinquecento ai primi anni del secolo XVII ,vi sia una sorta di lungo autunno controriformistico in gran parte dell'Europa, segnata da una crisi religiosa, ma anche civile, sociale che invadeva tutte le sfere della cultura e del sapere. Le coordinate temporali possono essere persino certe, determinate: dall'apertura del concilio a Trento, nel 1545, sino alla data simbolica del 12 marzo 1622, quando, a Roma, sotto il pontificato di Gregorio XV, in un'Urbe che ritrova passati ed antichi splendori, la canonizzazione collettiva dei grandi santi della Compagnia di Gesù-Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri e Teresa d'Avila-segna l'inizio di una recuperata tradizione di fasto e di rilancio, di apoteosi, di un rinnovato e riconosciuto ordine nel cosmo. Al centro, il nulla o quasi, il declino in un periodo che si presta a molteplici definizioni: Rinascimento attardato, età della Controriforma, tardo o secondo Cinquecento, come se anche la vaghezza del nome testimoniasse quella sorta di imbarazzo, di parentesi scomoda, di fronte alle glorie che si situavano nel passato o erano da pregustarsi nell'avvenire. Eppure è proprio in quella manciata di decenni, sostiene l'autrice, “che la città europea assume nuovo corpo e inedita identità culturale, e in cui si aggregano e si consolidano i caleidoscopi sociali che l'animano e l'esprimono.” ( pag.4). E' un epoca di scienza, giova ricordarlo, dove le figure dei rappresentanti più eminenti, Galilei, Keplero, Brache,solo per ricordarne alcuni, sono a rammentarci la passione di quelle generazioni per le forme di conoscenza e di sperimentazione tecnica, per lo sguardo che si infiltra tra le luci siderali, in un nuovo, mutato rapporto con il cosmo e con la creazione. E' l'epoca delle economie-mondo, secondo la fortunata definizione di Braudel, degli straordinari flussi di merci e le aperture o le ricerche dei mercati ad Oriente come ad Occidente, dal Giappone , alla Cina, alle Americhe. Ma le trasformazioni non riguardano solo gli aspetti materiali ed economici. Coinvolgono nuove forme di rappresentazione politica e di rapporto tra sudditi, mercanti e borghesi in particolare, con il potere, che si fa strumento e promozione, attraverso la forma dei nuovi stati territoriali, degli interessi e del progresso economico di imprenditori e mercanti che devolvono volentieri la gestione della cosa pubblica ad un monarca assoluto. In cambio, beninteso, di poter sviluppare e potenziare i loro affari e le loro mansioni all'interno degli apparati degli stati, attraverso la sicurezza degli eserciti, delle flotte, di leggi certe e stabilità nella cerchia protetta di città che si trasformano e si caratterizzano, grazie a questo rapporto dialettico e “contrattualistico”, in luoghi dove la preminenza è data agli aspetti funzionali, all'uso ed alla presenza di quelle infrastrutture ( ponti, canali, vie di comunicazione, salubrità dei siti)che avviano la concezione della città verso quelle forme destinate a giungere sino ai nostri giorni. Perché, bisogna ricordare, che la città del Rinascimento, del pieno e puro Rinascimento, per interderci, non è tanto una città da vivere o da utilizzare, quanto una città da contemplare, nella sua astratta perfezione, nel suo rigore concettuale e intellettualistico, nella purezza cristallina delle sue prospettive, nel rigore geometrico delle sue forme. Si tratta di una città che viene prima concepita nella mente, poi, in una fase successiva calata in una realtà data, dove gli edifici che testimoniano questo gusto sono avulsi, asettici rispetto al mondo che li circonda e a ciò che la città ha prodotto nei secoli precedenti. Le città degli umanisti pulsano della vita degli incunaboli e dei colloqui con gli spiriti dei tempi della gloria antica. Non così si svolge la concezione della forma Urbis del tardo Rinascimento, che è tutta legata e concentrata nell'analisi dei luoghi dove i nuovi quartieri, le nuove strade, i nuovi palazzi andranno ad essere edificati: il dato di partenza nasce dal concreto, dall'attenzione verso il territorio, con accortezza verso le vie d'acqua, che dovranno essere possibilmente ben navigabili, alle altre vie di comunicazione,alle difese da apporre non solo da possibili nemici esterni, e qui abbiamo un passaggio essenziale, ma anche da rivolte che possono svilupparsi all'interno della popolazione della città stessa. Non manca, ovviamente, l'attenzione verso forme monumentali e di rappresentanza, ma il dato nuovo consiste nel fatto che queste non sono più l'unico criterio di valutazione, pari dignità assumono quegli intrecci di sistemi, dei quali i monumenti fanno certo parte, ma che si innervano e si strutturano all'interno di contesti plurimi, nei quali diverse e nuove esigenze procedono di pari passo con i più tradizionali schemi di autocelebrazione del potere. Una città teatro, se vogliamo, con un palcoscenico dove i punti di riferimento sono il sovrano, la corte, l'apparato burocratico, ma nella quale non predomina come unica interlocutrice privilegiata una sola ristretta gamma di famiglie, ma un'intera società che si muove con le sue differenti esigenze e necessità, con le sue relazioni e le sue dinamiche di crescita e di sviluppo. Ed è questa, come ci rammenta Marino Berengo nel suo straordinario L'Europa delle città,1 l'epoca che vede il consolidarsi delle corti, delle cancellerie in città-capitali, abbandonando definitivamente l'idea di un sovrano e del suo seguito estremamente mobili, da una città all'altra, attraversando i paesi diversi soggetti ad un unico dominio, con tutti i problemi relativi a costi e sicurezza.La corte, la presenza di una Cancelleria, l'insediamento permanente di alcuni dei suoi rappresentanti, consiglieri,funzionari, e, in particolare l'afflusso continuo di postulanti e di persone che richiedono servizi di vario genere, quelli che oggi definiremmo come utenti, concorrono a fare di queste città luoghi di ricchezza e di cambiamento. Ci troviamo di fronte ad un mondo complesso e variegato, dove i nuovi soggetti sociali, economici, politici,trasformano o annullano i resti del mondo feudale, con i suoi particolarismi, con una visione spesso ancora limitata e frammentata. E' il mondo, la vastità dei rapporti, le vie di navigazione e di traffico che spalancano i grandi circuiti internazionali dei commerci e, grazie alle ricchezze, al contempo, sviluppano l'orgoglio di fare parte di una realtà viva e vitale, in movimento, in estensione:di essere insomma, abitanti di una città. La trattatistica del tempo annota puntualmente queste modificazioni. Nelle pagine iniziali del libro primo Delle cause della grandezza delle città, Giovanni Botero, alla fine del Cinquecento, con parole che registrano i cambiamenti avvenuti si chiede in che cosa consista una città, quale ne sia la funzione e la definizione. Leggiamo allora che “ Città s'addimanda una ragugnanza d'huomini ridotti insieme, per vivere felicemente. E grandezza di Città si chiama non lo spazio del sito, o il giro delle mura, ma la moltitudine degli abitanti e la possanza loro.”( pag.39).Moltitudine, possanza, e qui vorremmo essere esperti di demografia storica, per sviluppare anche questi aspetti fondamentali, dove vi è sì il fatto che la popolazione rappresenta un motivo di crescita economica della città, ma nei quali ravvisiamo anche elementi tipici della mentalità del tardo Cinquecento, per la quale l' abbondanza di popolazione si traduce in ricchezza di forza lavoro e uomini per fare la guerra. E sulla guerra, sulle sue trasformazioni, sulle nuove tecniche di difesa e di poliorcetica, sui nuovi spazi al di là delle mura, nelle grandi spianate, dove edifici preesistenti vengono abbattuti per le nuove esigenze di sicurezza e di difesa esterne,vi sono pagine di estremo interesse e ricchezza di documentazione.Si creano le forme moderne di città fortezze,ad esempio, con una loro univocità funzionale,queste sì le uniche che si possano definire pure astrazioni geometriche, come Palmanova, nella pianura friulana, Scherpenheuvel, Mannheim – la Casa dell'uomo, la nuova città razionale che il principe calvinista Federico IV fonda nel 1606 per popolarla di ugonotti- o Henrichemont, nel 1608. Altri fattori nuovi e sovente dolorosi, emergono da queste analisi,migrazioni a carattere religioso e confessionale che vedono intere popolazioni passare da un territorio all'altro, di principe in principe, di regno in regno, per approdare a luoghi più sicuri e tolleranti. A volte l'interesse e il vantaggio sono reciproci: Elisabetta I accoglie a Londra francesi di fede protestante,aprendo così la strada a manifatture prima sconosciute nel suo regno.
Questo volumetto ha il non minore pregio di presentarsi in forma aggraziata, ricca di illustrazioni che testimoniano, riproducendo piante e carte spesso spettacolari e magnifiche, la perfezione e la diffusione della stampa nella seconda metà del Cinquecento.Ben lo sa chi è uso frequentare librerie antiquarie: se gli incunaboli sono capolavori dettati dalla scoperta, se le edizioni aldine sono esempi forse ineguagliati di cura editoriale, prima della generalizzata minor qualità delle seicentine, è il tardo Rinascimento, l'epoca aurea della stampa in Europa.
Claudia Conforti, che insegna Storia dell'architettura alla Facoltà di Ingegneria dell'università romana di Tor Vegata, in questo libro ci ha offerto un'appassionate e ricco viaggio in un periodo della storia della città e della civiltà significativo di esempi e raffronti con alcune delle maggiori aree urbane di quell'epoca, in un felice incrocio di esperienze e di realizzazioni, con una attenzione sapiente nel cogliere le sfumature delle differenziazioni e, al tempo stesso, le tracce di un percorso comune di evoluzione nelle istituzioni e nella rete di città che forse proprio a partire da quel spesso bistrattato tardo Cinquecento possiamo compiutamente definire europeo.


(1) Marino Berengo, L'Europa delle città, Torino, 1999; soprattutto pagg.5-22.


Una recensione di Luca Bidoli



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